MARIA FRANCESCA SACCO / PAC LAB* | Quando si parla di teatro in carcere, spesso la riflessione si concentra sul valore sociale ed educativo, mettendo in secondo piano la dimensione artistica e tecnica della performance. Tuttavia, c’è chi cerca di rovesciare questa prospettiva, proponendo un approccio che restituisca al teatro il suo valore profondo e autentico, indipendentemente dal contesto. È il caso di Alessia Gennari, regista e protagonista di un progetto all’interno del carcere di Vigevano. La sua esperienza con la compagnia Rumore d’Ali Teatro, composta da detenuti, non si limita a perseguire obiettivi collettivi ma mira a costruire una vera compagnia teatrale dove ricerca, formazione e lavoro attoriale siano al centro. Un percorso con un focus sulla qualità e sulla responsabilità artistica.
Abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci con Gennari per capire meglio come stia cambiando il panorama del teatro in carcere e quale valore si nasconda dietro ogni rappresentazione.



Lei da molti anni si occupa di teatro come regista ma ha lavorato anche nella ricerca, mi riferisco alla sua esperienza di Dottorato. Da quanto tempo lavora con i detenuti e cosa l’ha spinta a intraprendere questa esperienza?

Lavoro nel carcere di Vigevano dal 2014: inizialmente ero stata chiamata solo per condurre un laboratorio nella sezione maschile, poi nel 2016 il mio lavoro ha incontrato quello di Iris Caffelli e di Format Art e il laboratorio che gestivo in modo autonomo è diventato parte di un progetto più strutturato, all’interno di un’iniziativa associativa e del progetto POR FSE, finanziato da Regione Lombardia, che promuoveva attività professionalizzanti nelle carceri. Nel 2021, con l’ingresso nel progetto Per Aspera ad Astra – una rete nazionale guidata dalla Compagnia della Fortezza di Armando Punzo – il laboratorio si è evoluto in una vera e propria compagnia teatrale, con il supporto di professionisti e maestranze legate al teatro. In questo modo, abbiamo potuto dare una struttura solida a un progetto che già aveva una sua continuità.
Non avevo mai pensato di lavorare in un carcere, più di dieci anni fa, quando mi è stata proposta questa opportunità l’ho accettata con una certa dose di incoscienza, ma è stata un’esperienza molto intensa, che ha dato nuova vitalità al mio mestiere. Lì il lavoro acquista un valore aggiunto perché diventa parte di qualcosa più grande di me.

Com’è costituito il gruppo con il quale lavora nel carcere a Vigevano?

Il gruppo con cui lavoro non è omogeneo e risulta anche piuttosto instabile. Capita spesso che molti partecipanti vengano trasferiti oppure concludano il loro percorso e perciò lavoriamo con un gruppo in continua evoluzione: persone che arrivano, partecipano per mesi e poi se ne vanno. Alcuni restano più stabilmente ma in generale è un ciclo continuo di incontri, formazione e ricostruzione del gruppo. Nonostante ciò, abbiamo una metodologia consolidata che ci consente di mantenere alta la qualità del lavoro, anche in presenza di questi cambiamenti. Ormai siamo abituati a lavorare in questo contesto e non è più un fattore di disturbo.

ph. Masiar Pasquali


Per la creazione degli spettacoli, come EGGS_Tutto sull’amore e altri vegetali, in che modo scegliete i temi da portare in scena?

Di solito partiamo da un interesse o un desiderio che condivido con i collaboratori e gli attori. Per esempio, nel caso di Eggs, siamo partiti dalla mia curiosità di esplorare il tema dell’amore. Ho discusso con la drammaturga Federica Di Rosa per capire se potesse suscitare interesse e, alla fine, abbiamo deciso di partire dal saggio di bell hooks Tutto sull’amore. Questo testo ha guidato il nostro percorso poiché volevo affrontare l’amore da una prospettiva politica: come forza motrice per la società. Da lì, abbiamo costruito un discorso che fosse al tempo stesso globale ma sempre radicato nelle esperienze personali di ognuno di noi e la drammaturga ha poi riscritto il materiale in base alle riflessioni emerse. Parallelamente, abbiamo lavorato molto sul corpo con il coreografo Edoardo Mozzanega, sviluppando esercizi che rappresentassero l’amore, usando il movimento come linguaggio espressivo. È stato un lavoro sinergico tra discussioni, dialoghi e il corpo, che ha portato a un’evoluzione del gruppo e di noi stessi durante il processo.
Credo che sia un lavoro con un grande potenziale, perché affronta il tema dell’amore, argomento quasi escluso da un luogo come il carcere. In un contesto dove i contatti affettivi sono limitati e dove si tende a non trattare concetti come cura, fiducia e amore, approfondire questi temi è stato particolarmente significativo. Per i detenuti coinvolti, questo progetto ha attivato un percorso di riflessione profonda e, pur partendo da un contesto patriarcale e segnato da mascolinità tossica, siamo riusciti a provocare una riflessione universale che non parlasse solo del carcere ma del mondo in generale. Questo è il nostro obiettivo: non fare un lavoro sui luoghi di reclusione, ma creare riflessioni che possano andare oltre e possano abbracciare tutti gli esseri umani.

ph. Masiar Pasquali


Avete altri progetti in cantiere?

Ci stiamo dedicando soprattutto alla vita di Eggs, che ha debuttato a dicembre. Speriamo che lo spettacolo possa essere rappresentato in più luoghi e raggiungere un pubblico più ampio. Al contempo, lavoriamo su nuovi progetti che possono nascere da idee all’interno del gruppo. Per esempio, un attore ci ha portato un testo che aveva scritto e partendo da lì è nato un nuovo racconto.
Ogni progetto è diverso e i percorsi si intrecciano in modo imprevedibile. Lavoriamo io, la drammaturga e il coreografo e, quando abbiamo una direzione chiara, coinvolgiamo gli attori nel processo creativo, sia a livello di scrittura che di messa in scena. Il lavoro prosegue poi con il contributo della scenografa Dominique Raptis, la costumista Sara Ricciardi, e il supporto tecnico gestito da Francesca Canzi e altri collaboratori. La nostra impostazione è sempre quella di portare avanti progetti teatrali che siano sia artistici che professionali, con una relazione forte con il contesto ma senza voler essere visti come interventi educativi o terapeutici. Vogliamo fare ricerca artistica, pur nel contesto in cui lavoriamo.

PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture in collaborazione con docenti e università italiane per permettere la formazione di nuove generazioni attive nella critica dei linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac accoglie sul sito le recensioni di questi giovani scrittori seguendone la formazione e il percorso di crescita nella pratica della scrittura critica.