RENZO FRANCABANDERA | “Dov’è giustizia, Dio, se il dono sacro, se l’immortale genio non è dato in premio a sacrifici, amore ardente, preghiere, zelo diligente, studio, e illumina un pazzo, un vagabondo ozioso! … Oh Mozart, Mozart!
Antonio Salieri deve molto a Puškin e a Peter Shaffer. Nessuno più di loro, infatti, ha contribuito dopo la sua morte e in particolare negli ultimi decenni, al mantenimento della memoria del musicista e compositore originario di Legnago (VR) e poi migrato alla corte di Vienna, coevo di Mozart (e finanche più celebre all’epoca del grande genio di Salisburgo).
Come? Beh l’idea è venuta in primis a Puškin nel 1830, per un’opera in un atto e due scene cui appartengono i versi in apertura di questo scritto, redatto sulla base di lettere e cronache del tempo, incentrato appunto sulla presunta rivalità tra i due musicisti alla corte asburgica. Fu inscenata due sole volte durante la vita di Puškin al Bol’šoj di Pietroburgo. Divenne un’opera omonima di Rimskij-Korsakov (1897- qui il libretto).
Nella prima scena Salieri ricorda delle fatiche dovute alla sua passione per la musica e incontrando il rivale lo invita a pranzo; nel secondo quadro, avendo a tavola Mozart che gli racconta dell’uomo nero che gli ha commissionato il Requiem, Salieri con premeditazione lo avvelena.
L’idea è stata poi presa a spunto da Shaffer a fine secolo scorso per una drammaturgia teatrale, Amadeus (1978): ne è nato uno spettacolo che ha avuto riconoscimenti e vinto premi in gran numero, una fama ulteriormente enfatizzata nel riverbero mediatico dalla versione cinematografica di Milos Forman, cui andarono sette premi Oscar.
Con riguardo alla vicenda in sè, si tratta, invero, in gran parte di una costruzione narrativa e non corrisponde del tutto alla realtà storica, sebbene ci siano stati alcuni episodi di competizione professionale tra i due compositori. Non ci sono però prove concrete di un’ostilità personale o di un’influenza maligna da parte di Salieri sul destino di Mozart tali da poterne individuare responsabilità nella precoce morte del genio della musica di fine Settecento.
Salieri era un compositore stimato e ben inserito alla corte di Vienna, noto per il suo talento e per il suo ruolo di insegnante di grandi musicisti come Beethoven, Schubert e Liszt.

Mozart, pur riconoscendo l’influenza di Salieri a corte, non lasciò mai testimonianze scritte di animosità personale nei suoi confronti; al contrario, vi sono lettere in cui Mozart menziona Salieri in termini positivi, come collaboratore e conoscitore della musica.
Inoltre, dopo la morte di Mozart, Salieri partecipò persino a eventi commemorativi in suo onore, il che suggerisce un rispetto professionale reciproco. Alcune fonti riportano addirittura che Salieri avrebbe insegnato al figlio di Mozart, Franz Xaver, consolidando ulteriormente un rapporto di rispetto piuttosto che di rivalità.
Ma allora dove nasce questo mito?
L’idea fu alimentata appunto nel XIX secolo da racconti popolari e opere letterarie, tra cui il poema di Puškin, che raffigura Salieri come un uomo consumato dall’invidia e capace di avvelenare Mozart, cosa di cui secondo le leggende avrebbe reso confessione negli anni della sua demenza senile.
Shaffer ha rinverdito il mito di Salieri omicida a un secolo e mezzo dal suo predecessore russo, usando la presunta rivalità come metafora universale del conflitto tra genio e mediocrità, ispirando riflessioni sul talento, l’invidia e l’immortalità artistica. Il cuore del conflitto drammaturgico in entrambe le drammaturgie sta nel fatto che Salieri viene disegnato come incapace di accettare la genialità divina del rivale.

