LEONARDO DELFANTI – Da undici anni, il Teatro Scientifico/Teatro Laboratorio di Verona accoglie l’unica rassegna cittadina interamente dedicata al teatro civile, sociale e di comunità. Non c’è differenza non è soltanto un festival: è un presidio culturale e umano, uno spazio in cui la scena si fa luogo politico, dove le voci e i corpi solitamente esclusi trovano ascolto, visibilità, risonanza. Dal palco di Lungadige Galtarossa 22/a, dall’8 al 18 maggio 2025, la rassegna ideata da Isabella Caserta e dedicata alla memoria di Nicoletta Ferrari torna a interrogare il pubblico con un programma variegato che abbraccia danza terapia, teatro performativo, laboratori creativi e narrazione sociale.
Il titolo stesso è una dichiarazione di poetica: Non c’è differenza ribadisce con forza che la diversità non è un ostacolo da superare ma una condizione originaria, condivisa, che arricchisce l’esperienza individuale e collettiva. «Il nostro obiettivo – ha dichiarato Caserta alla presentazione del cartellone – è creare uno spazio teatrale e umano in cui l’alterità non sia né esclusa né tollerata, ma riconosciuta come motore vitale della creazione artistica». Un’idea condivisa anche dall’assessore alle pari opportunità Jacopo Buffolo, che ha sottolineato come il festival “rispecchi una città che non discrimina”, in grado di valorizzare il rispetto e l’inclusione come basi del vivere comune.
A inaugurare l’undicesima edizione è Lucignoli, spettacolo disturbante e necessario della compagnia Animali Celesti/Teatro d’arte civile. Un lavoro che incarna appieno lo spirito della rassegna, portando in scena un dispositivo teatrale potente, ruvido, capace di farsi corpo e denuncia. Diretto da Alessandro Garzella, Lucignoli utilizza la celeberrima fiaba di Collodi come detonatore simbolico per scardinare l’ipocrisia del presente e restituire al teatro la sua funzione più alta: esplorare il trauma, la devianza, l’alterità come territori di creazione e resistenza.
Non a caso lo spettacolo è vincitore del bando MiC 2023 per l’accessibilità degli artisti disabili. Come afferma sagacemente lo stesso Garzella, “a seconda del giorno e dello sguardo, mi sento attore/disabile o disabile/attore”. L’opportunità di andare in scena diventa così politica ed estetica, dal momento che la marginalità non viene semplicemente rappresentata ma agita, vissuta, resa visibile nel suo potenziale sovversivo.
La compagnia pisana Animali Celesti non è una compagnia teatrale nel senso convenzionale del termine quanto piuttosto un laboratorio umano e poetico in cui attori, educatori, utenti psichiatrici e cittadini condividono percorsi di ricerca sull’alterità. La scena è per loro il luogo naturale della contaminazione e della cura ma anche e sopratuttto della lotta. “Burattini di tutto il mondo, unitevi”, grida più volte dal palco della sua sedia a rotelle Garzella – già direttore artistico di Sipario Toscana e attualmente alla guida del progetto Cantiere delle Differenze –, il motto affonda le sue radici in un teatro che nasce dentro e per la marginalità.
Elemento centrale di questo approccio è la metodologia del “gioco del sintomo”, un dispositivo teatrale che trasforma la “sintomatologia” emotiva in materia scenica. Derivato da pratiche affini al teatro espressivo e al teatro in gioco, questo metodo consente ai partecipanti di esplorare tensioni interiori, emozioni profonde e conflitti latenti attraverso la rappresentazione simbolica. Più che un mezzo terapeutico, è uno strumento di creazione: un linguaggio che rende visibile l’invisibile, accessibile l’indicibile. Il gioco del sintomo mira dunque a far emergere verità individuali, spesso represse o stigmatizzate, trasformandole in materiale drammaturgico. In questo senso, l’alterità non è mai tema da rappresentare, ma struttura portante del gesto creativo.
Lucignoli non fa eccezione: nato nel 2017 in una comunità terapeutica presso la Fondazione Bosis di Bergamo, lo spettacolo ha attraversato fasi di studio, riscrittura e contaminazione, fino alla forma definitiva presentata anche a Verona lo scorso 9 maggio. A renderlo ancora più denso è la partecipazione di artisti come la Fata Turchina, Francesca Mainetti, lo spettro di Lucignolo, Chiara Pistoia e dello stesso Garzella, per metà Mangiafuoco e per metà Pinocchio in questo suo testo dichiaratamente e volutamente osceno, tanto nell’amplio utilizzo del vocabolario toscano, quanto nell’estetica pornografica, tra i numerosi amplessi consumati ora sul lettuccio del medico in piena scena o sulle diverse seggiole e sgabelli che diventano ora palco per un’arringa violenta al pubblico, ora nascondiglio per pochi secondi di piacere.
