RENZO FRANCABANDERA | Canile Drammatico è un giovane festival di teatro contemporaneo che si svolge a Parma, rivolto a un pubblico giovane e alla scena emergente. Ideato dalla Fondazione Federico Cornoni ETS in memoria del giovane attore scomparso Federico Cornoni, si svolge dal 15 al 18 maggio 2025 in due spazi non istituzionali (Teatro Europa e Ratafià). La seconda edizione, intitolata A denti stretti, esplora in particolare il comico come chiave di lettura del presente, tra drammaturgia, stand-up, danza, teatro di figura e circo. Al centro, una riflessione politica e artistica che accoglie voci “randagie” del panorama nazionale. Accanto agli spettacoli, incontri, laboratori, un dopofestival musicale e progetti di comunità.

Abbiamo intervistato il comitato artistico di questa iniziativa dalla cifra così peculiare.

Canile Drammatico è un nome che dentro di sé ha un pensiero che vuole un po’ giocare con gli strali della sorte. Come nasce?

RITA DI LEO (RDL) – Canile Drammatico è un nome su cui ci siamo interrogati tanto lo scorso anno per la prima edizione del festival. Nasce come una sorta di provocazione seguendo lo spirito di Federico, giocando con le consuete definizioni del teatro, riferendosi all’essere “cani” degli attori non bravi, ma soprattutto include in sé un’idea di luogo di ritrovo per le persone abbandonate, gli ultimi, i dimenticati da determinati ambiti, come i canili che accolgono cani ammalati, abbandonati o che cercano casa. Canile vuole essere un invito a vivere nello stesso luogo linguaggi diversi che solitamente non trovano spazio nelle programmazioni ufficiali e anche a non prendersi troppo sul serio, a cercare di trovare il grottesco, la sopravvivenza, il riso nonostante la condizione drammatica, soprattutto per i giovani e i teatranti emergenti. Un nome che nasce dopo varie sperimentazioni, un colpo di genio di Gabriele Anzaldi del nostro Comitato Artistico.

Chi era, chi è, Federico Cornoni?

RDL – Federico era un attore, diplomato alla Scuola Iolanda Gazzerro di Ert di Modena e al Corso di Alta Formazione Casa degli Artisti di Fondazione Teatro Due di Parma, che si è approcciato al teatro e alla drammaturgia teatrale come autore e attore, scavando nel testo ed entrando all’interno delle parole. La sua velleità come attore era quella di riuscire a nascondersi tra i vari personaggi tramite una grandissima sensibilità e concretezza, un realismo che donava ai suoi ritratti. Federico è, tuttora, un attore (c’è tantissimo di lui nella programmazione di quest’anno di Canile Drammatico) che, anche se personalmente non si esprimeva molto perchè preferiva stare in un angolo ad osservare il mondo, in realtà tramite i suoi personaggi riusciva a denunciare, a uscire dagli schemi, a urlare tutta la rabbia e il dolore che si portava dentro e che riusciva a risignificare tramite i suoi personaggi in particolare le storie degli ultimi. Il suo autore preferito era Harold Pinter per come, sotto la rappresentazione borghese dell’Inghilterra anni ’70, riuscisse a raccontare tutta la merda che la borghesia cercava di nascondere e per come i sentimenti umani riuscissero a disegnare non solo gli ultimi ma anche coloro che appartengono ai ceti più alti.

GIORGIA FAVOTI (GF) – Federico era un attore di grande talento. Mi ricordo la prima volta che lo vidi per il saggio finale di un corso di teatro a Milano che andai a vedere da spettatrice, lui faceva il domatore di leoni, mi rimase impresso nella memoria. Un anno dopo ci siamo incontrati in accademia e ho avuto la fortuna di averlo come compagno e amico. Federico era, prima di tutto, un amico. Da lui ho imparato tanto sull’amicizia, ho ammirato la sua onestà e ho goduto della sua compagnia e della sua cura. Insieme siamo cresciuti, abbiamo condiviso il sogno di diventare attori e di fare il teatro che volevamo. Insieme abbiamo imparato, siamo caduti, ci siamo rialzati, abbiamo pianto, gioito e riso, riso tantissimo; ci siamo arrabbiati, ci siamo ignorati, abbiamo vissuto. Federico era nato per stare in scena, l’ho sempre pensato, ancora prima di conoscerlo. Era magnetico, chi l’ha visto sa di cosa parlo. In questo viaggio ci guida la sua forza, la sua voglia di ribaltare sempre tutto, la sua disobbedienza e immensa fragilità.

Perché ricordarlo così? Quale testimone passare a chi, giovane come lui, ha la passione bruciante per la scena?

(RDL) – Lo ricordiamo così perché, credo, crediamo, che sia un modo autentico per vivere il giorno della sua scomparsa. Il passaggio di Federico su questa terra non può ridursi a una ‘semplice’ visita al cimitero, ma va celebrato con rumore, come facevano i suoi personaggi, il suo corpo in scena, i suoi pensieri. Un festival dedicato alle compagnie emergenti e ai giovani artisti ci sembra il gesto più coerente con ciò che lui è stato: un modo per lasciare alle nuove generazioni il coraggio di non arrendersi e di abitare il teatro con integrità. Federico non ha mai ceduto ai soprusi o alle regole non scritte del sistema teatrale. Il suo esempio ci ricorda che si può fare arte senza compromessi, nella piena libertà di pensiero, ideologia e linguaggio.

SIMONE BARONI (SB) – Federico avrebbe preferito come parola, anziché resistere dentro ad un sistema teatrale che non favorisce i lavoratori, la parola disertare che riguarda l’integrità che lo salvava dalla compromissione con il Teatro.

GABRIELE ANZALDI (GA) – Federico era un amico raro, e non uso questa parola con leggerezza. Era uno di quei pochi amici capaci di ascoltare senza mai giudicare, dando valore e dignità a ogni tuo pensiero, dubbio o incertezza, soprattutto quando riguardavano il mestiere che condividevamo: la recitazione. La sua passione per il teatro era bruciante, totalizzante. Insieme passavamo intere giornate cercando disperatamente di capire come ottenere provini, interrogarci su cosa migliorare nel nostro modo di recitare, discutere della nostra estetica scenica. Innumerevoli erano le nostre riflessioni sul sistema teatrale italiano, spesso frustrati e rabbiosi di fronte alle ingiustizie che lo permeano. Condividevamo l’amarezza nel vedere produzioni dominate da scelte dettate dalle mode del momento, da compromessi superficiali. Federico detestava profondamente quella dinamica corrotta che obbliga gli interpreti a compiacere registi e direttori dei teatri nazionali soltanto per ottenere una possibilità lavorativa. Lo sconcertava l’idea che ciò che veniva premiato non fosse la qualità dell’interprete, bensì la capacità di creare meno problemi. Ecco perché è giusto ricordarlo così: come un testimone lucido e coraggioso contro l’opportunismo dilagante nelle grandi e medie produzioni teatrali italiane. Questo è il testimone che lasciamo ai giovani come lui e a chi, con la stessa intensità e purezza, ama questo lavoro: la forza di scegliere i compromessi con dignità, restando coerenti con se stessi, l’importanza di coltivare con autenticità la propria arte.

(GF) – Non credo che Federico sarebbe stato d’accordo con tutto quello che facciamo, a volte mi figuro quello che direbbe o anche solo il suo sguardo così integro sulla vita e sul teatro. Ecco, ciò che lascia in eredità Federico, è il suo coraggio, il coraggio di scegliere che persona essere nel mondo e con gli altri. Il coraggio di chi non sceglie secondo i propri interessi, ma si apre al mondo in cui vive e vede le sue ingiustizie. Questo era Federico, così lo ricordo, così mi sento di passare una sua traccia che oltre che appartenere alla sfera personale, è di per sé questione politica su cui ragionare, da persone e da attori.

Ci dite qualcosa del programma e delle intenzioni della rassegna? Come coinvolgere altri affinché si avvicinino sempre più a un linguaggio che a tratti pare lontano dal coinvolgimento dei giovani spettatori? C’è qualche ricetta, anche divertente, che Federico avrebbe proposto e di cui voi vi fate interpreti?

