CHIARA AMATO / PAC LAB* | All’interno di un contesto urbano industriale degli anni ’40 ha sede lo Spazio Tertulliano di Milano che, sotto la direzione artistica di Giuseppe Scordio, si pone come una location polifunzionale, in grado di accogliere molteplici espressioni artistiche e culturali. Qui ha debuttato lo spettacolo Else della Compagnia Corrado d’Elia, con la regia di Davide Gasparro, che propone una moderna rivisitazione della novella La signorina Else di Arthur Schnitzler.
La Compagnia continua il percorso di Teatri Possibili – Teatro Libero, fondato dal regista e attore Corrado d’Elia nel 1996 e che dal 2015 ha visto una forte collaborazione dell’attrice Chiara Salvucci, artista poliedrica, che proprio in questo allestimento ha portato la sua esperienza sia nell’interpretare la protagonista sia nell’ideare la scenografia.
L’opera, attraverso il monologo interiore di Else, vuole essere una critica alla società viennese contemporanea all’autore. L’intreccio è molto semplice: una giovane donna di buona famiglia viene pregata dai genitori, tramite molte lettere, di riparare ai disastri finanziari paterni. La richiesta è di farsi prestare la somma riparatoria dal signor von Dorsday, un ricco amico di famiglia (o almeno presunto tale) che però vorrà in cambio una contropartita particolare: vedere nuda la ragazza. Else, traumatizzata e inorridita, sceglie di compiere un’azione forte: mentre è in vacanza con la zia, si mostra nuda all’interno della hall dell’albergo dove alloggiano. Questo porta a pettegolezzi e allo scandalo nella buona società, ma nessuno si preoccupa di capire cosa stia accadendo né ci si domanda perché Else, esasperata dai fatti e dalla profonda solitudine, decida di suicidarsi.
Non a caso nel testo ispiratore riecheggiano con frequenza, nella seconda parte, le parole bisbiglio e solitudine, proprio per sottolineare la contrapposizione tra la compatta e sussurrata grettezza dell’alta borghesia e l’emarginazione della giovane protagonista.
La scena, ideata da Chiara Salvucci in collaborazione con Luna Maiore e Chiara Negrisoli, è scarna ma organizzata con gusto: una moquette verde copre il palco e sullo sfondo vi è un tendaggio in pendant; sulla destra è posizionato un piccolo sofà, sulla sinistra uno specchio, un carrello bar e un microfono con asta steso al suolo.
Lo spettacolo inizia dal finale della novella, con le voci fuori campo della zia Emma (Valeria Ducato) e di von Dorsday (Andrea Bonati) che non capiscono perché Elsa si sia denudata pubblicamente. Lo spettatore, ignaro della vicenda, solo a conclusione della pièce potrà ricollegare quanto sia accaduto. Da qui, a ritroso, assistiamo allo sviluppo dei pensieri della protagonista, che si presenta in scena incappucciata da una felpa nera e con ai piedi anfibi scuri, come se l’abito volesse già fornirci informazioni in merito al personaggio: una ragazza piena di pensieri tetri, che non le lasciano vivere con spensieratezza la sua età.
Else vuole fare l’attrice e non tollera i commenti della zia in merito al doversi sistemare con un uomo dell’alta società: «la bellezza è la vera virtù di una donna» e altri commenti simili ingabbiano il ruolo femminile come fosse un’appendice, esteticamente piacevole, degli uomini. L’interpretazione dei due personaggi femminili è agli antipodi: mentre Ducato si mostra frivola, elegante e leziosa (e non a caso indossa un abito di velluto rosso, stola crema e tacchi a spillo), Salvucci invece è cupa, riottosa e piena di passione. In particolare il personaggio di zia Emma riesce a essere molto affine alla descrizione che ne forniva Schnitzler, mentre per il ruolo di Else la regia ha optato per una chiave attuale e contemporanea, a scapito della profondità del dramma presente nel flusso di parole che il testo presenta.
Tra loro due si colloca la figura ambigua di von Dorsday, un uomo elegante e facoltoso, in frac nero, ma che non si fa scrupoli nel pretendere da una adolescente un compenso in natura per un prestito di denaro ai genitori; ha un atteggiamento viscido e distaccato, e in società nasconde la sua vera anima.
Al momento dell’arrivo delle lettere inviate dai genitori di Else alla loro amata figlia, Ducato e Bonati si cambiano d’abito e interpretano anche questi ruoli: rileggono le parole di Schnitzler al microfono con un effetto di eco. La sensazione è che quelle richieste siano un obbligo che cade dall’alto sulla giovane figlia, così come la luce dall’alto tinge di rosso i due genitori: appaiono quasi mefistofelici nel pesare così fortemente su Else e il tono della rappresentazione si incupisce.
Sul palco c’è poco movimento scenico e viene dato più spazio alla parola e alla recitazione, che risentono però di una costruzione ancora acerba dello spettacolo in alcuni passaggi non particolarmente coinvolgenti.
Le luci, pur con uno schema semplice e lineare, aiutano a restituire calore nei momenti più drammatici, concentrandosi sui singoli personaggi, mentre si aprono al centro della scena nei passaggi dialogici. La maggiore intensità si percepisce nei monologhi di Else dove l’illuminazione si tinge di verde, donando alla scena un tocco magico, quasi da sogno, e richiamando alla memoria un certo gusto alla David Lynch. Veniamo così immersi in questa dimensione onirica e in un groviglio di paure.
La componente musicale che interviene in alcuni passaggi non aggiunge valore alla realizzazione scenica – nonostante la bellezza del Valzer per un amore di De André – tranne per l’episodio in cui Else balla da sola liberandosi di tutto, godendosi la sua catarsi. Qui il suo muoversi, quasi tribale, confuso e senza schemi, colpisce nel segno, restituendo pathos al momento di consapevolezza che la protagonista sta vivendo.
I molti temi trattati avrebbero potuto ravvivare questa rappresentazione: il rapporto con una famiglia meschina e opportunistica; il peso delle apparenze in società – «ciò che conta è che tutto sembri perfetto» – i costumi imposti alle donne; la morte vista come via di fuga e infine i turbamenti giovanili.
L’impressione che però resta è la mancanza di un approfondimento psicologico, elemento invece molto presente nel testo ispiratore. Si resta un po’ in superficie, con una recitazione spesso gridata, che però non riesce a dare vigore ai sentimenti nonostante la generosità dei decibel.
ELSE
di Corrado D’elia
regia di Davide Gasparro
con Chiara Salvucci, Andrea Bonati e Valeria Ducato
assistente regia Angelica Brocato
scene Chiara Salvucci
collaborazione scene Luna Maiore, Chiara Negrisoli
tecnico Francesca Brancaccio
produzione Compagnia Corrado d’Elia
Spazio Tertulliano, Milano | 4 febbraio 2025
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.