GIORGIA VALERI / PAC LAB*| La bolla immobiliare milanese è arrivata al punto che una tessera di puzzle in polistirolo dalle punte arrotondate può risolversi in un ottimo monolocale fornito di anticamera, bagno e mensole a sufficienza per tenere in ordine le scatoline degli antidepressivi. Basta un po’ di fantasia, qualche contorsione, e uno o due crolli psicotici. Se poi si aggiunge la morte della sinistra e succhetti sottomarca bevuti in un silenzioso sottoscala, al posto delle grandi rivoluzioni operaie degli anni ‘70, il quadro politico e sociale di questo 2025 è già pronto, nello spazio scenico della piccolissima Sala Tre del Teatro Franco Parenti di Milano.
Niccolò Fettarappa aveva debuttato con La Sparanoia, atto unico senza feriti gravi purtroppo nel 2023, ma lo scenario nell’arco di due anni non è cambiato, anzi, si è radicalizzato. E il “compagno Niccolò”, anche regista e autore dello spettacolo, in scena con un affiatatissimo Lorenzo Guerrieri, tiene traccia dell’andamento vertiginoso del magma di eventi che ha eroso la fragile struttura psichica della generazione Z: fisica, sociale, culturale, politica. Il diaframma che separa la realtà dal racconto della realtà viene fatto a brandelli, non serve più. Guerrieri e Fettarappa si muovono come anticorpi impazziti dentro tute “grigio CAAF”: abitano lo spazio, tutto quello a disposizione, riempiono con lo sguardo anche le poche poltrone vuote tra il pubblico.

Non c’è uno sviluppo lineare: c’è una vertigine. L’andamento è sincopato, quasi febbrile, come se la scena fosse sempre sul punto di implodere. E così, uno stendino bianco e sbilenco diventa la scrivania di un giornalista televisivo che annuncia la morte della sinistra, ma all’occorrenza diventa anche tavolo d’inquisizione del “compagno Niccolò” accusato di aver usato fumogeni, oppure le sbarre dietro cui un ministro urla in cagnesco contro i giovani, rosicchiando i fili della biancheria. È una scenografia povera, come poveri sono i due protagonisti, che incarnano il caleidoscopico quadro dentro cui gli under 30 bivaccano sonnecchianti, sognando rivoluzioni stesi bocconi sul proprio cuscino.
Non distrugge, Fettarappa. Esagera, deforma, spinge ogni cosa al punto di rottura. Quando tutto implode — destra e sinistra, giovani e vecchi, illusioni e speranze — resta uno spazio vuoto. È da lì che può cominciare qualcosa. Quindi sì: la sinistra è morta. Il “compagno Niccolò” siede su uno sgabellino giocattolo ai piedi di un feroce urlatore professionista che lo costringe in un sottoscala polveroso a bere succhetti. Il telegiornale impazza, a suon di macchiettistici servizi mirati a indebolire un già timidissimo e nevrotico tentativo di opposizione. I carabinieri vengono sedotti dalla sottomissione sadomasochista di giovani disperati in cerca di figure guida forti e risolute, le cui madri non sono altro che telecamere installate sulle colonne portanti della scenografia, pronte a sorvegliare ogni gesto e a ricordare che è necessario fare lo SPID.
Gesti abnormi, ma calibratissimi — come le vene del collo di Fettarappa che si tendono fino a farlo diventare paonazzo o la corporeità di Guerrieri, usata come arma scenica di sopraffazione — alimentano un flusso di coscienza a due voci, senza vie di fuga, dove anche le risate e le smorfie del pubblico diventano increspature su un ritmo che si spezza, si ricuce, riparte.
Se ci fosse una frase finale per concludere metaforicamente questo turbinio caotico sarebbe: “A me non me ne frega un cazzo. Annamo a pijà er gelato?”. Perchè il tono, il ritmo e il linguaggio di Fettarappa e Guerrieri richiamano molto quello cinico, esistenziale e disincantato di Zerocalcare. «Ho pensato che c’era qualcosa di incredibilmente rasserenante nell’essere un filo d’erba. Che non faceva la differenza per nessuno. E non c’aveva la responsabilità per tutti i mali del mondo», avrebbe aggiunto Zerocalcare. Ma Fettarappa e Guerrieri sono consapevoli di essere fili d’erba, e di quell’immenso prato ondeggiante sfruttano la forza centrifuga del movimento collettivo: prendono le pistole (ad acqua, chiaramente) e si avventano sul pubblico, lo aggrediscono a suon di schizzi, cercano i pochi ragazzi che frequentano le sale teatrali e si avventano su di loro. Guardandoli negli occhi, attraverso il passamontagna, urlano: “VERGOGNATI!”.
È una vergogna sentirsi guardati, giudicati, allo stesso tempo. Ma è anche un sollievo. Perché La Sparanoia ci ricorda che il disagio non è solitudine, ma condizione collettiva, che la paralisi non è fine ma inizio. Non ci offre soluzioni, non consola. Però scoperchia. E dietro gli occhiali appannati dagli schizzi d’acqua, si percepisce in trasparenza la vertigine di un presente che vuole essere guardato. Forse, è da lì che riparte qualcosa.
LA SPARANOIA
progetto ideato e scritto da Niccolò Fettarappa
regia Niccolò Fettarappa e Lorenzo Guerrieri
con Niccolò Fettarappa e Lorenzo Guerrieri
contributo intellettuale di Christian Raimo
produzione Sardegna Teatro – Agidi
con il sostegno di Armunia Teatro, Spazio Zut, Circuito Claps, Officine della cultura
Teatro Franco Parenti, Milano | 9 aprile 2025
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.