LEONARDO DELFANTI | C’è un’immagine che sembra brillare come una costante nel monologo L’inizio di un sogno, scritto e interpretato da Miguel Gobbo Diaz, andato in scena lo scorso 15 maggio al Teatro Laboratorio di Verona nell’ambito del Festival Non c’è differenza. È quella del fuoco che brucia sotto la pelle, che si manifesta come ostinazione e desiderio, che tiene in vita il sogno – quello di diventare attore – in un’Italia ancora troppo lenta nel riconoscere la pluralità dei suoi volti e delle sue identità storiche.

Gobbo Diaz, nato a Santo Domingo nel 1989 e cresciuto a Vicenza, costruisce un racconto teatrale autobiografico che supera la forma del memoir per diventare una narrazione generazionale capace di dar voce a chi spesso resta ai margini del discorso pubblico. L’inizio di un sogno non è solo la storia della sua vita: è il racconto di chi cresce nelle periferie italiane con corpi e nomi che non corrispondono all’immagine dominante; è la testimonianza viva di un’intera generazione – non solo attoriale – ritenuta “non adatta al mercato”, e che proprio da questa esclusione ha appreso un altro modo di stare al mondo, e sulla scena.

Il testo, scritto e interpretato da Gobbo Diaz, con la regia di Maurizio Mario Pepe, nasce da un’urgenza intima, ma si trasforma in un atto pubblico: attraversa l’infanzia in Veneto, le difficoltà scolastiche, le prime passioni artistiche, le esperienze professionali tra Roma e Londra, fino al consolidarsi di una coscienza critica e identitaria. È un percorso che viene condiviso con il pubblico come invito a riconoscersi in un’Italia che cambia con ostinata vitalità.

“Ho scritto questo spettacolo perché sentivo il bisogno di raccontare quello che ho vissuto”, spiega l’attore. “I momenti belli e quelli brutti. Volevo far capire che ogni esperienza ha valore, anche quelle che non sopportiamo. Sono proprio quelle che ci fanno crescere”.

La scenografia, essenziale ma densamente simbolica, riproduce un’aula scolastica italiana dei primi anni Duemila: un tempo e uno spazio condivisi da molti, che qui diventano architettura della memoria e dispositivo drammaturgico. Tre ambienti distinti ma in costante comunicazione strutturano la scena. Sulla sinistra, un banco di scuola che nel tempo si trasforma in un vulcano di libri: da lì, letteralmente, eruttano le irrequietezze e le domande dell’adolescenza, in un’iconografia scolastica che alterna vincolo e possibilità. Al centro, un appendiabiti che si fa stazione di transito, portale della metamorfosi: un oggetto quotidiano che si carica del passaggio tra età e identità diverse. Sulla destra, una libreria semplice ma evocativa restituisce l’intimità della cameretta, spazio interiore per eccellenza del giovane protagonista.

Il proscenio, lasciato volutamente sgombro, si configura come zona franca, luogo di confessione e di esposizione, ma anche di dichiarazione identitaria. Qui si consuma il dialogo più diretto con il pubblico, qui prendono forma le mutazioni nei gusti estetici e musicali del protagonista, le sue battaglie interiori, i suoi piccoli trionfi. È uno spazio frontale ma fragile, in cui la vulnerabilità dà anche forza drammaturgica.

Miguel Gobbo Diaz attraversa questi ambienti con naturalezza e precisione, dimostrando una padronanza scenica che gli consente di abitare lo spazio con il corpo prima ancora che con la voce. Il corpo dell’attore, che viene dalla scuola del Centro Sperimentale di Cinematografia, diventa così secondo testo, capace di dialogare con gli oggetti, con la scenografia e con l’immaginario del pubblico, che riconosce in quei luoghi e in quei passaggi frammenti della propria esperienza.

Il ritmo della performance è serrato ma mai affrettato: Gobbo Diaz dosa le accelerazioni e i rallentamenti con intelligenza scenica, mantenendo viva l’attenzione anche nei passaggi più riflessivi. Quando, raramente, la concentrazione sembra allentarsi, l’attore riesce comunque a recuperare il centro emotivo grazie a un uso sapiente dello spazio e a un’ottima gestione della transizione tra le scene.

