OLINDO RAMPIN – Tra il Portogallo e l’utopia c’è un’antica trama di corrispondenze. Non può essere un caso, infatti, che Rui Pina Coelho, studioso e performer di Èvora che ascoltiamo in una saletta del Teatro Rasi di Ravenna, sia conterraneo di Raffaele Itlodeo, il personaggio portoghese che alla fine del Primo Libro di Utopia di Tommaso Moro descrive all’autore come è fatta la città ideale. Anche Pina Coelho è esperto di utopie, ma le racconta al pubblico del Polis Teatro Festival, valentemente diretto da Davide Sacco e Agata Tomšič, quest’anno dedicato alla nuova scena iberica.

UTOPIE E ALTRI DESIDERI
Icaria, Icaria, Icaria: una conferenza su un desiderio chiamato utopia e altri superpoteri. Così si intitola l’intervento di Pina Coelho, che prende le mosse dal Voyage en Icarie, un romanzo di Étienne Cabet, utopista francese dell’Ottocento: una di quelle figure irreali che non sembrano poter essere davvero esistite, come Charles Fourier, l’inventore dei falansteri, che sedusse il giovane Dostoevskij, prima che questi espiasse il suo socialismo utopistico con i lavori forzati, si convertisse alla slavofilia, dirigesse un giornale reazionario e scrivesse una manciata di capolavori.
Il sottotitolo la annuncia come una «conferenza performativa», ma la natura di Giano bifronte, di professore e di autore, dell’artista portoghese sembra maggiormente calamitata verso il primo dei due volti da una inesauribile voracità culturale e dalla natura frontale, oracolare, della sua orazione. Si viene così erigendo, davanti ai nostri occhi, pietra dopo pietra, una specie di strana piramide azteca fatta di blocchi simpaticamente sghembi: una panòplia di citazioni a cannocchiale, da Krishan Kumar a Fredric Jameson, da Charles Fourier a Peter Weiss, da Richard Schechner a Brian Kulick, da Cornelius Castoriadis a Jill Dolan, per  menzioniarne solo alcuni.

Rui Pina Coelho – Icària, Icària, Icària ph Dario Bonazza

Il comunismo utopistico francese ottocentesco viene così aggiornato alle fonti del nuovo femminismo, dell’interculturalismo, dell’approccio immaginativo, del nuovo ecologismo. È una traiettoria da cui verrebbe la tentazione di ricavare, come in una mappa concettuale, l’alterità al materialismo di tutta una lunga e composita progenie culturale novecentesca e post-novecentesca. Una genealogia variegata e multiforme, ma che ci sembra in sostanziale continuità con la tendenza, vincente nel secondo Novecento e oltre, non a innovare Marx ma a superarlo e a negarlo in senso idealistico e anti-materialistico.
Secondo il medievalissimo Dante, l’«empio Ulisse», desideroso di viaggiare e di conoscere il mondo oltre i limiti fissati da Dio, ingannò con una «orazion picciola» i suoi compagni, alimentandone il desiderio di mondi sconosciuti. Superate le Colonne d’Ercole, cioè lo stretto di Gibilterra dove – guarda caso – termina la penisola in cui vive Pina Coelho, dalla «nova terra» (che cos’è se non Utopia?) si alzò un tornado che mise fine al «folle volo». Malgrado il culto ridicolo che il turismo culturale ne ha promosso con le celebrazioni del 2021, noi non crediamo che il cantore di Beatrice fosse un vate o un veggente. Non crediamo nemmeno che possa aver antiveduto il naufragio di tutti gli utopisti, fatti non «a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza». Quel che è certo è che a loro appartiene di fatto e di diritto il professor Pina Coelho.

