GIULIA BONGHI | Il Teatro Regio di Parma ha recentemente ospitato un nuovo allestimento firmato da Emma Dante: Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi. L’opera, spesso trascurata rispetto ai grandi capolavori verdiani, non è stata eseguita secondo l’autografo verdiano ma con le censure ottocentesche. Debuttata nel febbraio del 1845, Giovanna d’Arco preannuncia già le opere future: vi si riconoscono quelle audaci scelte stilistiche e strutturali sempre più abili nel restituire, nella loro essenza più profonda, caratteri psicologici articolati.

Il libretto di Temistocle Solera si distacca notevolmente dalla realtà storica per offrire una narrazione più romantica e teatrale.
Giovanna d’Arco, conosciuta anche come la Pulzella d’Orléans, fu una giovane contadina francese nata nel 1412. Durante la guerra dei Cent’anni, affermò di avere visioni divine che la chiamavano a guidare la Francia contro gli inglesi. Convinta della sua missione, si presentò alla corte di Carlo VII e ottenne il comando di un esercito. Grazie alla sua guida, i francesi riuscirono a liberare Orléans e a condurre Carlo VII all’incoronazione a Reims. Tuttavia, Giovanna fu catturata dai Borgognoni, venduta agli inglesi e processata per eresia. Condannata al rogo, morì nel 1431 a Rouen. Nel 1920 fu canonizzata dalla Chiesa cattolica.
La differenza principale tra la realtà storica e l’opera verdiana sta nella caratterizzazione della protagonista. Storicamente, fu una figura politica e militare con un destino legato alle vicende del suo tempo, che si concluse con la condanna al rogo. Nell’opera di Verdi, invece, la sua vicenda è più intima e mistica, con un’enfasi sul conflitto interiore. Giovanna non è solo una guerriera ispirata da Dio, ma una giovane donna combattuta tra la fede e il suo lato più umano, il dovere divino e l’amore terreno. Suo padre Giacomo l’accusa di essere posseduta dal demonio e la tradisce, portandola a essere catturata. Tuttavia la sua anima rimane pura e, in un finale fortemente idealizzato, Giovanna viene liberata per poi morire in battaglia. Viene accolta in paradiso tra gli angeli, in un’ascensione gloriosa che trasforma la sua fine tragica in un trionfo spirituale. Anziché essere bruciata viva, nel dramma verdiano viene glorificata e trasfigurata in un simbolo di purezza e redenzione.

Anche Friedrich Schiller, nel suo dramma Die Jungfrau von Orleans (La Pulzella d’Orléans), si discosta dalla realtà storica ma con un approccio diverso rispetto al libretto di Solera: Schiller trasforma Giovanna in un’eroina tragica e romantica, accentuandone il lato umano e la dimensione interiore del conflitto tra la missione divina e i sentimenti personali. Nel suo dramma, Giovanna si innamora di un cavaliere inglese, Lionel, introducendo un elemento romantico assente nella storia reale. Tuttavia, a differenza dell’opera verdiana, Giovanna non è tradita dal padre ma dal destino e dai propri sentimenti. Anche nella versione di Schiller, Giovanna muore gloriosamente in battaglia, in un atto di sacrificio e redenzione che la eleva a figura eroica e mitica.
Emma Dante, nota per il suo approccio teatrale fortemente simbolico e corporeo, ha restituito la vicenda di Giovanna d’Arco in una narrazione sospesa tra misticismo e realtà. La sua regia evita qualsiasi retorica agiografica, mettendo in scena una donna tormentata, divisa tra il dovere e il desiderio, tra la fede e i sentimenti umani:
«Nella mia idea di messa in scena, dalle ferite nascono i fiori, già nell’ouverture, infatti, i soldati francesi torneranno dalla guerra mutilati ma fioriti», spiega Dante nelle note di regia. «Per tutta la sinfonia iniziale sfilerà un’umanità devastata dalla guerra e dopo che i soldati si strapperanno di dosso la divisa rimanendo a torso nudo, lentamente si accasceranno, attirati dal mucchio di cadaveri, uno sopra l’altro […] Dal mucchio dei cadaveri nascerà il grande albero dove il re deporrà le armi, dopo aver sognato la Vergine che gli ordina di abdicare. Il grande albero pieno di rami e radici accoglierà il sogno di Giovanna. La pulzella d’Orléans è “diversa” da tutti e da tutte, ha visioni mistiche, sente le voci, sogna in maniera forsennata. Forse è pazza, forse è una santa ispirata dal cielo, forse è una strega succube degli spiriti malvagi, ma certamente è una donna eccezionale».

