PAOLA ABENAVOLI | Performance, uso della gestualità, reiterazione di movimenti; brevi frasi, verbi che dall’infinito spaziano poi tra passato prossimo e futuro; suoni evocativi, immagini, diapositive che riportano agli anni ’80. Un corpo narrante, che in realtà non narra in maniera lineare, ma per sprazzi di vita, per crescendi e rimandi, tra l’oggi, ieri e un futuro che sembra avere un andamento ciclico: la fisicità come elemento fondante di un percorso, nel quale però la musica, la sonorità e l’immagine si uniscono come in un’unica partitura, in una narrazione di vita. Sì, perchè lo spettacolo della compagnia padovana Carichi sospesi riflette sul palcoscenico un diario di vita, reale o di finzione, di una persona immaginata o di ogni spettatore, nella lettura e nell’immedesimazione che ognuno può vivere, in quelle 63 azioni del titolo.

Azioni semplici di un’esistenza, che divengono storia evocata, partendo dai verbi all’infinito che compongono la poesia che dà il La alla storia, ovvero Vivere, di Agota Kristoff. Da questa suggestione (che non è la sola, essendo tanti i riferimenti artistici) prende spunto l’opera del regista Marco Caldiron, realizzata con l’apporto del dramaturg Marco Gnaccolini, che crea una drammaturgia scenica basata su un testo fatto di piccole frasi, di “ho fatto”, “ho vissuto”, che si trasformano poi, nel momento in cui il buio potrebbe offuscare l’esistenza stessa, in discorsi al futuro che fanno guardare invece alla rinascita. Al testo si uniscono le azioni, la gestualità ripetuta, quasi una danza che diventa una lettura – evocata, non copiata, come precisa il regista – della poesia iniziale, in cui l’amore, il coinvolgimento, la sofferenza sono parti di una vita che si snoda e attraversa fasi alterne: i piccoli momenti che riaffiorano nella memoria, come balli, viaggi, alberghi, esperienze, e quelli grandi, come i rapporti sentimentali, la genitorialità o la malattia.
Una partitura, si diceva: una scrittura in cui la sonorità – curata dal vivo dalla sound performer Chiara Cecconello – si intreccia ai movimenti e al racconto, sottolineandoli, enfatizzandoli, inglobandoli. Così come l’immagine, le diapositive, le parole proiettate, sembrano una scrittura dilatata, fondendosi con ciò che contemporaneamente viene pronunciato oppure suggerito dai gesti. La vacanza, la perdita, l’amore, il lavoro, prendono vita da quelle immagini, insieme ai suoni, alle musiche, per fondersi, dunque, con il movimento e la parola, in un racconto che, come si diceva, non è mai lineare, ma poetico, suggestivo.

Una suggestione che ha nel performer Marco Tizianel il fulcro: il corpo dell’attore come strumento, come reale incarnazione del sentimento, prima ancora della parola, che prende forma dalla sua capacità di coinvolgere con il gesto, con lo sguardo. Come nel caso del racconto della prima esperienza lavorativa, che si desume lontana dalle aspettative del protagonista: le frasi iniziano con le parole “ho imparato”, seguite da verbi che esprimono azioni sempre più lontane dal proprio essere, sempre più stressanti, alla ricerca di una conquista costante di qualcosa. Vengono pronunciate in una corsa incessante, affannante, un crescendo che sembra sottolineare l’allontanamento dalla propria anima, dal proprio io, inseguendo qualcosa di aleatorio e lontano.

È uno dei momenti scenici in cui si intravede tutto il lavoro certosino ed impegnativo di Tizianel: lavoro cui si intreccia quello di Cecconello che, oltre a modulare suoni e voce, si affianca nella performance, viaggiando in parallelo con lui e unendosi nella stessa gestualità, o costituendo quasi un contraltare del protagonista, una sorta di coscienza, di memoria e di sprone alla rinascita. Una parte del tutto, come sottolinea il finale, in cui le braccia si intrecciano, mentre dall’alto un filo di sabbia si fonde alla luce, come una clessidra. Perchè il tempo è l’altro grande protagonista: quel tempo che ti gestisce, quel tempo che non si ha più, che si vorrebbe usare per essere finalmente se stessi, per fare le tante cose che l’attore elenca, ma che invece scorre inesorabile. Ma anche quel tempo che ritorna nella memoria, che si alterna al passato, che rivive ancora una volta nelle diapositive disposte in cerchio sul palco, a descrivere un percorso, a suggerire il desiderio di tornare a «mettere un altro adesivo sul camper», per ricordare il viaggio della vita.
Una visione poetica, dunque: non una scelta casuale o occasionale, visto che, da qualche anno, la linea della Compagnia è proprio quella di utilizzare la poesia, direttamente o indirettamente, negli spettacoli, sperimentando nuovi linguaggi a partire da questa forma artistica. Una linea che si inserisce in un lavoro complessivo che Carichi sospesi porta avanti da oltre venti anni.
63 AZIONI
regia Marco Caldiron
dramaturg Marco Gnaccolini
performer Marco Tizianel
sound performer Chiara Cecconello
produzione Carichi Sospesi
Stagione 2025 La casa dei racconti
14 marzo 2025 | SpazioTeatro, Reggio Calabria