CRISTINA SQUARTECCHIA l Ritorna la danza al Teatro delle Muse di Ancona  con una non nuova creazione di Michele Di Stefano. Del coreografo romano – Leone d’Argento 2014 – si propone un lavoro nato durante il periodo pandemico ma di assoluto interesse compositivo: il rifacimento di un classico del balletto, Il regno delle ombre da La Bayadère, realizzato nel 2021 per il Nuovo Balletto di Toscana diretto da Cristina Bozzolino. Desta curiosità questa versione contemporanea del solo atto III del balletto, nato nel 1877 per opera di  Marius Petipa a San Pietroburgo. Tra le tante coreo-regie dei più blasonati titoli classici del repertorio ballettistico come Schiaccianoci, Coppelia, Carmen, Lago dei Cigni, mancava all’appello quella della Bayadère, e in particolare il solo atto bianco delle ombre. Michele Di Stefano, artista poliedrico, arrivato alla scrittura coreografica attraverso altre vie artistiche come l’architettura e la performing art, ha guardato a questo lirico Regno delle ombre con curiosità creativa e gusto esplorativo.

Ph. @salvoliuzziphotographer

In una San Pietroburgo brulicante di ballerine provenienti dall’Italia e dalla Francia,  di storie di viaggiatori europei in India, Marius Petipa, nel desiderio di trattare temi universali come l’amore, la morte, il tradimento e la gelosia, dà forma alla genesi de La Bayadère, su ispirazione dello scrittore e drammaturgo Sergej Chudekov e di altri balletti affini, in scena sui palchi dei principali teatri europei intorno alla prima metà dell’Ottocento.
L’orientalismo e il gusto per l’esotico trovarono accoglimento nelle composizioni di Ludwig Minkus, dotate di tensione drammatica nelle linee melodiche, per confezionare la tragica storia de la Bayadère – in russo ‘la danzatrice del tempio’ – qui, Nikija. Di lei si innamorano il guerriero Solor, già promesso alla figlia del Rajah, Gamzatti e il Bramino. Solor prova vero amore per Nikija e lo giura per l’eternità intorno al fuoco, ma la gelosia del Bramino porta quest’ultimo a svelare l’amore segreto tra i due alla corte del Rajah. Gamzatti, che ha così scoperto tutto, invita a palazzo la giovane Nikija per informarla del suo matrimonio con Solor e dell’inganno di cui è stata vittima. Durante la festa di fidanzamento viene dato a Nikija un cesto di fiori che nasconde un serpente velenoso che la morde e la ucciderà. Solor, in preda al dolore, fuma l’oppio e sogna di cadere nel regno delle ombre, tra le quali ritrova la sua Nikija, a cui chiederà perdono.

ph Monia Pavoni

Lontani da quel candore spirituale, da quella nuvola bianca che invade lo spazio scenico nella storica versione del 1877, per Michele Di Stefano nel sogno di Solor non ci sono le 32 ballerine in tutù bianco che scendono da un lieve pendio ma un’atmosfera cupa e misteriosa, dai colori scuri, che avvolge la scena. Le ombre, agli antipodi dalle visioni celestiali, hanno altre sembianze, a metà tra riflessi e materie sfuggenti, sono scie che attraversano la scena animate da corpi vibranti e materici in shorts e magliette nere del Nuovo balletto di Toscana. Di quelle ombre il coreografo, infatti, lascia echi di memoria della storica struttura conservando il disegno spaziale e la tensione visiva su un tessuto sonoro elettronico –  curato da Lorenzo Bianchi Hoesch – che apre, di tanto in tanto, alla melodia del violino di Minkus.
Il Regno delle ombre è un viaggio nel misterioso e polisemico significato dell’ombra: un simbolo minaccioso e inquietante, lato oscuro del nostro ego – junghianamente parlando – oppure essere l’ombra di qualcuno o vivere all’ombra dell’anonimato; il coreografo  Di Stefano esplora questi significati partendo dal balletto del 1877. Così come dalle gole dell’Himalaya o simbolicamente dal proprio inconscio, le ombre scendono ora a ritmo di processione sull’adagio di Minkus, ora invece sfrecciano tagliando la scena in linea orizzontale. Seguono traiettorie circolari come in un percorso irreversibile entrando e uscendo da destra verso sinistra sfumando i movimenti e le pose della storica versione: arabesque – penché – cambré – port de bras.
A gran velocità, mescolano la forma perfetta del cristallo classico con passaggi e soluzioni modern che lasciano nello spazio fasci spiraliformi di danza pura. Vengono a crearsi così piccole isole di movimento come campi magnetici di alta concentrazione energetica, alcuni sovrapponendosi, altri sfumandone i contorni e richiamando un’atmosfera cinetica che ricorda Bermudas, la creazione Premio Ubu 2019 come migliore spettacolo del coreografo romano. Un tratto distintivo che Michele Di Stefano ha affinato nel corso della sua ricerca, più con la vocazione da esploratore della cinetica che da coreografo puro, nel vortice di quel movimento che va dalla frenesia alla staticità, in costante relazione con lo spazio e le sue possibilità direzionali.