Arriviamo dunque all’Amadeus 2025 andato in scena in prima nazionale al Teatro dell’Elfo di Milano. All’apertura del sipario l’anziano Salieri (interpretato da un ora-moribondo ora-pimpantissimo mattatore Ferdinando Bruni), a un’ora dalla sua morte, in un misto di confessione e auto-assoluzione, dialoga direttamente con il pubblico, svelando il presunto ruolo che avrebbe avuto nella morte di Mozart.
Usando la tecnica del flashback, poco dopo smetterà i panni del vecchio e balbettante moribondo per trasformarsi appunto nel vigoroso e celebrato musicista alla corte asburgica messo sotto scacco dall’arrivo del talento geniale.
Questo espediente narrativo rompe la quarta parete e coinvolge lo spettatore in un viaggio intimo e doloroso attraverso i ricordi di un uomo che si sente tradito dall’Onnipotente. Salieri inizialmente consacra con afflato religioso la propria vita a Dio in cambio di successo, un patto faustiano al contrario, con un voto di castità e di rispetto dei valori cristiani (in un mondo notoriamente irto di tentazioni come quello dell’arte) in cambio di gloria e risultati artistici. Ma…
Subentra il talento geniale. E con lui l’invidia, degna del peggior Jago.

Illustrazione al dramma di A.S. Pushkin “Mozart e Salieri”. Mikhail Aleksandrovich Vrubel 1884, 25×33 cm

Mozart (affidato di certo volutamente al giovane ma già brillante talento di Daniele Fedeli) è ritratto come un talento sfacciato, volgarotto e donnaiolo, ma capace di creare una musica che sembra sgorgare direttamente dal divino. L’attore porta in scena un personaggio in cui la convivenza di infantilismo e genio risulta davvero fastidiosa e urticante.
Udite e constatate le straordinarie abilità del giovane autore salisburghese, Salieri si ribella al Creatore che, ai suoi occhi, concede il dono della genialità a un uomo tanto frivolo come sembra Mozart. Il conflitto interiore che alimenta la distruttiva ossessione di Salieri rappresenta il cuore pulsante del dramma. Shaffer non fa confliggere esplicitamente i due e lascia che Amadeus sia il ribaltamento in scena del sentimento di mediocrità che alberga negli esseri umani, ma anche una riflessione sulla natura del talento, sull’ambizione e sulla vulnerabilità dell’animo umano.
Il Salieri voluto dal duo registico di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia e affidato nella resa scenica al primo, è un uomo disciplinato, devoto e rispettabile ma schiacciato dalla consapevolezza della propria mediocrità artistica. La tensione tra i due caratteri crea un dramma emozionale che si snoda tra temi di religione, tradimento e umanità, incarnando l’autentico e umanissimo sentimento dell’invidia e del senso di inadeguatezza.

Francesco Frongia e Ferdinando Bruni – foto Laila Pozzo

La musica di Mozart è elemento centrale dell’opera, simbolo di una bellezza trascendente che sfugge alla comprensione razionale. Dentro uno spazio scenico che mescola, come anche in altri recenti allestimenti del duo registico, elementi materiali con videoproiezioni, l’ambiente dell’azione recitata è di fatto unico, come immaginato fin dai primi bozzetti di scena disegnati da Ferdinando Bruni e disponibili sul sito del Teatro dell’Elfo. L’idea è quella di una semplice, verrebbe da dire quasi “operistica”, prospettiva centrale, con una serie di colonnati a destra e sinistra (con le colonne proiettate, che diventeranno poi candele più avanti nello spettacolo) a rinforzare l’andamento delle quinte. Si creano così piccoli accessi laterali alla scena principale, funzionali all’ingresso e all’uscita di scena dei personaggi, e un fondale di tanto in tanto utilizzato con ombre e figure, per creare un secondo piano, che in realtà non assume mai concretamente nell’allestimento una rilevanza d’azione, restando appunto un regno delle ombre, della corte o della società.
Un antico pianoforte (agli esordi in quei decenni) a sinistra della scena sarà il piccolo campo di battaglia, luogo metaforico del conflitto a distanza tra i due musicisti.

