CRISTINA SQUARTECCHIA l Alloggiando Art Fest, un Festival di danza contemporanea cresce sulle colline marchigiane, a Montecosaro, un delizioso Borgo in provincia di Macerata. A pochi chilometri dalla vivace Civitanova Marche e il suo mare, regnano su queste colline un silenzio e una calma che donano pace e tranquillità, luoghi ideali per far germogliare idee e progetti. Un posto di solitudine creativa tanto necessaria agli artisti, che custodisce spazi suggestivi e luoghi ‘gustosi’ da abitare con il corpo danzante e ri-significare con il gesto per ripensare il passato e valorizzare le bellezze di un territorio. È partito così Alloggiando in una felice sinergia tra il Comune di Montecosaro e l’Associazione HUNT imponendosi nel panorama festivaliero regionale e nazionale a sostegno degli artisti e delle produzioni con progetti specifici di residenza. Elisa Ricagni e Giosy Sanpaolo co-dirigono il Festival insieme a Leonardo Carletti, Giorgia Perugini, Nicholas Baffoni e Camilla Perugini. La Spring Edition di quest’anno, partita domenica scorsa, ospita come artista in residenza Fabritia D’Intino, autrice e danzatrice per Salvo Lombardo, che porta avanti un personale discorso coreografico in continua evoluzione estetica e stilistica, di cui una parte prenderà forma nel Teatro delle Logge a Montecosaro con una prima restituzione per il festival dal titolo (ancora provvisorio) VU in collaborazione sonora di Federico Scettri. Fabritia D’intino sarà anche in scena a Bolzano Danza, il 25 luglio, insieme a Agnese Banti con un altro lavoro comeback. Abbiamo incontrato gli organizzatori, i danzatori e i principali ospiti di questa prima giornata di festival. Di seguito un breve racconto e le interviste ai protagonisti.
FABRITIA D’INTINO E FEDERICO SCETTRI
Siete immersi in un processo creativo che tra qualche giorno avrà una forma. Qual è il vostro punto di partenza e dove pensate di arrivare per ora?
F.D’I. Abbiamo un serie di riferimenti, ma ci muoviamo in questa fase più che mai nel mondo dell’ignoto. Non sappiamo fino a che punto gli immaginari di partenza potranno essere visibili o meno, ma sappiamo qual è il nostro margine di interesse sul corpo. Partiamo da uno sguardo sul corpo che deriva da una ricerca precedente che si chiama Medusa che riguarda un’idea di sparizione di un corpo che si nega allo sguardo. Dopo quella ricerca ci stiamo affacciando ora all’idea di un corpo emerso, che si offre alla visione e in questo ci stiamo chiedendo entro quali confini ci può interessare: mostrarlo è ciò che sta emergendo di più da questi primi appunti che ci siamo dati. Siamo in una sorta di limbo, in una presenta/assenza, in una zona liminale indefinita, tra il visto e il non visto, tra la vita e la morte. In questa zona stiamo proprio indagando la pratica della danza del limbo, dalle sue origini caraibiche, esplorando la sua dimensione festosa e rituale.

Ci interessa indagare di questa pratica coreutica la dinamica della discesa, l’andare verso la gravità di un corpo che tende verso il basso e quindi la morte. In questa fase è emersa l’iconografia legata alla storica La morte del Cigno di Michel Fokin (1905). Un richiamo fulminante, perché è uno dei pochissimi esempi di tutto il balletto classico che ritrae il corpo morente della ballerina classica che scende gradualmente verso il suolo e asseconda la gravità. Qui si svela la sua fragilità e la sua caduta. È un lasciarsi andare, un tradire i canoni estetici del balletto classico dell’elevazione e della verticalità, dove assistiamo all’indebolimento a un corpo che si adagia. Questi aspetti ci interessano particolarmente per poi aprire un campo di immaginazioni ancora da definire.
F.S. È curioso come ormai sono tanti anni che lavoriamo insieme, e pur avendo fatto diversi tipi di ricerche, adesso è come se l’interazione di tutti questi mondi che abbiamo attraversato volessero incontrarsi. Da Wannabe, che è stato un lavoro più pop, adesso musicalmente si delinea un nuovo orizzonte dove c’è il desiderio di unire un po’ tutto quanto. Può sembrare un’idea molto semplice, ma per me è una visione profonda perché tante cose sono molto vicine, anche se noi non ci pensiamo. In questo caso l’idea del limbo, come zona di confine per me si tramuta a livello sonoro come vicinanza, prossimità, tutto sta nel trovare il gancio giusto tra le cose e unirle. È un aspetto che musicalmente trovo molto interessante.
F.D’I. Siamo infatti in una zona grigia, e quindi tutto aleggia un atmosfera di delicatezza verso quello che può affiorare, perché è tutto ancora fragile. Ci stiamo ancora interrogando su tante cose anche a livello formale e pratico, quindi della zona del non sapere ci lasciamo guidare e informare da quello che accadrà.
Perché VU?
F.D’I. Già sento che non è più lui il titolo. VU sta per visto, come un corpo emerso, come qualcosa che si afferma, ma V è anche la forma simbolica della lettera che svende verso il basso: è come un imbuto che attira. Un titolo provvisorio per capire cosa accade in quel minuto poco prima della fine, quando non ancora tutto è definito, ambiguo, provvisorio, ma che racchiude ancora tutti questi elementi concettuali che nutrono al momento la creazione.
ELISA RICAGNI E GIOSY SAMPAOLO IN CO-DIREZIONE DEL FESTIVAL
Come è nato il Festival?
E.R. Il Festival nasce dalla spinta dell’Amministrazione comunale di Montecosaro, in particolare dell’assessore alla Cultura Marco Cingolani, che da anni fa un lavoro attento e ragionato di progettazione culturale. Qui abbiamo a disposizione il Teatro delle Logge, pur se piccolino, ma è sempre aperto e visitabile. A sostegno di tale attenzione la proposta dell’Assessore Marco Cingolani è stata quella di prendere la direzione artistica di un festival che fosse incentrato sulla danza e in particolare sulle residenze artistiche, perché mancava questa parte nella programmazione del Comune.
G.S. Abbiamo iniziato a lavorare nel 2020 ma la pandemia ci ha poi fermati e siamo poi realmente partiti nel 2021. L’idea di incentrare il festival sulla creazione è stata nostra e sin da subito abbiamo lanciato un bando. Il sostegno del Comune di Montecosaro è stato significativo dandoci la possibilità di abitare questi luoghi. Noi di HUNT ci sentiamo quasi dei privilegiati nel portare arte e bellezza in questo Borgo e valorizzarne il fascino.