La storia è nota ma viene fatta esplodere. In Lucignoli, i personaggi collodiani diventano maschere deformate dalla contemporaneità sempre attuale. Lucignolo è il fallito che abbraccia la sua condizione di reietto con una rabbia implosa. Pinocchio è il burattino illuso dal successo, travolto dal narcisismo e dalle droghe dell’apparenza. La Fata Turchina è una presenza ambigua, più simile a una sacerdotessa post-moderna che a un angelo custode. Fredda e crudele come la Natura che ci ha donato e tolto la vita allo stesso tempo. Tutti sono immersi in un universo grottesco e iperrealista, dove la pornografia non è tanto un’estetica, quanto una condizione sistemica, una metafora dell’impossibilità di riscatto.
Il teatro di Garzella rifiuta la didascalia e affonda piuttosto nelle stratificazioni del corpo e del vissuto. Come lui stesso racconta, la compagnia è “fatta da attori, professionisti, malati di mente, educatori e studenti” e gli spettacoli “nascono dopo lunghi processi all’interno delle comunità terapeutiche”. Il risultato scenico è quindi il riflesso di un attraversamento reale, non una finzione costruita a tavolino. Al centro dell’opera sta l’“osceno”, inteso nella sua accezione etimologica: ciò che normalmente resta fuori scena viene invece chiamato a farsi presenza, carne, parola.
Se Pinocchio è da sempre una figura ambigua, in bilico tra magia e devianza, qui diventa allegoria carnale dell’identità deviata. Il “ceppo di legno” è, nelle parole di Garzella, una “sostanza magica che è anche dentro di noi, quella che ci fa vivere la vita con la gioia dell’esistenza, dell’erotismo”. Ma l’erotismo evocato non è quello della pornografia patinata: è una bellezza imperfetta, primitiva, quasi sacrificale. I personaggi lottano per restare connessi alla propria identità e spiritualità, mentre vengono travolti da un contesto degradato, “un mondo di narcomafie”, dove i gesti sono contaminati e ogni relazione compromessa ora dall’invidia, ora dall’accidia o dall’orgoglio.
Bloccati eternamente in un corpo esplosivo tanto quanto la vitalità delle loro promesse, i tre paiono vagare senza sosta in una ribellione che esaurisce la sua spinta nello stesso momento in cui si manifesta. Incapace di aggrapparsi a uno stimolo esterno tanto si piega sulle sue proprie condizioni.
La sessualità è il nucleo espressivo e critico dell’opera, non come trasgressione ma come zona di vulnerabilità e disvelamento. Il riferimento all’opera miliare Pinocchio: Un libro Parallelo di Manganelli – e ai “messaggi segreti” nascosti dentro Pinocchio – non è casuale: come nella ‘favola filosofica’, anche in Lucignoli la narrazione è un labirinto esistenziale da decifrare, non un percorso di formazione lineare. E il riscatto finale, promesso nella versione originale, qui non arriva: “Lo impedisce proprio quella diversità che, indelebile, sta nel corpo e nell’anima dei Pinocchi e dei Lucignoli e di tutti i somari di questo mondo”.
Garzella, in un momento emerso nel post-spettacolo, rivela quanto questa figura mitica sia intrecciata alla sua stessa storia. Colpito da poliomielite da bambino, racconta di aver vissuto a lungo in orizzontale, osservato da sguardi “strani” e non ancora socializzati. L’esperienza della protesi, della postura, della differenza, è diventata nel tempo un’origine simbolica. “Ero un bambino selvaggio, ma stavo bene. Quella condizione era mia, era identità”. La trasformazione del burattino in bambino per bene, nella sua visione, è un atto di normalizzazione che va messo in crisi. E il teatro è il luogo dove si può ancora desiderare “la realtà che non esiste”, coltivando un ‘desiderio desiderante’, non soddisfacente. Lucignoli è dunque anche un autoritratto metafisico, un atto di resistenza poetica alla tentazione dell’omologazione.
La regia sceglie una grammatica volutamente eccessiva: gesti spezzati, suoni disturbanti, materiali di scena che sembrano emergere da una discarica post-industriale dell’anima. Ma è in questo linguaggio dell’eccesso che si insinua la cura. La carne diventa parola, la vergogna racconto, l’oscenità si rovescia in sacralità. La scena è un luogo rituale, dove il frammentarsi dell’identità individuale non viene mai unito in redeniano quanto ma esposto, deriso e dileggiato.
Uno spettatore, Claudio, ha commentato all’uscita: “All’inizio mi ha spiazzato, ma poi mi sono sentito dentro: come se stessi guardando non lo spettacolo ma un pezzo del mio inconscio”. Una definizione che rende il riuscito cortocircuito tra rappresentazione e vissuto, tra scena e platea. Il teatro, qui, è una ferita che si apre nello spazio condiviso dello sguardo.
Il Festival Non c’è differenza si conferma così non solo come rassegna ma come spazio politico, capace di dare voce a progetti teatrali che altrimenti resterebbero confinati ai margini del circuito nazionale. Progetti che parlano di disabilità, devianza, follia, ma soprattutto di desiderio. Lucignoli è un’opera che non cerca il consenso ma la risonanza. E nel corpo storto di quel burattino che non diventerà mai un bambino per bene, forse c’è la profezia di un altro modo di stare al mondo.