Foto Laila Pozzo

Il lavoro attorale corale è degno di uno spettacolo che può dirsi ormai a giusta ragione un classico del teatro contemporaneo (bene tutti, ci sono piaciuti, anche nel loro contrappunto emotivo rispetto al loro “padrone” Salieri, i due venticelli/ruffiani porta-notizie Lussiana/Buffonini quasi in vena di vogueing in stile Trajal Harrell).
Il testo torna in scena in Italia dopo 10 anni e la regia non si sottrae alla responsabilità, anche pop, di creare un kolossal di ampia fruibilità, in cui volutamente Bruni e Frongia non vogliono comparire troppo oltre il testo, lasciando alla trascinante vicenda e al gioco attorale (ammiccante al punto giusto) il compito di  immergere il pubblico nell’epoca e nella vicenda rappresentata in modo godibile.
Le musiche di Mozart e le luci, curate da Michele Ceglia, giocano un ruolo fondamentale nel delineare l’atmosfera delle scene, enfatizzando i contrasti tra i personaggi e i momenti salienti della narrazione. La parola di Shaffer seduce, mantenendo intatta la sua forza a decenni dalla sua prima rappresentazione. L’allestimento offre al pubblico un’esperienza visiva coinvolgente che, pur non inaspettata rispetto all’immaginario che ci si potrebbe fare prima di entrare in sala, resta suggestiva.
A questo proposito non si può parlare dello spettacolo senza menzionare l’incredibile lavoro reso da Antonio Marras per i costumi, un nucleo creativo che di suo si propone per ampi e meritati riconoscimenti rispetto alle proposte della stagione.

I costumi, disegnati dallo stilista e realizzati dalla maestria sartoriale di Elena Rossi, Alessia Lattanzio, Monica Fedora Colombo e Grazia Ieva, portano in scena non solo sontuosità e meticolosa attenzione ai dettagli, riportando fedelmente agli abiti della corte asburgica del XVIII secolo, ma grazie ad alcuni inserimenti pop e punk (fantastico il “chiodo” rosso di Mozart con le borchie a punta, gli occhiali da sole dei pettegoli venticelli) dialogano in modo sfacciato con il presente, incarnando appunto la ventata di modernità punk-rock che Mozart dovette essere rispetto alla paludata corte. Stupende le parrucche che arrivano per ardimento plastico e argutezza dell’idea scultorea a ricordare quelle surreali di carta di Asya Kozina.
Una componente dello spettacolo determinante ai fini della resa scenica finale.
Ricordiamo, per completezza a proposito dell’artista Marras, che il teatro dell’Elfo – da sempre sensibile ai segni di arte contemporanea – ospita nel corridoio al piano terra che porta alla sala Fassbinder, un lungo mural da lui realizzato, su intonaco e carta, di pregevole fattura e notevole colpo d’occhio.


AMADEUS
prima nazionale

di Peter Shaffer
uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
costumi di Antonio Marras
con Ferdinando Bruni Antonio Salieri
Daniele Fedeli Wolfgang Amadeus Mozart
Valeria Andreanò Costanze Weber, moglie di Mozart
Riccardo Buffonini Venticello, procuratore di informazioni e pettegolezzi
Matteo de Mojana Barone Gotrfried Van Swieten, prefetto della Biblioteca Imperiale
Alessandro Lussiana Venticello, procuratore di informazioni e pettegolezzi
Ginestra Paladino Contessa Johanna Kilian Von Strack / Katharina Cavalieri, cantante
Umberto Petranca Giuseppe II, Imperatore d’Austria
Luca Toracca Conte Franz Orsini-Rosenberg, direttore dell’Opera Imperiale

luci Michele Ceglia
suono Gianfranco Turco
assistente ai costumi Elena Rossi
assistente alla regia Giorgia Bolognani
realizzazione costumi Elena Rossi, Alessia Lattanzio, Monica Fedora Colombo, Grazia Ieva
realizzazione scene Marina Conti, Giancarlo Centola, Tommaso Serra
produzione Teatro dell’Elfo, con il contributo di NEXT Laboratorio delle idee per la Produzione e la programmazione dello spettacolo lombardo
si ringraziano Corti Giuseppe Tessiture Jacquard e Gianni Gallucci per i tessuti e le calzature

Teatro Elfo Puccini, Milano | 24/01/2025