MATTEO BRIGHENTI | La famiglia è vita che continua. Nonostante siamo diversɜ. Noi genitori e noi figlɜ. Non possiamo farci niente. Proprio niente. È uno scontro che attecchisce nel terreno del crescere. E poi, matura in conflitto intorno al diventare. Come ti vuoi tu? Come ti vogliono, invece, i tuoi genitori?
Ma le radici delle verità su di noi – dette, taciute, per sempre inseguite – restano a casa. Sono la casa che ci unisce. O meglio, per i Price di Andrew Bovell, il giardino. Tanto che piante, fiori, attrezzi da giardinaggio, sono tutto il mondo di Cose che so essere vere (Things I Know To Be True) diretto da Valerio Binasco. È il primo allestimento italiano del profondo e incisivo testo del pluripremiato scrittore e drammaturgo australiano, l’autore di When the Rain Stops Falling. Un teatro che abbraccia e non ti lascia volare via.

L’esterno, dunque, è anche interno, nella suggestiva ambientazione di Nicolas Bovey (sue anche le luci) sul palcoscenico del Teatro Metastasio di Prato. “Motore immobile” della storia di Bob e Fran e deɜ loro quattro figlɜ: due femmine, Rosie, Pip, e due maschi, Mark, Ben. Il giardino è lo spazio della famiglia, è famiglia, dove vedi, dici e fai anche quello non dovresti. Cucina, sala da pranzo, salotto, veranda sono completamente immersi nel verde. In più, ruotano: la scena, infatti, gira in continuazione. Come le stagioni e i nomi deɜ figlɜ, che si alternano proiettati sulla grande tenda a fili sul fondo, dividendo la vicenda in capitoli e spostando l’attenzione del pubblico dall’unǝ all’altrǝ.
Quando un particolare è in luce, ce n’è sempre un altro nell’ombra. E a ogni verità svelata corrisponde un segreto nascosto. In questo moto di rivoluzione quanto di rivelazione, i punti fermi, i termini fissi “d’etterno consiglio” dantesco, sono il padre e la madre, Bob e Fran. Lo stesso Binasco e Giuliana De Sio danno loro accenti e silenzi, toni e semitoni di un’umanità disarmante nella sua sincerità e immediatezza, ora combattiva, ora arresa. Siamo di fronte a una magnifica coppia scenica, che sa farsi tramite e sponda di una vitalità interpretativa che raramente si vede sui palchi italiani.

Qui scorre la vita, a cominciare dall’improvviso e affrettato ritorno di Rosie dall’Europa in Australia, dove abita ancora con i genitori. Deve essere successo qualcosa. Anzi, è successo qualcosa. Fran ne è convinta – una madre lo sa. È successo che iɜ figlɜ sono un riscatto impossibile per i genitori. Hanno dato loro tutto, sperando che qualcosa tornasse indietro, ma non ritorna o, più precisamente, torna in modi e forme che non si aspettano, che non riconosco fino in fondo.
Bob, da padre, scusa le figlie e attacca i figli, li misura e giudica su quello che ha e ha avuto lui. Fran, da madre, a sua volta scusa i figli e attacca le figlie, le misura e giudica su quello che prova e ha provato lei. Il giardino, allora, è anche metafora del coltivare come espressione della volontà genitoriale di governare l’esistenza altrui, e l’esistente, in generale.

A poco a poco, in questi “giri di giostra” che diventano spirali, si fa largo la violenza dello straparlare per cercare, nel passato, le ragioni, le colpe delle cose che non vanno oggi. La verità ultima, però, è la prima che ho detto: noi genitori, noi figlɜ, siamo diversɜ. E pensiamo di meritarci la nostra propria felicità. Cose che so essere vere (Things I Know To Be True) interpreta, dunque, quattro aspirazioni per essere felici al di là delle aspettative e dell’amore di mamma e papà.
Per Rosie, che Giordana Faggiano restituisce come una commovente custode dei legami, è riconoscere dentro sé la strada che la porti ad andare via di casa. Per Pip, cui Stefania Medri infonde tenerezza e determinazione, è tornare ad amare per davvero, è sentirsi pienamente donna nell’amore di un uomo. Per Mark, a cui Giovanni Drago consegna un’ardente inquietudine, è dare spazio finalmente a chi è, senza nascondersi né voltarsi più indietro. Per Ben, che Fabrizio Costella trova nell’unione di aggressività e arrendevolezza, è essere di successo come glɜ altrɜ di successo, a tutti i costi.

Alla fine, arriva anche la resa dei conti tra gli adulti. Prima che tanto vada perduto, Bovell dà tempo a marito e moglie, a Bob e Fran, di parlarsi con franchezza, di guardarsi negli occhi e dirsi dell’amore mutato prima in disamore poi in sacrificio: accontentarsi e tirare avanti per il bene della famiglia, più che per il proprio. È quando manca l’ascolto dell’altrǝ che nascono le incomprensioni, e di conseguenza i problemi.
Speravano entrambi in una vita ormai tranquilla, serena. E invece il caos è fin da subito al telefono, che squilla. Bob risponderà, il giardino si tingerà di rassegnazione e addio. Eppure i Price, nonostante tutto, si ritroveranno. Per quello che sanno, di sé e della famiglia, e per quello che sono diventatɜ. Cose che so essere vere (Things I Know To Be True) sono il teatro, che quando è vita vera, ti trasforma. Accogliendo le tue emozioni tra le sue.
COSE CHE SO ESSERE VERE
(THINGS I KNOW TO BE TRUE)
di Andrew Bovell
traduzione Micol Jalla
regia Valerio Binasco
con Giuliana De Sio, Valerio Binasco, Fabrizio Costella, Giovanni Drago, Giordana Faggiano, Stefania Medri
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Alessio Rosati
suono Filippo Conti
video e pittura Simone Rosset
assistenti regia Fiammetta Bellone, Eleonora Bentivoglio
assistente scene Francesca Sgariboldi
assistente costumi Rosa Mariotti
tirocinante Università di Torino/D.A.M.S. Beatrice Petrella
tirocinante Accademia Teatro alla Scala Marina Basso
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Bolzano / TSV – Teatro Nazionale
in accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di HLA Management Pty Ltd
Teatro Metastasio, Prato | 30 gennaio 2025