CRISTINA SQUARTECCHIA l Non è mai troppo quando il teatro riscatta una vittima, donandole una seconda opportunità. E non è mai troppo tardi farlo, anche se di decenni ne sono passati diversi, da quando Paolina Giorgi venne assassinata per mano di un suo corteggiatore nel 1911, semplicemente per averlo respinto. Con Tutto troppo Monica Ciarcelluti firma con la produzione di Arterie Teatro la regia di uno spettacolo di azione e immagini per un teatro performativo che va dritto al cuore. Vincitore del Bando regionale per la sensibilizzazione contro la violenza di genere e le mafie a cura dell’Osservatorio Regionale della Legalità, è stato presentato al Florian Metateatro di Pescara come restituzione di un progetto di residenza a cura di Oikos residenze teatrali il passato dicembre, per debuttare in prima assoluta a Femminile plurale – l’arte delle donne lo scorso weekend nella rassegna a cura di Giulia Basel del Florian Espace, volto a dare spazio alla creatività femminile.
E di creatività Paolina Giorgi – nome d’arte di Francesca Chiodi – ne aveva da vendere, pur essendo di umili origini. Nata a L’Aquila nel 1883, faceva la stiratrice per campare, ma nel suo cuore premeva una sensibilità diversa, che la spinse a trasferirsi a Roma. Nel giro di pochi anni si affermò nella Capitale tra le attrici più acclamate dei café chantant.
Divenne tutto troppo in poco tempo. A soli 28 anni aveva già avuto un bambino, morto prematuramente. Ricchissima e corteggiata, visse con lungimiranza, saggezza e coraggio, a dispetto del bigottismo aristocratico di allora. Raggiunta la tanto agognata popolarità come attrice, si diede all’imprenditoria aprendo una profumeria e una ditta di trasporti, quando tornò nella sua L’Aquila. Il suo è uno casi di femminicidio di cui si è parlato meno: solo adesso la Storia ce lo restituisce con questo spettacolo di Monica Ciarcelluti.
Tutto troppo ripercorre la scalata della protagonista con una regia provocatoria e ironica insieme, per un teatro teso all’azione e alla potenza evocativa del gesto che si fa danza, che combina in un doppio registro immagine e azione, al fine di restituire dignità a una donna che ha sfidato i tempi e sé stessa.
Non c’è nessuna intenzione narrativa, “ma il desiderio di lavorare con il gioco e l’improvvisazione per parlare di libertà”, come ha spiegato la regista Monica Ciarcelluti nell’incontro con il pubblico. Assistiamo, infatti, a un fluire di situazioni, quadri entro i quali la parola centellinata funge da servizio a un’azione corporea che emoziona e apre spazi di riflessione con la forza tellurica di una presa di coscienza attuale.

In scena Mariangela Celi, Olga Merlini e Anna Pieramico, sono tre Grazie, tre presenze, tre voci straordinariamente perfette, che riportano in vita Paolina e il suo tempo. Con il pretesto del gioco e dell’ampia possibilità di sperimentare dall’improvvisazione, le attrici passano da acrobate a pettegole, sciantose e vanitose, che si divertono a giocare sul palco con oggetti sferici come la palla e i cerchi, usati per aprire a una pluralità di significati che richiama i temi del materno e delle gare olimpiche.
Difatti, con una corsa inizia lo spettacolo. Le tre donne indossano calzoni bianchi d’epoca, come a ricordare l’abbigliamento delle prime maratonete che parteciparono alle Olimpiadi, mentre in audio si sente l’intervista alla mezzofondista Nadia Battocletti dopo aver concluso una gara.
In questi primi minuti l’affanno, il fiato ansimante, la fatica, ma anche l’entusiasmo di avercela fatta, dettano il ritmo incalzante della pièce, come a voler dimostrare le acrobazie e le conquiste di cui sono state capaci le donne nel corso del Novecento. Sfiancate, ma soddisfatte, in fila davanti al pubblico, Celi, Merlini e Pieramico sorridono vittoriose. Un’espressione quasi di sfida che è il “biglietto da visita” di Tutto troppo.
Adesso le tre donne eseguono una sinuosa danza con la palla, girata e rotolata tra le mani, quasi fossero atlete dell’anima, per poi fare in un breve frammento una partita a calcio. Si deridono a vicenda, bendano Anna Pieramico, hanno una relazione di complicità e sorellanza che siglano tra sguardi e sorrisi: è un’alleanza tra corpi tale da riempire il bianco spazio scenico, e moltiplicare quasi le loro figure.
Un brano elettronico di Alva Noto lega la scena alla ripetizione ossessiva di una partitura di gesti che alludono all’universo femminile e ai suoi stereotipi, dai camerini dei café chantant ai salotti aristocratici. Le attrici – ora in bianco e nero, con camicia, gorgiera e gonna da suffragette si sfiorano – assumono pose morbide, accompagnate da esclamazioni di piacere da femme fatale, quando sono lente, ma più da pettegole malelingue, quando eseguite in velocità. Il gioco ben calibrato dalle performer ricostruisce così gli ambienti e i contesti in cui Paolina si muoveva.