Le scene essenziali ma evocative – firmate da Carmine Maringola – sfruttano elementi di grande impatto visivo. I fiori sono un simbolo ricorrente: germogliano dalle ferite dei soldati, si avviluppano attorno agli archi scenici, infine adornano la tomba di Giovanna.
Il M° Michele Gamba analizza la partitura, sottolineando come l’opera riveli una scrittura raffinata e intimista, già lontana da un Verdi giovanile. Nonostante fosse pensata come un grand opéra, Giovanna d’Arco presenta una struttura cameristica, con pochi personaggi e un’atmosfera raccolta. Evidenzia inoltre l’influenza di Donizetti, paragonando l’opera a Lucia di Lammermoor e Linda di Chamounix, per la centralità della protagonista femminile in uno stato psicologico estremo. Tuttavia, manca un elemento tipico del melodramma donizettiano: il duetto tra tenore e baritono.
Un aspetto chiave è il misticismo che permea l’opera: Giovanna è colta da visioni e deliri e il compositore sembra più interessato al rapporto padre-figlia, uno dei suoi temi ricorrenti, piuttosto che al legame amoroso con Carlo. La narrazione stessa è filtrata attraverso le visioni di Giovanna e lo sguardo intimista del padre Giacomo.
Il maestro propone un approccio più fine, lavorando sulle sonorità e sulle dinamiche orchestrali per valorizzare la delicatezza della scrittura verdiana, evitando di ridurla a una semplice espressione di impeto risorgimentale.
La Filarmonica Arturo Toscanini si destreggia tra le strutture dell’opera – tradizionali e belcantistiche – e le soluzioni musicali che sottolineano la dimensione interiore di Giovanna e anticipano il Verdi maturo: motivi ossessivi, valzerini e sonorità che evocano la frammentazione mentale della protagonista. Tuttavia non mancano influenze stilistiche, riprendendo alcuni schemi musicali da Ernani e I due Foscari, due opere precedenti del compositore stesso.

Il Coro del Teatro Regio di Parma, diretto da Martino Faggiani, non delude il pubblico nemmeno questa volta, per quanto le masse siano gestite con una certa staticità. Predominanti sono invece le coreografie di Manuela Lo Sicco. Molto bravi sono i mimi e i danzatori, che personificano gli spiriti del bene e del male, e accompagnano costantemente la protagonista nel suo viaggio ascetico e guerresco.
Vocalmente si distingue fra tutti Ariunbaatar Ganbaatar, baritono nel ruolo di Giacomo, dal timbro intenso e voce piena, ben sostenuta. Sono altresì pregevoli Nino Machaidze, nei panni, non perfettamente adeguati alla sua voce, di Giovanna; Luciano Ganci, un Carlo vagamente etereo; Francesco Congiu e Krzysztof Baczyk, giusti nei ruoli di Delil e Talbot.
In definitiva, una Giovanna d’Arco maggiormente spogliata della sua umanità, allucinata, iconica e fuori dal tempo, il cui dramma personale si intreccia con il destino della Francia, in un’opera che fonde poesia visiva, simbolismo e intensità emotiva.
GIOVANNA D’ARCO
Dramma lirico in tre atti, dal dramma “Die Jungfrau von Orléans” di Friedrich Schiller
Libretto di Temistocle Solera
Musica di Giuseppe Verdi
Carlo VII Luciano Ganci
Giovanna Nino Machaidze
Giacomo Ariunbaatar Ganbaatar
Delil Francesco Congiu (già allievo dell’Accademia Verdiana)
Talbot Krzysztof Baczyk
Filarmonica Arturo Toscanini
Direttore Michele Gamba
Coro del Teatro Regio di Parma
Maestro del Coro Martino Faggiani
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Luci Luigi Biondi
Coreografie Manuela Lo Sicco
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
Teatro Regio di Parma | 1 febbraio 2025