Quando nasce la compagnia HUNT e come siete cresciuti in questi cinque anni?
E.R. Festival e compagnia quasi contemporaneamente insieme. HUNT come Associazione culturale nasce nel 2020 in modo ufficiale e definitivo, con la formazione che abbiamo oggi. Prima era un aleatorio progetto. Siamo quattro soci fondatori e dieci danzatori di cui sei stabili, mentre Camilla Perugini e Nicholas Baffoni sono anche due autori che lavorano con produzioni più grandi, insieme a Alberto Bargnesi che è un artista under25. Abbiamo per questo fatto una partnership con Hangartfest di Pesaro per una produzione triennale con un’artista marchigiana Lucia Mauri. Siamo tutti delle Marche e individualmente investiamo su questo progetto che abbiamo sposato. La nostra è una compagnia giovane e in crescita.
G.S. Condividiamo tutti una stessa visione, che è quella di voler lavorare sul nostro territorio. Ognuno di noi proviene da percorsi differenti e questa diversità è sicuramente la nostra forza. Riconosciamo che è un valore aggiunto che ci spinge a fare squadra per portare avanti un progetto come il nostro che non può nascere dall’individualità, ma, ripeto, una forza collettiva che lavora veramente in modo orizzontale. Naturalmente ognuno di noi ha dei ruoli, oltre a quello magari della parte artistica, però poi le decisioni le prendiamo insieme e troviamo una vicinanza e alleanza d’intenti.

Parlando di territorio, cosa avete percepito da questo paesaggio, cosa vi ha ispirato questa terra?
E.R. È un territorio molto difficile per la danza, mancano delle compagnie ministeriali e pur essendoci altri festival di danza, di cui due ministeriali, non ancora un reale sostegno alla produzione e alla professionalizzazione. Rispetto alle altre regioni d’Italia, le Marche puntano di più sull’evento, ma senza il requisito della professionalità, quindi si fa molta fatica. Quindi diciamo che il nostro è anche un atto di coraggio, investendo così tanto tempo, a volte senza rientro immediato, sentiamo che la nostra è un’azione necessaria che dobbiamo continuare a fare, con perseveranza e fiducia.
Una particolarità nel nome Alloggiando. Perché? E come mai avete scelto un astice per rappresentarvi?
G.S. C’è un doppio significato, perché volevamo legarlo a Montecosaro, però Montecosaro suonava male, allora abbiamo pensato al Teatro delle Logge che comunque è la casa del festival, quindi in un gioco di parole alloggiando è venuto quasi naturale, sia perché è il luogo dell’accoglienza degli artisti, il Teatro delle Logge, sia perché ‘alloggiare’ esprime la mission del nostro festival che è quello di promuovere le residenze quindi è stata un’unione di cose. La grafica di quest’anno ci rappresenta molto: noi vorremmo essere non convenzionali e quindi non ci piace essere rappresentanti in un modo troppo tradizionalistico, perché siamo diversi e non abbiamo un linguaggio purista e questo astice ballerino, la cui grafica è di Raffaele Primitivo ci è sembrata un’immagine fresca che ci rappresentasse al meglio.