Sfilano, si atteggiano mentre sbattono le ciglia, sorridono in pose plastiche, accarezzandosi le braccia e il collo, oppure maneggiando un cerchio giocandoci a fare l’hula hoop, con quel fare da soubrette d’antan in cerca di approvazione e compiacimento da parte di direttori di teatro e registi dell’epoca. Lo allude con elegante freschezza, la stessa che forse possedeva Paolina, Anna Pieramico con le sue ripetute domande «va bene così?» a rimarcare l’umiliante posizione che le ragazze, pur di emanciparsi, spesso accettavano. La scena cede poi il passo a un brano polifonico di voci femminili che pronunciano ossessivamente la parola vite, per dare la misura di un tempo che è scorso troppo velocemente per la protagonista Paolina.
Tutto troppo scorre così in equilibrio tra il sensuale e il grottesco, scivolando nel triviale quanto basta per denunciare la cultura maschilista di un Paese che ha soffocato la sensibilità di Paolina e delle tante donne vittime di violenza. Avvertiamo, infatti, un senso di disgusto e divertimento insieme, quando l’attrice Mariangela Celi – dotata di superba espressività – mastica a denti larghi una BigBabol. Sorride con divertita sfacciataggine, fa palloncini che poi scoppia con provocazione verso il pubblico. Intende deridere l’inettitudine delle malelingue e la mentalità maschilista, mentre ammicca durante la colorita descrizione di un cronista della Festa di Sant’Agnese e delle Malelingue nei pressi di L’Aquila.

Olga Merlini, invece, procede verso il tragico epilogo che serra la protagonista in un ritmo lento e ondoso, dentro e fuori il cerchio, con una musica elettronica che funge da preambolo al finale. Un cappio bandito da Mariangela Celi chiude il cerchio di una vita vissuta al massimo, dove tutto è stato troppo, quel troppo che finirà di soffocare Paolina dentro l’atto criminoso del suo corteggiatore.
Tutto troppo non è solo uno spettacolo di denuncia sociale e di riscatto, è un inno alla libertà, a quella bellezza autentica, strappata alla vita, ma che indomitamente riesce a trovare strade e modi per venire fuori. La sentiamo così da fuori campo, racchiusa in un megafono la voce di Paolina, come provenire da un remoto aldilà, un fugace e illusorio ritorno in vita a chiarire le sue scelte e idee, quelle di una donna impavida, un’eroina senza tempo, che ha difeso la sua integrità intellettuale e quella delle generazioni che furono, sino a oggi.

TUTTO TROPPO
drammaturgia e regia Monica Ciarcelluti
con Mariangela Celi, Olga Merlini, Annette Pieramico
produzione Arterie Theater
con il patrocinio di Osservatorio Regionale della Legalità
residenza creativa Florian-Oikos Residenze per Artistə nei Territori
progetto vincitore del Bando regionale a sostegno della legalità e per la sensibilizzazione contro la violenza di genere e le mafie
Florian Espace, Pescara | 22 marzo 2025