RENZO FRANCABANDERA | Come molti grandi, Tonino Conte era una persona che, avendo assaggiato anche le difficoltà della vita nella sua infanzia di famiglia migrante dalla Campania a Genova, aveva quell’ardimentoso senso del rischio che fa bene all’arte, anzi, forse il suo ingrediente principale.
Un riottoso allo studio scolastico, ma che già da ragazzino spendeva i pochi soldi che aveva per comprare libri. Conte rappresenta una delle figure più significative del teatro italiano del secondo Novecento, un artista appartenente a quella categoria di figure che, invece che cercare di entrare dentro un teatro già fatto, esistente, ne vollero creare uno a propria misura, come Grassi e Strehler a Milano con il Piccolo.
Il Teatro della Tosse a Genova nacque così: per la sua testardaggine, oltre che per l’amicizia con altri grandi artisti genovesi dell’epoca come Lele Luzzati, e dall’ardimento di far nascere dai ruderi in cui versava l’immobile in Salita della Tosse di fronte alla Chiesa di Sant’Agostino un teatro multisala (il primo in Italia all’epoca). Un visionario, un architetto di sogni. Ed effettivamente una laurea honoris causa in architettura l’Università di Camerino gliel’ha anche conferita.
Il giorno della cerimonia Conte guarda orgoglioso la pergamena e si accorge che, invece che “il Consiglio di Facoltà conferisce…”, c’era scritto “il Coniglio…”.
– «Scusi, scusi! Ce la ridìa che la facciamo correggere subito!»
– «Ma siete pazzi! Il Coniglio è bellissimo!»
Queste e le altre centomila bizzarrie di uno che nella vita fece di tutto, compreso l’agente di Carmelo Bene nei suoi primi anni di vita artistica, e che portò a Genova il meglio del teatro internazionale negli anni Settanta e Ottanta, si possono conoscere tuffandosi nel notevole Tonino Conte. Qui ci vorrebbe un regista, un documentario firmato da Felice Cappa, andato in onda sabato 25 gennaio alle 22:45 su Rai 5, e presentato qualche giorno prima in anteprima proprio nel “suo” teatro, di cui ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario dalla fondazione.
Il documentario ripercorre la parabola esistenziale e artistica di Conte – legata a doppio filo alla città di Genova e al rapporto d’amicizia e collaborazione con Luzzati e con tanti altri protagonisti della vita culturale di quegli anni – anche attraverso immagini di repertorio dei principali spettacoli realizzati da Conte a partire dagli anni ’60 e le testimonianze di tanti artisti e amici che lo hanno accompagnato in un viaggio teatrale sui generis lungo una vita.
Qui ci vorrebbe un regista offre un ritratto vivido e affettuoso del maestro. Il documentario, realizzato con cura e passione, non si limita a una narrazione biografica, ma restituisce sia lo spirito di un uomo che ha fatto del teatro un luogo di invenzione continua, di gioco serio e appassionato, sia lo spirito del tempo in cui è vissuto, in cui, pur fra mille difficoltà, si poteva ancora sognare di cambiare il mondo.