(RDL) – Ci tengo a sottolineare, in qualità di direttrice artistica, che l’intento del festival non è quello di cambiare il sistema teatrale, ma piuttosto di creare, anno dopo anno, uno spazio autonomo in cui far emergere un ‘contro-teatro’. Non abbiamo pretese ‘alte’ o strutture rigide: partiamo dalla base, con il desiderio di immergerci in un contesto che spesso ci resta estraneo, per provare a comprenderlo meglio e vivere un’esperienza altra rispetto a quella istituzionale. In questa edizione – in continuità con lo sguardo satirico, provocatorio e profondo che ha sempre caratterizzato l’approccio scenico di Federico – abbiamo scelto di dedicare il focus a un genere spesso trascurato dalle rassegne tradizionali: il comico. Per questo il titolo è A denti stretti. Come l’anno scorso, la programmazione prevede laboratori gratuiti per professionisti e professioniste e anche lo scambio diretto con una compagnia affermata, quest’anno Babilonia Teatri, che presenta Calcinculo e terrà un laboratorio di drammaturgia.

Tra gli altri nomi: Francesca Astrei, Vittorio Pagani, Luigi Ciotta, Francesca Santamaria, Valentina Medda, Nicola Lorusso e Giulio Macrì, Diego Piemontese, collettivo BEstand.  Il dopofestival Randagio come exploit di risate con stand-up comedy, una comedy battle e tanta musica dal vivo a cura di Gabriele Anzaldi e Simone Baroni, anche musicisti, che allieteranno con due proposte musicali. Infine, uno spettacolo come Déjà vu / Parma di Alessandro Businaro dedicato alla tradizione culinaria della città. E ancora, quest’anno abbiamo voluto aggiungere una sezione “marginale”, che si svolgerà a luglio nel borgo di Bore, un piccolo paese dell’Appennino. Non uso a caso l’aggettivo “marginale”: Bore rappresenta per noi un luogo simbolico, al margine geografico ma ricco di memoria storica, in cui desideriamo portare il teatro in dialogo con l’eredità culturale del territorio e dei suoi abitanti. Attraverso un progetto di ricostruzione della memoria cittadina, vogliamo raccontare la Resistenza vissuta da questa comunità e dare voce a chi ha fatto della resilienza un nuovo stile di vita quotidiano. Il programma prevede una passeggiata lungo l’Anello di Davide, ideata e curata da noi del comitato artistico. La progettualità sull’Appennino si inserisce inoltre in un più ampio percorso di rete e collaborazione con realtà culturali distribuite su tutto il territorio nazionale. Nella sezione borese di Canile Drammatico rientra il progetto “FaTiCa a margine”, realizzato in collaborazione con Fare Festival (Cave) e Teatro in Quota (Rocca di Mezzo).

(GF) – Sostenere le giovani compagnie e resistere, non mollare mai. Stare vicini, trovare una famiglia, condividere dei percorsi. Pensare un teatro diverso. Il comico quindi come ribaltamento del reale, come motore che apre a nuove possibilità, che crea un punto di vista differente, sorprendente, contro il senso comune, contro ciò che pensiamo sia inevitabile. Non intendiamo il comico come qualcosa che faccia per forza ridere: comico è ciò che ribalta le prospettive, ciò che non ti aspetti. Può essere tagliente, crudele, macabro, assurdo. Può suscitare una risata a denti stretti o essere disturbante. Comico e tragico sono strettamente connessi. La comicità è qualcosa che apparteneva a Federico, attore comico strepitoso, a volte suo malgrado. Lui era sorprendente, quando approcciava il testo e la scena. Era magnetico, aveva un’ironia in ciò che faceva che non sfociava mai nel grottesco, possedeva una misura, una delicatezza, che lo rendevano unico. La comicità non si studia a scuola, è un dono, e in pochi ce l’hanno. Fede era anche un grande attore tragico, poteva fare ridere e piangere nel giro di poco. Aveva una visione, era nato per stare in scena. La comicità apparteneva a Federico, sia nella pratica artistica, che nella vita. Era pronto a ribaltare tutto, ad aprire sempre a nuove possibilità, a ridere di gusto, a farci ridere.

(SB) – Credo non ci siano ricette. Se non il constatare che questo allontanamento può essere recuperato con atto di forza. Molto difficile diventa qualsiasi ruolo che ci si dà utilizzando la categoria di giovani, quasi a voler rivendicare un diritto di prelazione su un tema o sul teatro stesso. Non credo che questo compito spetti a nessuno, tantomeno a noi perchè il tempo delle avanguardie è finito da un pezzo e viviamo una realtà che è completamente disgregata, sempre più centrifugata in quelle che sono le nostre vite che procedono a puntate, come su Netflix, per cui è un linguaggio destinato a scomparire. Qui ognuno deve starci dentro e sapere galleggiare come meglio può. Federico avrebbe detto che bisognerebbe imparare a vivere senza più respirare.