FEDERICA D’AURIA / PAC LAB*| Una ragazza entra in scena con fare lento e stanco, una stanchezza che si riconosce, una stanchezza personale che diventa stanchezza sociale. È completamente vestita di nero, il suo viso assente e spento, le spalle si chiudono come a cercare le anche. Si dice che ognuno abbia il proprio inferno e la protagonista di Orpheus Groove, andato in scena dall’11 al 16 febbraio al Teatro Bellini di Napoli, ne è consapevole al punto da sentirne il rumore; soffre di acufene eppure percepisce una nota in maniera indistinta: giura di sentire il suono della fine. Certa di aver bisogno d’aiuto, si reca presso il Centro per la Riarmonizzazione Universale, un luogo di cura per l’essere umano che sfrutta il potere della musica, attraverso la ricerca di quelle note interiori che si sono scordate – in tutti i sensi – e che hanno perso armonia. Un luogo che si presenta come un ambiente proveniente dal futuro: completamente insonorizzato da pannelli e coni argentati e metallici, abitato da una bizzarra equipe di medici esperti del suono, con a capo il Professor Orpheus Shivandrim.
La giovane donna è perplessa ma si affida, non avendo altra scelta, nelle mani e tra le note di questo gruppo ecclettico che pare aver a cuore la sua cura e lo studio della società: ll nostro mondo ha bisogno di essere accordato.

Si sovrappongono più piani in Orpheus Groove, e si creano come dei varchi. Il piano drammaturgico, ben strutturato ed incisivo di Elvira Buonocore e Annalisa D’Amato (che cura anche la regia), ed il piano musicale di Annalisa D’Amato e Antonin Stahly, descrittivo di una fase di disagio interiore prima e di rinascita poi. Ancora, c’è un piano attoriale rappresentato da Andrea de Goyzueta, Juliette Jouan, Savino Paparella, Stefania Remino, Antonin Stahly, intervallato da un viaggio sonoro e dall’attraversamento dello stadio di cura della paziente, con un contorno molto descrittivo e armonico che va dai costumi di Giuseppe Avallone alle luci di Cesare Accetta, alla scenografia perfetta di Simone Mannino.
Il punto di incontro tra questi diversi piani però spesso è difficile da intercettare. Il risultato è un insieme di tentativi sonori, bellissimi, ma scollati dalla narrazione che spesso perde di ritmo e di fluidità; allo stesso modo il percorso di recupero emotivo, della protagonista, procede per tentativi che spesso inciampano nella ripetitività. Il senso della ricerca e dell’attesa è ben reso, ma cade a volte nel tranello di rendere la narrazione poco omogenea. Certo, probabile che questa “disarmonizzazione” sia proprio il processo che si vuole far vivere a chi assiste. Sicuramente è un’alternativa sulla cui efficacia, però, restano dei dubbi.

Al contrario, i messaggi in Orpheus Groove sono molteplici, ben definiti, e d’impatto. La scordatura interiore che porta la protagonista a ricercare una cura, l’atto di coraggio che sta dietro la richiesta d’aiuto, il viaggio in profondità nelle note dell’anima per risalire ad un’armonia che da interna si fa esterna, la necessità di riparare sé stessi per poter risuonare con il mondo. Solo al capolinea di un viaggio sensoriale, di cura e di ricerca della propria armonia, la piéce restituisce la volontà espressa nota dopo nota, in maniera diretta ed efficace. La scena finale è emblematica di un processo che pian piano si snocciola verso un lieto epilogo: cambia la voce della protagonista, cambia il ritmo, cambia l’abito (un vestito fucsia sgargiante scaccia via il nero iniziale), calano centinaia di microfoni pronti al silenzio prima e alla melodia ritrovata poi. Ora che è in armonia con sé stessa è in armonia con il mondo intero. Dal buio della notte in cui è inciampata, ritrova la sua luce e capisce di essere la figlia della Terra e del Cielo stellato.
ORPHEUS GROOVE
ideazione, scrittura scenica, regia Annalisa D’Amato
drammaturgia Elvira Buonocore e Annalisa D’Amato
con Andrea de Goyzueta, Juliette Jouan, Savino Paparella, Stefania Remino, Antonin Stahly
musiche Annalisa D’Amato e Antonin Stahly
scenografia Simone Mannino
costumi Giuseppe Avallone
sound design Tommy Grieco
luci Cesare Accetta
assistente alla regia Maria Chiara Montella
consulente alla teoria musicale Massimiliano Sacchi
distribuzione per la Francia Laure Duqué
foto di scena Mikaël Lubtchansky
produzione Ente Teatro Cronaca (Italia), Fondazione teatro di Napoli – Teatro Bellini (Italia), Compagnie D’Amato Stahly (Francia), Théâtre Molière- Sète, Scène nationale archipel de Thau (Francia), Fondazione Campania dei Festival (Italia)
progetto sostenuto dal Ministère de la Culture – Direction régionale des affaires culturelles d’Île-de-France, Parigi (Francia)
con il sostegno in residenza di creazione la vie brève – Théâtre de l’Aquarium, La Cartoucherie, Le Pavillon, Romainville, (Francia), Research Institute of Philosophy and Music, Londra (Regno Unito), La Maison Folie de Wazemmes, Lille, (Francia), Culture Moves Europe – Goethe Institute – Creative Europe Program con l’aiuto alla ricerca Boarding Pass Plus – Direzione Generale dello spettacolo del Ministero della Cultura (Italia) e con la partecipazione del Jeune Théâtre National (Francia)
ringraziamenti Robert Brewer Young, Thomas Perriau-Bébon, Bruna Bonanno
Spettacolo sopratitolato in inglese, francese e italiano
Teatro Bellini di Napoli | 11 febbraio 2025
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica