MATTEO BRIGHENTI e ELENA SCOLARI | MB: È il finale, che illumina l’inizio. Il terzo episodio della Trilogia dell’Assedio del Teatro dei Venti alle Passioni di Modena, Antigone da Sofocle, si apre con l’indovino Tiresia che, cieco, “vede” nelle profondità oscure del tempo una domanda. È la stessa da sempre, e vale per sempre: come distinguere e dunque scegliere tra il bene e il male?
Il regista Stefano Tè, che cura anche la drammaturgia dell’intero progetto insieme a Vittorio Continelli e Azzurra D’Agostino, affida a una simile figura in nero lo sguardo per interrogare il buio tragico da cui continuiamo a nascere. Il medesimo da cui sgorga questo teatro e le scene che lo abitano, di sicuro impatto, in un mondo in cui non c’è decisione che gli dèi non vogliano.
ES: Io direi, piuttosto, che è il finale a rabbuiare l’inizio. C’è molto nero, in questo allestimento, le luci – geometriche – tagliano in diagonale la scena, sono lame che separano oppure coni che si fanno strada nell’oscurità, tentativi di indagare, di chiarire, di fare luce sul groviglio dell’esistenza. È un disegno che fa risaltare i colori dei costumi (di Nuvia Valestri): completi blu scuro per le casacche e i pantaloni del coro, giallo oro per Edipo, bianco per Giocasta (Oxana Casolari), arancione per Creonte… con un discreto nastro di passamaneria sui bordi a segnare la regalità del contesto. Le giacche di tutti hanno una V sulla nuca, lasciano scoperto un triangolo del dorso, come a offrire una porzione indifesa di sé agli attacchi di chi non possono vedere.
Tiresia vede in fondo al tempo, è già stato in ciò che sarà, e questa è la sua condanna. Qui un cappuccio gli nasconde il volto e lo cela al mondo, Tiresia è un buco nero in cui passato, presente e futuro fluttuano in un’unica dimensione. Tiresia è Francesca Figini, la sua voce è arrochita e rallentata, ha un ritmo dato da quella dimensione indistinta, le sue scarpe sono dispari, l’andatura è squilibrata, come lo sono il peso del volere degli dèi e del volere dell’uomo.
Scelta contro destino, libero arbitrio contro fato, come «i bottoni sul cappotto del mondo: a volte si scelgono, a volte si perdono, a volte uno vale l’altro».

MB: La Trilogia dell’Assedio, che comprende anche Edipo Re, ancora da Sofocle, e Sette contro Tebe, da Eschilo, attraversa drammi di parole che si dibattono in corpi ricolmi di storie, incontrati e preparati al palco nei laboratori permanenti nella Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia e nella Casa Circondariale di Modena. Hanno occhi che non indietreggiano di fronte a niente. E nessuno. Fosse anche un dio.
ES: Sono persone che si sono trovate a dover decidere tra un bottone e l’altro, ma non è detto che abbiano avuto una vera e libera scelta. Il cappotto che portano è pesante, come quello di Tiresia, curvo sotto la pressione del sapere.
Hai detto bene parlando di corpi ‘preparati’ al palco; azzardo un pensiero al riguardo: anche se diretti dal regista, gli attori trovano il loro modo di stare in scena, ognuno occupa lo spazio secondo un proprio carattere, e questa è una forma di libertà, unica.
La riduzione del testo è ben costruita, la regia è limpida, è ordinata in Edipo, si prende qualche libertà in più nei Sette e diventa più spirituale per Antigone, dove la drammaturgia si concede alcuni affondi poetici, con qualche piccolo anacronismo linguistico che regala, però, immagini chiare, giuste.
MB: Il primo episodio della Trilogia dell’Assedio, Edipo Re, è una discesa inquirente all’inferno della parola ‘io’. Chi sono io? E come posso essere fondato su un assassinio? La domanda è vertiginosa, a maggior ragione pensando a chi (se) la pone.
C’è un’epidemia a Tebe: i cittadini vogliono risposte. Edipo ha mandato il fratello Creonte al tempio: va cacciato chi si è macchiato di una grave colpa. Il re di prima, Laio, è stato assassinato: l’omicidio va sanato, altrimenti la peste continuerà. La verità, dunque, contro la malattia della vita.
È dal sangue che viene la soluzione all’enigma, ma la strada è lastricata di dolore. È un conflitto di poteri tra l’umano e il divino, ma Edipo pensa a sé anche come a un uomo di sapere, per aver sconfitto la Sfinge. Tuttavia, questo non basta a sciogliere il nodo della sua identità: ci vuole un testimone. Il conoscere ultimo, allora, viene dal vedere. Per questo, siamo a teatro.

ES: E forse viene anche dal sentire. Come nell’Amleto presentato al festival Trasparenze 2024, Stefano Tè accompagna l’incedere della tragedia con la musica. La voce e la viola di Irida Gjergji donano sacralità a Edipo re; la batteria e le percussioni di Igino L. Caselgrandi puntellano il ritmo della battaglia in Sette contro Tebe; la chitarra e gli effetti di Tonino La Distruzione danno potenza alla protesta di Antigone. Scoperta, dolore e ribellione hanno una cadenza interiore, una melodia contrastata, che ci muove anche quando la vogliamo mettere a tacere.
Torniamo a Edipo: è intelligente ma ha vissuto in un inganno, e il disvelamento porterà guai; siamo a teatro da millenni e ancora non abbiamo disoccultato tutto: l’importante è sapere che il mistero c’è.
MB: Gli attori della Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia, nei ruoli chiave, seguono linee chiare, squadrate, come le parole statuarie e gravi in cui entrano, che soppesano e scagliano. Edipo non vede che il colpevole è lui: è lui l’assassino del padre, è lui il figlio e marito di sua madre, è lui il fratello e padre dei suoi figli. Non vedeva, non vediamo, che l’omicida è dentro di noi, tra noi, siamo noi. E non avendo visto, si acceca. Acceca il mondo che conosceva.
La verità conduce alla cecità, o meglio non ti fa più vedere altro oltre sé stessa. Il destino si compie e ti schiaccia. Altrettanto limitati dalla propria condizione sono gli attori delle Case di Reclusione di Castelfranco Emilia e di Modena: per legge, non possiamo neanche nominarli, in modo esteso sono citabili solo le loro carceri. È come se non esistessero se non nel nome di quello che hanno fatto. Proprio come Edipo. Una corrispondenza molto, molto dolorosa.

ES: Già, ma in scena sono stati i personaggi di Sofocle ed Euripide, hanno attraversato misfatti, colpe, agnizioni, vendette. Hanno vestito i panni dei più grandi miti archetipici della nostra civiltà. Per chi li ha visti, l’anonimato forzato è superato dal ricordo delle loro facce e delle loro voci. È interessante, poi, sentire come i loro singoli accenti regionali o stranieri si fondano nella voce unica del coro, le cadenze del mondo fuse nell’emissione unisona dei sentimenti umani.
Dobbiamo comunque fare una nota sull’impaccio burocratico che ha impedito alle attrici detenute di recitare in Antigone: è chiaro che il regolamento debba essere rispettato, pertanto ci limitiamo ad auspicare che questa Trilogia abbia altre possibilità di rappresentazione, permettendo di dare compimento a un lavoro costruito con impegno e tenacia. Che la legge dello Stato supporti la legge della scena.
MB: Dalla tragedia di Edipo discende la tragedia di un’intera stirpe. Innanzitutto, dei figli Eteocle e Polinice in Sette contro Tebe, il secondo episodio della Trilogia dell’Assedio. Dirsi fratelli non placa la furia di giorni irriconoscenti. Precipitiamo, infatti, in una guerra che da interiore si fa esteriore: scontro di corpi, non solo di idee. Sette uomini alle sette porte di Tebe, all’ultima c’è Polinice in persona, il fratello del re che ora comanda sulla città, Eteocle. Invece di pregare, di affidarsi alle forze divine, invita a badare alle proprie forze, chiama Tebe a resistere e a combattere. Il potere, su questo palco mobile (i bozzetti della scenografia e dei costumi sono a cura di F. M.), è nella parola, più antica della spada. Ovvero, nella capacità di dare forma a un pensiero di prevaricazione, che poi diventa azione, anche se il volere che tutto si compia è comunque in mano al destino.

ES: La struttura a moduli di legno che i soldati spostano e rimontano per rappresentare le mosse dell’assedio è anche il campo di battaglia: lì si scivola, si corre, si salta, ci si nasconde, si colpisce e si subisce. Una bella sequenza dinamica per realizzare forse il pezzo più difficile della Trilogia, forse un po’ troppo gridato, ma Eteocle non ha tempo per i negoziati.
MB: La guerra ci accomuna nella morte e nella violenza: in Sette contro Tebe siamo nella tragedia della collera e della forza che non vacilla, non arretra. Comunque, anche qui, come in Edipo Re, non c’è nemico straniero più temibile dello specchio. Cioè, di sé con sé. Andare incontro al proprio destino non può farlo che ‘io’, anche se non è vigliacco voler vivere felici.
La maledizione di Edipo ricade sui figli: Polinice ed Eteocle muoiono l’uno per mano dell’altro. Tebe è salva, ma non le vite dei suoi figli migliori. È una catena di sangue esplosiva, i cui muscoli sono le corde vocali degli attori.
Il nuovo re, lo zio Creonte, stabilisce che Eteocle sia sepolto con onore, perché ha difeso la città. Polinice, no, perché l’ha tradita. Rinnovando così la nuova tragedia, le due sorelle Antigone e Ismene vorranno consegnare il fratello traditore al riposo delle tenebre, come racconta Antigone. Questo è solo un altro giorno giunto alla medesima fine: non sappiamo distinguere la salvezza dalla rovina. Il teatro si ripete e, come la storia, non insegna, perché siamo “ciechi” di natura.

ES: Polinice aveva subìto un torto grave, la rottura di un patto fraterno, e qualche ragione di voltare le spalle ce l’aveva. Ma Antigone lo vuole seppellire perché era suo fratello. Punto e basta. Qualunque delitto abbia commesso. E lei qualcosa ce lo ha insegnato. O almeno lo speriamo.
MB: Ecco, lo scontro tra legge del cuore e legge dello Stato è proprio il nodo scorsoio di Antigone. Nell’entrare e uscire dalle tenebre, dall’ombra alla luce, Teatro dei Venti dipana una vicenda che, messa in prospettiva come fa questo grande progetto, fa esplodere le contraddizioni su cosa voglia dire saggezza, e se equivalga o meno giustizia.
Antigone vuole farsi vedere, vuole che la guardiamo in faccia, per intendere che per lei dare degna sepoltura a Polinice non è una scelta, e quindi il suo non è coraggio: muore, perché la legge del re di Tebe Creonte è contro la natura dei legami, è contro il sangue. Morto un fratello, non se ne può fare un altro. Morto un marito, o un figlio, sì.
Passano gli anni a migliaia, poi basta un attimo e niente è più come prima. Ancora una volta, non c’è riparo al destino. Che la sentenza di morte di Antigone sia ingiusta lo prova il fatto che venga eseguita fuori dalle mura. Ma quando Creonte si ravvede, sarà troppo tardi.

ES: Spesso peccano di tempismo, nelle tragedie. Ci hai fatto caso? Ingiustizie fatali a causa di ritardi. O indecisioni. O malintesi. O rigidità. Se Creonte non concepisce che il potere possa avere limiti, Antigone si sente ‘posseduta’ dalla giustizia in maniera altrettanto assoluta.
MB: Fatto sta che senza gioia è la consegna definitiva del Teatro dei Venti con questa Trilogia dell’Assedio, l’umanità è un cadavere che respira. La gioia sarebbe scegliere la vita sulla morte, la libertà sul destino. Sarebbe e non è, perché non impariamo niente, mai, e cadiamo e ricadiamo di rovina in vendetta, di scelta in sciagura. L’unica via è continuare ugualmente a domandare e domandarci chi siamo, quali sono le nostre colpe, quali i nostri delitti.
Per questo, dobbiamo fare e farci teatro insieme, ancora una volta. Intanto che il tempo, come succede a Tiresia alla fine di tutto, ci scorre come sabbia tra le dita. Anche quando le luci sono ormai spente.
ES: Ma il domani arriva soffice, «come una nevicata», dice Ismene.

EDIPO RE
a partire dall’opera omonima di Sofocle
spettacolo creato all’interno della Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia
SETTE CONTRO TEBE
a partire dall’opera omonima di Eschilo
spettacolo creato all’interno della Casa Circondariale di Modena, sezione maschile
ANTIGONE
a partire dall’opera omonima di Sofocle
spettacolo creato all’interno della Casa Circondariale di Modena, sezione femminile
drammaturgia Vittorio Continelli, Azzurra D’Agostino, Stefano Tè
regia Stefano Tè
musiche Edipo Re Irida Gjergji, musiche Sette contro Tebe Igino L. Caselgrandi, musiche Antigone Tonino La Distruzione
bozzetti della scenografia e dei costumi a cura di F. M.
costumi Nuvia Valestri
assistenza alla regia Elena Carbonella
produzione Teatro dei Venti
in coproduzione con Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale e con il Coordinamento Teatro Carcere Emilia Romagna
con il sostegno di Ministero della Cultura e Regione Emilia-Romagna
con il contributo di Fondazione di Modena all’interno del progetto Abitare Utopie
con il contributo di BPER Banca
Spettacolo prodotto nell’ambito di AHOS – All Hands on stage, progetto co-finanziato da Creative Europe.
I laboratori permanenti delle Carceri sono finanziati dalla Cassa delle Ammende.
Teatro delle Passioni, Modena | 16 febbraio 2025