CHIARA AMATO / PAC LAB* | «Qualsiasi cosa dicano di me i mortali – non ignoro, infatti, quanto la Follia sia portata per bocca anche dai più folli – tuttavia, ecco qui la prova decisiva che io, io sola, dico, ho il dono di rallegrare gli Dèi e gli uomini. Non appena mi sono presentata per parlare a questa affollatissima assemblea, di colpo tutti i volti si sono illuminati di non so quale insolita ilarità. D’improvviso le vostre fronti si sono spianate, e mi avete applaudito con una risata così lieta e amichevole che tutti voi qui presenti, da qualunque parte mi giri, mi sembrate ebbri del nettare».

Così Erasmo da Rotterdam nel 1509 faceva iniziare il suo saggio Elogio della Follia, dando la parola alla Follia stessa. Un incipit che fornisce uno spunto di riflessione sull’intento del Teatro della Contraddizione di Milano nel proporre al proprio pubblico lo spettacolo Karaoke Tomato Ketchup: mettere in scena un atto artistico che può rallegrare gli uomini, rendendoli ebbri.
Karaoke Tomato Ketchup è una performance teatrale – di e con Pietro Barbanente, Ornella Bavaro, Salvatore Coscione – difficilmente inquadrabile in una singola etichetta per diverse ragioni. Si potrebbe definirlo uno spettacolo di mimo, un’espressione di arte popolare giapponese, una performance di karaoke grottesca, una serie di tableaux vivants.
Sicuramente la giovinezza dei tre attori, che si sono conosciuti all’Atelier Teatro Fisico di Torino, è un elemento che dona a questo spettacolo una imperfezione coraggiosa, una voglia di sperimentazione e un surrealismo estremo che forse solo il folle e il giovane possono avere.

Come per ogni surrealismo la trama resta un’ombra sullo sfondo, un filo che viene seguito a intermittenza e sul quale il criterio logico resta sbavato: tra le macerie di un futuro senza luogo, post-esplosione nucleare, emergono tre figure misteriose che si alimentano solo di ketchup, unico cibo rimasto sulla terra. Lottano tra loro e cercano di ricostruire una memoria collettiva partendo da un cardine della cultura pop contemporanea: il karaoke per l’appunto. Lo spunto iniziale, ispiratore sia del titolo che di alcune caratteristiche stilistiche della performance, è il cortometraggio Tomato kecchappu Kōtei di Shūji Terayama, regista, poeta e drammaturgo giapponese surrealista. La sua arte provocatoria e ribelle ha portato a lavori estremi e meta-cinematografici, che hanno impresso un marchio indelebile nell’avanguardia giapponese. Questo corto, in particolare, racconta di due militari che si contendono i detriti di una città distrutta e senza tempo.

ph Tommaso Conti

Gli interpreti entrano in una scena quasi vuota che ha sul lato destro solo uno schermo spento. Indossano tute sportive di colori diversi – rossa, nera e blu –, una giubba militare e un cappello fatto di carta. I loro volti offrono un primo elemento di collegamento alla cultura giapponese: come le geishe, sono truccati con cerone bianco e le labbra sono tinte di color ciliegia.
Si muovono in gruppo giocando a una specie di morra cinese, ricca di versi, che assomigliano agli Jo-ha-kyū giapponesi, e compongono figure con i loro corpi. Lottano, si lanciano per aria, generando un immediato divertimento nel pubblico. Si ha l’impressione di assistere alle buffe pose e ai movimenti di Charlie Chaplin o Buster Keaton. I tre attori si scontrano, saltando come molle da una parte all’altra dello spazio scenico, facendo il verso alle mosse di judo e delle arti marziali, come nel famoso episodio di Kill Bill di Tarantino in cui si riescono a mixare trash, pulp e Oriente nella lotta di Uma Thurman contro svariate centinaia di guerrieri.

Poi accade qualcosa che fa cogliere un barlume di trama: con un microfono riproducono i suoni di un bombardamento, degli aerei che sorvolano il cielo e i loro volti si incupiscono mentre si spogliano delle giubbe. Da qui in poi ciascuno di loro maneggerà un oggetto emblematico per il resto dello spettacolo: una sigaretta per Coscione, una pistola per Bavaro e infine dei guantoni per Barbanente. Da un breve confronto con gli artisti, dopo lo spettacolo, emerge che questi oggetti sono stati scelti perché possono sia attaccare che difendere e nascondere e sono ricollegati ai tre macro-temi dello spettacolo: il deperimento della memoria, la violenza e l’attaccamento.

ph Tommaso Conti

Da qui in avanti inizia un gioco con il pubblico che viene chiamato in scena, chi per morire, chi per reggere stoffe insanguinate, il tutto senza proferire una parola. Lo spettacolo infatti resta quasi nella totalità muto, ad esclusione di versi, gorgheggi, urla, risa che risultano però chiari nella loro funzione. Le uniche parole pronunciate sono: «fase uno, mamma; fase due, ti amo; fase tre, memoria» accompagnate finalmente dal karaoke. E così si susseguono Giardini di marzo di Battisti, Ti amo di Tozzi e Tanti auguri della Carrà, che il pubblico accoglie calorosamente cantando a squarciagola. I tre interpreti riescono a creare un gioco folle e una sintonia/empatia con il pubblico quasi totalmente senza senso. Si ha la percezione, fin dal principio, di dover abbandonare qualsiasi categoria razionale, per seguire un flusso emozionale, che gli attori riescono appieno a creare con la platea, perché si mischiano ad essa, abbattendo la quarta parete.
Arriviamo alla conclusione in cui Bavaro uccide gli altri due ignoti personaggi e distrugge il karaoke. Pentita e sola, sulle note di Città vuota di Mina, ci implora, con sguardo affranto, di aiutarla e assistiamo alla resurrezione degli altri due interpreti grazie alla musica e all’amore.

Nel complesso lo spettacolo presenta sbavature e una costruzione a momenti slegata, ma la bravura di questi giovani artisti riesce a sopperire ampiamente. In particolare emergono il lavoro importante fatto sul corpo, l’esercitazione e la sperimentazione vocale, l’allenamento nella danza e nell’acrobatica, lo studio delle arti marziali. Da tenere sottocchio le possibili evoluzioni di questo atto artistico perché, come affermano i tre in un’intervista, questo spettacolo e il loro lavoro non sono mai fermi, ma sempre in stato di ricerca.

KARAOKE TOMATO KETCHUP

di e con Pietro Barbanente, Ornella Bavaro, Salvatore Coscione

 7 febbraio 2025 | Teatro della Contraddizione, Milano

PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.