LEONARDO CHIAVENTI / PAC LAB* | Cosa resta dell’epica quando le sue tracce sono ormai scomparse insieme al tempo che le aveva ospitate? Quali ricordi vengono conservati di quelle gesta così gloriose da chi le ha solo potute ascoltare?
Elena Arvigo, una delle voci più affermate del teatro italiano, porta in scena un poemetto tratto dall’opera Quarta Dimensione di Ghiannis Ritsos. Elena è un testo che racconta la solitudine della semidea per cui è iniziato uno dei più noti conflitti della storia, la guerra di Troia. Tuttavia, nei versi del poeta greco, il mito che ha sempre avvolto il suo nome scompare, lasciando spazio al corpo di una donna che ha lasciato andare per sempre il mondo che l’aveva imprigionata.
Sul palco del Teatro Torlonia di Roma, tra le ombre della scenografia, si scorge una figura addormentata, seduta in una poltrona da salotto borghese di fine Ottocento. Nel mentre, una donna dalla veste nera cammina, senza mai proferire parola, tra gli spettatori che ancora devono prendere posto. Lo spettacolo inizia con la figlia di Leda che si versa un bicchiere, poi sbadiglia, si sistema la vestaglia e si alza dalla sua vecchia poltrona che prima aveva accolto il suo sonno. Anziana, senza più nessuno accanto che le dia conforto, Elena è persa tra i ricordi frammentati di una casa che non le appartiene più e tra le mura di un palazzo che le rammenta solo quello che ha perso e che non potrà mai più riavere.
Così inizia il suo racconto e questo spettacolo: tra i ricordi di un mito passato e l’attesa di una morte che sembra dover arrivare in un prossimo futuro.

Il senso della morte accompagna l’intero corso della rappresentazione. È interessante notare come la regina di Sparta intraprenda un percorso il cui fine non è una maggiore cognizione riguardo ciò che ha vissuto; fin da subito è infatti evidente che Elena abbia coscienza critica della propria vita: Elena condivide i suoi ricordi perché spera che in questo modo non tutto vada perduto.
Come nei Monologhi dell’Atomica (premio Le maschere del teatro 2023), in cui Arvigo aveva narrato la tragedia della centrale di Černobyl’ nel 1986 e l’esplosione della bomba atomica sulla città di Nagasaki nel 1945 attraverso le voci femminili presenti a quegli eventi, anche qui l’autrice racconta un dramma dalla prospettiva delle donne.
Il dramma di Elena, la sua tragedia da moglie/trofeo, è narrata attraverso parole che riflettono una grande umanità femminile. Insieme ad Arvigo, Monica Santoro segue questo cammino della memoria con la sua musica, alternanza di voce e flauto traverso. Tuttavia, l’equilibrio tra le due interpreti risulta essere debole, non riuscendo a trasmettere la sintonia necessaria affinché lo spettatore percepisca la complessità delle emozioni portate sul palco. Differentemente da Arvigo, Santoro ha una maggiore libertà nei movimenti: la performer gira e si nasconde, si allontana e ritorna negli spazi del teatro. La forza che dovrebbe scaturire da ciò non riesce però a separarsi da una confusione generale che compromette la leggibilità dell’opera. La scenografia, invece, curata da Arvigo stessa, nella sua semplicità rispecchia bene l’anima della rappresentazione.

Arvigo accompagna lo spettatore in un viaggio nella mente anziana della regina di Sparta, tra i suoi ricordi più intimi e quelli che sono sopravvissuti al progredire dell’età. Questo viaggio è un manifesto sulla relazione che intercorre tra il proprio corpo e la memoria. Se nell’opera sui disastri atomici la carne era la tela dove si potevano scorgere le atrocità subite, nel testo di Ritsos il corpo è il simbolo del tempo trascorso e il monito che sopraggiunge per rammentare quanto sia necessario ricordare la propria storia e il proprio mito, per comprendere meglio il mondo in cui abitiamo.
Il valore politico dello spettacolo, poi, è un tema fondamentale: il testo è stato scritto da Ghiannis Ritsos durante la dittatura dei colonelli in Grecia e la scelta di utilizzare personaggi della mitologia greca è stata dettata dalla necessità di aggirare la censura che vigeva in quegli anni. In ogni parola che Elena pronuncia si nasconde il desiderio di denuncia e soprattutto la necessità di porre in evidenza la memoria come valore civile all’interno della propria comunità.

Seppur con alcune criticità riguardo l’omogeneità della rappresentazione, lo spettacolo si presenta come una interessante visione riguardo le fragilità della vita e come un avvertimento sull’importanza della memoria come valore civile e politico: oltre a offrire una interpretazione notevole di Elena Arvigo. Attraverso gli indizi frammentati del racconto della protagonista, si riesce a comporre una storia più estesa e complessa, che abbraccia non solo la voce di una singola donna ma anche la dimensione in cui è vissuta.
ELENA
di Ghiannis Ritsos
traduzione Nicola Crocetti
diretto e interpretato da Elena Arvigo
e con la partecipazione di Monica Santoro – flauto traverso e canto
scene e costumi Elena Arvigo
consulenza musicale Ariel Bertoldo
luci Andrea Iacopino
consulenza al testo Francesco Biagetti
collaborazione scene Maria Alessandra Giuri
foto Alessandro Villa
produzione Teatro OUT OFF con Compagnia Elena Arvigo (Associazione Santa Rita & Jack Teatro)
Teatro Torlonia, Roma | 30 gennaio 2025
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture in collaborazione con docenti e università italiane per permettere la formazione di nuove generazioni attive nella critica dei linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac accoglie sul sito le recensioni di questi giovani scrittori seguendone la formazione e il percorso di crescita nella pratica della scrittura critica.