SIGNORA DITTATURA
Si sa che ogni lingua è sempre una lingua-cultura, e come tale mette anche in relazione sensoriale ed empatica con l’universo umano da cui proviene. Ci siamo un po’ rammaricati, quindi, che Pina Coelho non abbia affabulato utopie nella sua adorabile lingua materna, anche se abbiamo apprezzato l’ardimentosa scelta di misurarsi con la lingua del bel paese (quel poco che ne resta) «dove ‘l sì suona». Ci siamo, invece, saziati ampiamente gli orecchi, e ancor di più gli occhi e tutti i sensi, con la lingua dei catalani Hermanas Picohueso. Dama Dictadura, gustosa e tremenda anti-agiografia di Carmen Polo, moglie del dittatore spagnolo Francisco Franco, propone un teatralismo sgargiante, onnivoro, pluri-linguistico. I due autori e interpreti, Josep Orfila e Lluki Portas, hanno messo le mani su un materiale vintage e trash che, dietro l’apparenza innocua, lascia sgomenti. Gli scatti analogici della vita quotidiana della Signora Franco e i ritagli d’epoca di una rivista di gossip, ¡Hola!, aedi della triste mondanità della coppia nera, diventano gli strumenti di una lingua metallica, cristallina, tanto più efficacemente denigratoria quanto più sa evidenziare, con acuta lucidità, la natura di classe del fascismo. Il principio ordinatore dello spettacolo si annida nelle false piste proposte allo spettatore, per aumentare l’effetto persuasivo della successiva rivelazione.

Hermanas Picohueso, Dama Dictadura ph Dario Bonazza

All’inizio il racconto si sviluppa come una sequenza commentata di foto scolorite di quella che appare come una qualunque donna anziana piccolo-borghese, una versione iberica della Casalinga di Voghera. Solo dopo ci viene rivelato che questa signora che sorride con le amiche, ritratta in contesti anonimi, fu la rampolla di una danarosissima schiatta della Spagna clerico-fascista, caparbiamente corteggiata e poi impalmata da Francisco Franco. La sequenza di foto, di oggetti, di vecchie e aberranti pubblicità di dadi da brodo, si alterna con video dal vivo in cui gli animatori si riprendono e si trasformano in attori. Josep Orfila, vestito di un funereo abito nero, è una dama sciocchissima e conformista. Ma passo dopo passo, oggetto dopo oggetto, foto dopo foto, capiamo che siamo di fronte non alla parodia grottesca di un ideal-tipo femminile della più reazionaria classe dominante, ma al racconto-confessione di un grumo irrisolto dell’identità spagnola, di una grande rimozione del quarantennio nero, vera e propria patologia su cui si è retta l’oscenità morale del potere fascista, per quanto patinata da abiti lussuosi e collane di perle, di cui Donna Carmela fu bramosa e compulsiva collezionista.

I due coniugi emergono così per quello che sono stati realmente, due tipici esponenti senza qualità di una borghesia incolta, moralista e qualunquista che, in Spagna come in Italia, e forse ovunque, non può che essere razzista, per il semplice fatto che odia i poveri, i rom, gli ebrei, gli africani, gli omosessuali, i “rossi” e coloro che in buona sostanza non aderiscono a un clericalismo gretto e sanfedista. Meglio di un saggio o di un romanzo, Dama Dictadura individua un’infezione che l’eredità franchista ha inoculato nelle viscere della nazione, persistente anche nella Spagna democratica. Le ricostruzioni delle mostruose violenze neonaziste dei decenni successivi contro i senza tetto, cucendo interviste tv d’epoca a uno dei giovanissimi autori, la commozione inarginabile  dei due performer e gli agghiaccianti referti medici delle condizioni delle vittime, mostrano che dietro il nulla ideologico-culturale del fascismo, dietro il suo falso moralismo soffocante e pervasivo, c’è uno strato-base che ha nel sadismo e nella pulsione di morte la sua  matrice unificante.

LA RISCOPERTA DELLA COPLA, UN CABARET SPAGNOLO
La rivista di gossip ¡Hola!, come molti altri pilastri della Spagna franchista, non ultime la monarchia e la casa reale, è sopravvissuta indenne a quarant’anni di dittatura. La Spagna ha rappresentato un caso unico tra le province imperiali degli Stati Uniti, perché le è stato concesso dapprima di non prender parte attiva alla Seconda Guerra Mondiale, poi di ritardare di trent’anni la transizione alle cosiddetta democrazia liberale. Del resto, piuttosto che correre il rischio che a prendere il potere siano los rojos, le democrazie liberali preferiscono sempre il fascismo.