LUCIGNOLI
opera vincitrice al bando MIC 2023 sull’accessibilità degli artisti disabili
scritta e diretta da Alessandro Garzella
con Francesca Mainetti, Chiara Pistoia e Alessandro Garzella
dramaturg Aurora Vannucci
collaborazione alla messa in scena Horacio Czertok, Ornella D’Agostino e Satyamo Hernandez
realizzata con il sostegno di A.E.D.O, Carovana SMI e Teatro Nucleo
a cura di ANIMALI CELESTI teatro d’arte civile
Teatro Laboratorio di Verona | 9 maggio 2025
PROGRAMMA DEL FESTIVAL
8 maggio ore 20.45
OSARE LA SCIENZA DEL FUTURO: MA CHE SPETTACOLO!
L’associazione OSA esce dai laboratori e dai convegni per salire sul palcoscenico e parlare di scienza con un linguaggio accessibile a tutti in un’alternanza di musica, testimonianze, intervuste, sfilata inclusiva
9 maggio e 10 maggio ore 21.00
LUCIGNOLI di Alessandro Garzella, Compagnia Animali Celesti
Le avventure di Pinocchio e del suo amico diventano un reality porno show in cui tutte le figure sono corrotte dalla brutalità dei nostri tempi spettacolo teatrale
(consigliato ai maggiori di anni 18)
10 maggio ore 19.00
MOSTRA FOTOGRAFICA degli artisti sordi Giacomo Albertini, Gaetano Cannizzaro, Davide Enrico Poletto
11 maggio ore 17.00
IL GIGANTE EGOISTA
Tratto dal classico di Oscar Wilde, regia Mario mascitelli anche interprete. Compagnia Teatro del Cerchio. Protagonista è un gigante non amante dei bambini che comprenderà quanto invece possano portare gioia e luce spettacolo teatrale
(per bambini a partire dai 3 anni)
12 maggio ore 19.30 ENDE
La prima miniaturista donna della storia di Michela Pezzani con Nunzia Messina reading
a seguire momento conviviale
– ore 21.00 LA GIOSTRA DELLA GUERRA restituzione del Laboratorio di Teatro Partecipato per over 65
13 maggio ore 19.00
INCONTRO DI TEATRO CARCERE Alberto Ferraro, operatore di teatro carcere, presenta la sua esperienza.
Momento conviviale. A seguire visione del film GRAZIE RAGAZZI con Antonio Albanese proiezione
14 maggio
– ore 18.30 ALL’ULTIMO VIAGGIO (ed. Bonaccorso) di Alexandre Laiter presentazione del libro a cura di Martine Susana ed Enrico Pieruccini.
– ore 19.15 AMABILI MOSTRI (?): La ‘persona artificiale’ fra utopia e distopia. Conferenza a cura di Cecilia Pedrazza Gorlero (Università di Verona)
Momento conviviale. A seguire Francesca Pedrazza Gorlero (produttrice e regista) presenta il film POVERE CREATURE regia di Yorgos Lanthimos – proiezione
15 maggio ore 21.00
L’INIZIO DI UN SOGNO di e con Miguel Gobbo Diaz.
Un racconto che va dall’infanzia all’età adulta, attraversando le esperienze del protagonista in cui ognuno può ritrovare la propria spettacolo teatrale
16 maggio ore 21.00
MEMORIE DAL REPARTO N° 6
Liberamente tratto dal racconto di A. Cechov regia Cora Herrendorf e Horacio Czertok. Tra le mura di un manicomio, alla ricerca delle verità di quei corpi e di quelle voci da sempre ridotti al silenzio. Čechov muove una forte critica alla disumanità del trattamento manicomiale e alla corruzione e meschina ottusità serpeggianti nella società spettacolo teatrale
17 maggio ore 21.00
PSYCHODRAMA da un monologo di Matt Wilkinson, regia di Valerio Mieli con Valentina Virando.
La protagonista vive una serie di coincidenze inquietanti che legano la sua vita a quella di Marion Crane, il personaggio principale dell’opera di Hitchcock. La linea tra realtà e finzione diventa sempre più sottile, fino a confondersi del tutto spettacolo teatrale
18 maggio ore 19.00
SETTE MINUTI un film di Alessia Bottone (2024)
Sette minuti è il tempo necessario per fumare una sigaretta sul balcone, per pensare alla propria vita e scoprire che per esistere ci vuole coraggio, anche quello che gli altri non hanno avuto proiezione
POST FESTIVAL
24 maggio ore 21.00
VR LETTERA A UNA PROFESSORESSA dal libro di Don Lorenzo Milani – Chille de la Balanza in collaborazione con Centro Formazione e Ricerca Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana spettacolo teatrale
Alcuni momenti saranno accompagnati dal pianista Andrea Cortelazzo