Particolarmente incisivo è l’uso del linguaggio: l’attore alterna registri con una disinvoltura che nasce da profonda consapevolezza identitaria. Dal vicentino all’italiano standard, fino al romanaccio di strada e al gergo scolastico, ogni codice linguistico è una traiettoria sociale, un periodo della vita che si srotola nella sua vivacità. Le transizioni tra i momenti della narrazione – dall’infanzia ingenua alla rabbia adolescenziale, dai sogni calcistici alle prime prove attoriali – sono fluide, ben calibrate, e sempre sorrette da un preciso lavoro sul ritmo.

Uno degli aspetti più potenti di L’inizio di un sogno è la sua capacità di affrontare il tema dell’identità in modo stratificato, evitando scorciatoie retoriche o pietismi. Miguel Gobbo Diaz racconta cosa significhi crescere in Veneto con la pelle scura e un nome “diverso”, abitare un Paese che ti guarda sempre con un interrogativo sospeso, dover costantemente dimostrare di essere “abbastanza” italiano, “abbastanza” competente, “abbastanza” degno di fiducia. Eppure, la narrazione non indulge mai nel vittimismo: l’attore affronta la materia con brio, lucidità e una spiazzante autoironia.

La multiculturalità, in questo monologo, non è un’aggiunta tematica né una bandiera ideologica, quanto la condizione odierna di tutti quegli italiani cresciuti tra più mondi, tra appartenenze ibride e territori talvolta inospitali. È il pane quotidiano di una generazione che vive in province che non sempre sanno accoglierla, ma che proprio per questo diventano bacini imprevisti di creatività e resistenza.

Miguel, a noi, si mostra in tutta la sua complessità: ex calciatore, figlio di una madre tenace, studente disinteressato che scopre nel teatro un’ultima spiaggia e poi una vocazione. Il suo percorso è disseminato di difficoltà economiche, episodi di bullismo, porte chiuse in faccia, ma anche di incontri trasformativi, amicizie sincere, insegnanti che credono, occasioni che accendono scintille. È un racconto che non nasconde la fatica ma che mette al centro il movimento, la traiettoria, il cambiamento possibile. “Ogni ragazzo ha dentro un fuoco. Il punto è capire come alimentarlo. Io lo facevo con la passione per la recitazione. Ma vale per tutto. Per questo voglio portare questo spettacolo anche nelle scuole. Per far vedere che esistono possibilità. Che si può scegliere.” Alla fine, Gobbo Diaz ci sottolinea la volontà di portare questo monologo anche nelle scuole. Ed è facile capirne il perché. L’inizio di un sogno è un’opera che parla ai giovani in modo diretto, senza retorica, con autenticità. Parla a chi si sente spaesato, a chi ha un sogno ma non trova il coraggio di seguirlo, a chi ha bisogno di vedere rappresentata un’altra possibilità di futuro.

Il messaggio è chiaro e viene ripetuto più volte nel corso della pièce: nessuno può impedirti di credere nei tuoi sogni. La forza per inseguirli viene dall’amore per sé stessi, per la propria passione, per la propria storia. Come afferma lo stesso attore: “Ogni momento raccontato in questa storia è stato sostenuto dall’amore per quello che facevo. Il mio sogno potevo raggiungerlo solo accettando anche ciò che non sopportavo, affrontando il tutto con la consapevolezza che ogni esperienza, negativa o positiva, aveva lo stesso valore: aiutarmi a crescere come essere umano pieno di vita”.

L’inizio di un sogno assume quindi un valore politico nel senso più alto del termine: dà voce, corpo e legittimità a un’identità italiana, fatta di desideri, leggerezza, relazioni e passione. Portare in scena questa complessità significa scardinare gli stereotipi dominanti e proporre nuove immagini di cittadinanza, più inclusive, più aderenti al presente.

Il Festival Non c’è differenza ribadisce in questo senso la sua vocazione di spazio prezioso per la città di Verona. Come ha testimoniato la presenza dell’assessore alle politiche giovanili Jacopo Buffolo la diversità non è cosa da tollerare, ma una leva da agire e valorizzare per comprendere la società in cui viviamo. La serata al Teatro Laboratorio si è poi conclusa tra gli applausi di un pubblico – eterogeneo e partecipe – che ha accolto Diaz all’uscita con calore sincero. Diversi spettatori si sono fermati per ringraziare l’attore. È il segnale chiaro di una necessità: c’è fame di autenticità, di storie raccontate da chi le ha vissute.

L’INIZIO DI UN SOGNO

Drammaturgia Miguel Gobbo Diaz
Regia Maurizio Mario Pepe
Cast Miguel Gobbo Diaz

Teatro Laboratorio di Verona | 15 maggio 2025