¡Hola! continua tuttora a soddisfare con indefessa pervicacia i voyeuristici piaceri del vip watching. Proprio in questi giorni ha dedicato la copertina a Lola Flores, detta la “Faraona”, la diva morta trent’anni fa «che non sapeva ballare né cantare, ma che non si poteva perdere», come scrive il magazine. Ci chiediamo se la redazione della rivista sia consapevole che il suo archivio abbia fornito fonti di ispirazione non solo a Dama Dictadura ma anche a Cobla, un cabaret spagnolo, lo spettacolo che Alejandro Postigo, anche lui studioso e artista, ha portato in scena in una località della campagna ravennate con un nome bellissimo, Piangipane, in quel Teatro Socjale costruito un secolo fa dai braccianti (anche questo è bellissimo) dentro il quale ogni anno Polis Teatro Festival dà alla giornata conclusiva un’atmosfera conviviale, rilassata, piacevolmente rétro. Dopo la matinée domenicale, mangiamo gli eccellenti cappelletti cucinati dai volontari che gestiscono questa gloriosa sala da concerti e da ballo. Alejandro Postigo ha i numeri per farci rivivere, nel cuore dell’agro romagnolo, l’eleganza antica e la presenza scenica delle antiche dive della Copla. Il suo spettacolo è ricco di sapori kitsch e camp, ma quello di Postigo verso la canzone popolare spagnola è un sentimento d’amore vero, cioè assoluto, felice e doloroso. Il colpo di fulmine è stata la visione infantile di Tutti insieme appassionatamente, con la scoperta, autentica folgorazione visiva e musicale, della fine bellezza dell’anti-diva Julie Andrews.

Alejandro Postigo – Copla, un cabaret spagnolo   ph Dario Bonazza

Crescendo, dal musical anglo-pedagogico per famiglie Postigo approda alle storie d’amore e di prostituzione cantate nella Copla, scoprendovi un universo umano, una cultura popolare attraverso la quale guardare con occhi nuovi e consapevoli alla recente storia del suo paese. Immigrato in Inghilterra, dove è Senior Lecturer in Musical Theatre alla University of West London, Postigo ha sperimentato la nostalgia degli esuli, che tira colpi bassi e trasferisce in un limbo, dove non si appartiene più né al Paese d’origine né a quello d’approdo. Quell’amor de lonh, da lontano, era il sentimento più appropriato per comprendere definitivamente l’universo di amori infelici, di laceranti malinconie e di sottili angosce che caratterizza l’antica canzone d’amore popolare, in Spagna come altrove.

Solo che quel mondo di dive dimenticate, dai volti malinconici o imperiosi, dagli abiti clamorosi e dal trucco iperbolico, che dona ai loro occhi scuri e mediterranei una profondità in cui perdersi, è stato, come tutte le culture popolari, fieramente avversato dalla borghesia fascista, dal suo odio per le classi povere, dalla sua sessualità repressa, dal suo distacco dal corpo, dal suo terrore per la verità; ed è stato quindi strumentalizzato politicamente con finalità propagandistiche. La sopravvivenza della Copla durante la lunga notte del franchismo fu il frutto di compromessi, di necessari adeguamenti alla necessità di sopravvivere, accettando la mano pesante e grottesca della inquisitoria censura della classe dei funzionari e dei burocrati. Accompagnato da due eccellenti musicisti, Postigo ripercorre questa storia popolare con verità di accenti, dosando con generosa adesione racconto, canto e performance.

ISTRUZIONI PER COME VIVERE DOPO LA FINE DEL MONDO
Torniamo a Ravenna. Al Mar, Museo d’Arte cittadino, le sale espositive del piano terra sono attraversate da sette giovani performer della formazione locale Spazio A diretti dalla regista portoghese Isabel Costa, che firma altrettanti Manifesti per dopo la fine del mondo della compagnia Os Possessos. Sono analisi critiche e proposte di trasformazione dello stato di cose presenti, dove il linguaggio anti-teatrale del saggio chiama in causa e sollecita la capacità di persuasione e di verità del corpo e della voce degli attori, che con le loro diverse ascendenze restituiscono all’esperienza una apprezzabile dimensione interculturale. Lo sguardo e l’attenzione degli spettatori resta concentrato sulla performance, ma è piacevole cedere all’intreccio cognitivo che quei ragionamenti potentemente strutturati innescano con il linguaggio, sapientemente decostruito, delle grandi esperienze novecentesche dell’informale italiano, per usare un termine impreciso:  le personalissime grammatiche della fantasia di Afro, di Giuseppe Santomaso, di Mattia Moreni, di Emilio Vedova, ognuna affiancata da copie a mosaico. Quando usciamo nel chiostro per assistere all’ultimo Manifesto, la luce di queste irreali giornate di sole ci feriscono gli occhi e ci costringono a giocare a rimpiattino con gii spettatori.