ph Monia Pavoni

L’essenza cinetica che i ballerini riproducono nei primi dieci minuti della pièce si radicalizza fino a ricreare quella geometria perfetta che ricorda la coreografia storica, in coincidenza con lo svelamento dato dal velatino posto sull’arcoscenico, che si solleva eliminando del tutto quel confine tra sogno e realtà. Una tregua dove tutto si schiarisce, le ombre svaniscono e nella luce i corpi si allineano  per ricostruire quel quadrato perfetto,  nel quale la danza cede il passo alla posa, alla frontalità che ha il sapore di una auto-affermazione riproducendo le pose plastiche della danse d’école.
Si distinguono i due protagonisti, una danzatore e una danzatrice, forse Solor e Nikija, con indosso due numeri sotto la T-shirt nera, come se fossero a un’audizione prima di essere selezionati.
Quell’entrare e uscire dal fascio di luce è un elemento tecnico di cui il coreografo Michele Di Stefano si serve per giocare con lo svelamento delle cose, nel passare da una zona d’ombra o uscire allo scoperto e imporsi volutamente allo sguardo dello spettatore con pose da copertina, assunte in geometrie perfette.
Si respira in questo destreggiarsi di in e out qualcosa di alchemico e occulto in un’atmosfera che attrae ma al contempo sfugge, tra l’esibito e il lato nascosto delle cose.  La danza segue questa stessa linea estetica, un passo a due e poi rotture che creano caos fino a sovraccaricare la scena di virtuosismi, le ombre, con i loro ingressi repentini, incombono come la morte, sempre pronta a minacciare le nostre vite.
Misteriose e invisibili ma percepibili dai nostri sensi, le ombre che ci inseguono a volte come guida, altre volte come minaccia, sono li per riassestare le nostre vite, come nel finale a cui giunge Di Stefano ribaltando la fine con l’inizio. Mentre scorrono in crescendo le note finali della partitura di Minkus, in proscenio una danzatrice, forse Nikija, in posa plastica e dall’aria fiera ci guarda: alle sue spalle i danzatori scorrono verso l’uscita richiamando – come nell’ingresso – quell’ordine processionale della coreografia storica: arabesque – penché – cambré – port de bras. Una sequenza che si ripete come in un rituale che ciclicamente ritorna, sfumando fino all’ultima scia con giri vorticosi dell’ipotetico Solor.


BAYADÈRE – Il regno delle ombre

Nuovo Balletto di Toscana
coreografia Michele Di Stefano
musica Ludwing Minkus
musiche originali Lorenzo Bianchi Hoesch
costumi Santi Rinciari
luci Giulia Broggi
Fonti storiche di riferimento

  • Marta Mele “La forma sonata coreografica ne “Il Regno delle Ombre” de “La Bayadère” di Marius Petipa rivelata negli scritti di Fëdor Lopuchov” in Danza e Ricerca numero 16, 20 dicembre 2023.
  • Violetta Mainiece “La bayadère, le origini: Marius Petipa” in Libretto di sala al Teatro alla Scala stagione 2023/24.

Ancona, 25 gennaio 2025