OLINDO RAMPIN | Entriamo nel cortile della Biblioteca Civica, uno dei rari luoghi del centro storico di Parma in cui l’assenza di turisti e di residenti crea una sensazione così assoluta di passato, di storia, di antico, da sembrare irreale. Immaginiamo di trovarci qui per caso, di non sapere chi ha scattato le fotografie appese con frugale provvisorietà ai pannelli della sala dell’Oratorio Novo, e di essere improvvisamente pervasi da una seconda percezione di irrealtà, che conferma e rinnova quella provata all’esterno. Cinquant’anni fa qualcuno ha detto che in un arco di tempo brevissimo la società dei consumi aveva provocato una mutazione antropologica, un genocidio culturale che aveva cambiato i volti stessi degli Italiani, dei giovani soprattutto. E’ perfino banale dirlo, ma negli ultimi cinque, dieci anni, una trasformazione per certi versi analoga, ma molto più profonda, ha pervaso in modo inimmaginabile la specie umana o gran parte di essa, il suo modo di essere, di vivere, la sua cultura in senso antropologico, la morale, i comportamenti, il rapporto con la propria identità e con il proprio corpo, il rapporto con gli altri, con i corpi degli altri.

Circoscritte a un periodo di tempo, a un luogo e a un numero limitati, per qualche misterioso percorso che forse supera l’intenzione stessa dell’autore, queste fotografie di vita famigliare, di vita quotidiana a Parma, sull’Appennino, durante qualche viaggio nell’Europa Orientale, scattate dall’attore Giancarlo Ilari (1927-2023) tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta e raccolte ora in questa piccola esposizione dalle figlie Raffaella e Annalisa, ci consegnano qualche indizio visivo di questa mutazione.

Prima ancora di poterli guardare per i loro aspetti compositivi, fotografici, questi paesaggi con figure umane nelle tre età della vita; questi ritratti di coppie di cavalli nel paesaggio, o di una bambina in veste di Cappuccetto Rosso tra una pecora nera e una pecora bianca, mentre un vecchio sorride davanti a una casa dell’Appennino sui cui è stata appoggiata una vecchia credenza; queste donne che attraversano il ponte Verdi sul Torrente Parma; questo vecchio parmigiano che dorme sulla panchina di un parco pubblico, ci mettono di fronte a una realtà che non sappiamo o non possiamo comprendere nella sua verità.
Certo potremmo leggerle in modo nostalgico, bozzettistico, guardare con tenerezza gli aspetti pittoreschi o antichi del passato rappresentati in queste immagini. Invece proviamo un sottile sgomento nel guardarle. Ci chiediamo: chi sono queste persone, quando sono scomparse dalle strade che tutti i giorni percorriamo? Dove sono quelle facce, quelle espressioni, quei corpi? Quelle posture, quelle sopracciglia, quei capelli, quel modo di sorridere, di guardare l’obiettivo della macchina fotografica? Davanti a noi vediamo esseri umani così diversi dai nostri contemporanei che ci sembrano appartenere a un’altra specie.

L’aspetto dei bambini, degli adulti, dei vecchi; il bambino fuori dall’automobile in una sosta, presumibilmente durante un viaggio di vacanza; l’aspetto degli edifici, che mantengono ancora tracce dell’Italia contadina; una vecchia che accarezza un bambino seduto all’aperto con la madre sulla sporgenza di un muricciolo; i giovani che nuotano in una piscina all’aperto a Parma mentre una donna li guarda in prendisole. Ognuna di queste immagini è l’incontro con una realtà che ci chiede di pervenire a una nuova cognizione del cambiamento avvenuto. Di più, fa comprendere che questa trasformazione ha allargato grandemente la differenza tra le generazioni, e con essa il potenziale conflitto tra vecchi e giovani, come mai forse nella storia.

Certo il binomio, quasi un endiadi, “attore e fotografo”, che definisce nei crediti l’autore di questi scatti, non è motivato solo dalla volontà di una distinzione artistica, che intende superare l’ambito familiare e amatoriale, rivendicando la natura “costruita” di queste fotografie. L’occhio che guarda prima di scattare è, infatti, l’occhio di un uomo che ha visto e ha riflettuto sul significato e la struttura di molte immagini. Essendo un attore, sapeva bene che uno spettacolo teatrale deve corrispondere a preordinate caratteristiche formali, e queste fotografie si nutrono senza dubbio di questa trama di esperienze. Sta di fatto che in questo preciso momento della storia umana emerge per prima la forza assunta dal loro quoziente di realtà, il loro significato documentario e testimoniale. Prevale, e sgomenta, per l’alterità fisica, espressiva, ambientale dell’universo in esse rappresentata.

«Sono solo un testimone di quello che vedo. Per me l’importante della fotografia è la documentazione, la testimonianza, come eravamo in quel momento». Così ha parlato di sé uno dei maestri italiani della fotografia, Gianni Berengo Gardin. Non sappiamo se Giancarlo Ilari si sarebbe riconosciuto in questo autoritratto, ma a noi pare che complimento migliore non si potrebbe fargli. E ci sembra che sia anche il modo più coerente per essere, come egli chiedeva, e come recita il titolo di questa mostra, “gentili con la memoria”.

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SIATE GENTILI CON LA MEMORIA

Mostra fotografica dedicata a Giancarlo Ilari, attore e fotografo
Dal 26 aprile al 7 maggio 2025
Oratorio Novo della Biblioteca Civica
Vicolo Santa Maria 5, Parma

a cura di Raffaella e Annalisa Ilari
promossa dal Sistema Bibliotecario del Comune di Parma
in collaborazione con Fondazione Federico Cornioni ETS

Oratorio Novo della Biblioteca Civica, Parma | 7 maggio 2025