Isabel Costa/Os Possessos.   ph Dario Bonazza

Immagine in evidenza: hermanaspicohueso.com


ICÁRIA, ICÁRIA, ICÁRIA: UMA CONFERÊNCIA SOBRE UM DESEJO CHAMADO UTOPIA E OUTROS SUPERPODERES

prima italiana

di Rui Pina Coelho
assistenza scenografica Catarina Barros
produzione TEP – Teatro Experimental do Porto
traduzione a cura di Lucia Bellettini, Agnese Chierici, Luca Gianfelici, Francesca Lambertini, Adele Mazzoli, Giusi Merico, Silvia Nasini con la supervisione del Prof. Giacomo Falconi, Università di Bologna – Dipartimento di Interpretazione e Traduzione

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DAMA DICTADURA
prima italiana

creazione Hermanas Picohueso
direzione e drammaturgia Lluki Portas
interpretazione Josep Orfila e Lluki Portas
scenografia e costumi Josep Orfila
composizione musicale Mon Joan Tiquat
produzione Gal-la Peire e Aina Juanet
direzione tecnica Marc Homar
luci Gal·la Peire Camps
grafiche Diego Ingold
consulenza drammaturgica Catalina Florit e Andrés Lima
costume designer Antònia Camia
trainee Marina Salas

coproduzione Hermanas Picohueso con il Teatre Principal de Palma
con il sostegno del Consell de Mallorca e del Dipartimento di Cultura della Generalitat de Catalunya
con la collaborazione di Nau Ivanow, Teatre Principal d’Inca, Teatre Sa Societat de Calvià, Teatre d’Artà, Espai el TUB

traduzione a cura di Maria Ludovica Beci, Elisabetta Benvenuti, Greta Bortolomasi, Francesca Romana Cammisa, Rachele Castagna, Clara Castellana, Silvia Del Bono, Virginia Donatini, Chiara Fabbri, Alessia Frascati, Marta Geminiani, Giorgia Maccaglia, Giorgia Morelli, Sofia Pelagalli, Angela Presti, Elena Sabetta, Letizia Senesi con la supervisione della Prof.ssa Gloria Bazzocchi, Università di Bologna – Dipartimento di Interpretazione e Traduzione

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COPLA: A SPANISH CABARET

prima italiana

autore e performer Alejandro Postigo 

regia Sergio Maggiolo  
violino Violeta Valladares
piano Jack Elsdon
designer Ricardo Ferreira 
producer Scott Folan

traduzione a cura di Jenifer Di Silvestre con la supervisione della Prof.ssa Adele D’Arcangelo, Università di Bologna – Dipartimento di Interpretazione e Traduzione

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MANIFESTOS PARA DEPOIS DO FIM DO MUNDO

prima italiana

selezione dei testi e creazione Isabel Costa
con Rendy Anoh, Camilla Berardi, Beatrice Cortesi, Anna Dall’Olio, Irene De Simone, Marco Montanari, Marco Saccomandi / Spazio A
supporto alla drammaturgia Daniel Gamito Marques
produzione esecutiva Leonardo Garibaldi
produzione Os Possessos
coproduzione Fundação Caixa Geral de Depósitos – Culturgest e Walk&Talk
in collaborazione con La Corelli, ErosAntEros – POLIS Teatro Festival e Spazio A per la versione italiana a POLIS 2025
progetto sostenuto dal European Festivals Fund for Emerging Artists (EFFEA), un’iniziativa della European Festivals Association (EFA), cofinanziata dall’Unione Europea

traduzione a cura di Lucia Bellettini, Agnese Chierici, Luca Gianfelici, Francesca Lambertini, Adele Mazzoli, Giusi Merico, Silvia Nasini con la supervisione del Prof. Giacomo Falconi, Università di Bologna – Dipartimento di Interpretazione e Traduzione

Polis Teatro Festival, Ravenna | 10 e 11 maggio 2025