Da allora il Teatro della Tosse, nato appunto nel 1975, ha rappresentato un laboratorio creativo in cui si sono fuse le suggestioni del teatro di figura, della narrazione e della sperimentazione scenica, in un costante dialogo con la città e il pubblico. Conte ha sempre concepito il teatro come un’arte totale, che travalica il semplice atto rappresentativo, per diventare uno spazio di partecipazione e meraviglia. Le sue regie hanno spesso rievocato il mondo dell’infanzia, del mito, della fiaba, proponendo spettacoli di grande impatto visivo, grazie anche alla collaborazione con Luzzati, che ha firmato scenografie e costumi di rara suggestione. E moltissimi sono stati anche i grandi allestimenti all’aperto, negli angoli più disparati (e anche disperati) della città. Un unico grande palcoscenico.
La trasmissione del suo lascito artistico ha trovato un naturale passaggio generazionale nel figlio Emanuele Conte, attuale presidente e regista residente del Teatro della Tosse, che ha mantenuto viva l’eredità paterna, proseguendo sulla strada della sperimentazione e dell’apertura alle nuove forme della scena contemporanea. Ma in tutti questi anni Emanuele, pur avendo portato in scena testi che dialogano con le urgenze del presente, senza rinunciare alla dimensione onirica e artigianale che aveva caratterizzato il lavoro del padre, non aveva mai portato in scena alcunché del padre.
Ma forse, suggestionato dall’anniversario, Emanuele deve aver pensato che era arrivato il momento di fare anche artisticamente i conti con la figura paterna. Ed eccolo allora firmare la regia in questo inizio 2025 di Una settimana di bontà 1975, testo inedito di Tonino Conte, ora rappresentato per la prima volta al Teatro della Tosse dal 23 gennaio al 2 febbraio.
Conte, oltre che regista, era anche un autore di testi teatrali e di scritti sulla sua esperienza artistica. La sua filosofia si basava sull’idea che il teatro dovesse essere accessibile a tutti e che il pubblico fosse parte integrante dell’opera, rendendolo un’esperienza partecipativa e coinvolgente.
Il testo richiama un omonimo volume di Max Ernst dei primi anni ‘30, un libro d’artista per immagini fortemente provocatorio e sovversivo del senso comune. Tuttavia, l’opera di Tonino Conte si sviluppa come una provocazione fin dal titolo, trasformandosi praticamente da subito in un acre compendio, invero spassosissimo, dell’umana ferocia, un viaggio tra sogno e incubo che si agita dentro immagini surrealiste e suggestioni letterarie, molto legato al suo tempo, a quei magici e dannati anni Settanta.

Lo spettacolo è composto da sette quadri, ciascuno rappresentante una giornata, in pieno stile teatro dell’assurdo. La messa in scena di Emanuele Conte coinvolge un gruppo di giovani attori su un palcoscenico in cui tutto viene svelato e mostrato, creando un’atmosfera che rimanda visibilmente al sogno paterno di trasformare il celebre cantiere di tubi innocenti del 1975 della Tosse in magici camerini (Emanuele firma anche la scenografia). Il cast di giovani interpreti, che nel complesso ben si disimpegna dentro questo affresco corale d’epoca, è composto da Ludovica Baiardi, Raffaele Barca, Christian Gaglione, Charlotte Lataste, Antonella Loliva, Marco Rivolta e Matteo Traverso.
Lo spettacolo attraversa paradossi e ipocrisie di un’epoca complessa e ambigua, che resta sempre sullo sfondo, come un ingombrante convitato di pietra seduto in platea a godersi lo spettacolo di sé stesso. L’atmosfera anni Settanta è definita non solo da una colonna sonora che rimanda nostalgicamente a quegli anni, da Rino Gaetano agli Inti Illimani, passando per Piero Ciampi, ma anche da un intelligente disegno luci (Matteo Selis) e dai ricercati (pur nella loro semplicità) costumi, scelti per lo spettacolo da Daniela De Blasio con la consulenza di Danièle Sulewic. 

È proprio la dissacrante semplicità la cifra di questo allestimento, che si fa apprezzare per leggerezza e vigore giovanile: un vigore reso ancor più  intrigante e intenso dal fatto che nessuno fra gli interpeti in scena era ancora nato quando Tonino Conte scrisse. Emanuele ha scelto volutamente un cast che nulla sapesse o avesse vissuto direttamente di quegli anni.
Eccoli messi nei panni degli hippie anni Settanta, con i poncho latinoamericani, a passarsi le canne e a sognare. È giusto che quel sogno resti, che non si ammanti di disillusione come nel Bufalo Bill di De Gregori, che firmò col circo mettendo fine ai suoi ideali.
Quelli degli anni Settanta sono diventati ora i quattro amici al bar della canzone di Paoli. Ma agli occhi degli spettatori di oggi la settimana di bontà descritta da Tonino pare viva e attuale più che mai, con le sue surreali contraddizioni, le sue caustiche battute politicamente scorrette.
Vivo? Altroché!

UNA SETTIMANA DI BONTÀ 1975
di Tonino Conte
regia Emanuele Conte
con Ludovica Baiardi, Raffaele Barca, Christian Gaglione, Charlotte Lataste, Antonella Loliva, Marco Rivolta e Matteo Traverso
scene Emanuele Conte
disegno luci Matteo Selis
costumi Daniela De Blasio con la consulenza di Danièle Sulewic
regista assistente Alessio Aronne
movimenti coreografici Emanuela Bonora
attrezzeria Renza Tarantino
sarta Rocìo Orihuela Perea
produzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse

Prima Nazionale

Teatro della Tosse, Genova | 25 gennaio 2025