MARIA FRANCESCA SACCO / PAC LAB* | Tutta la vita davanti è il titolo del festival che si è tenuto dal 9 all’11 maggio a La Spezia, prodotto da SCARTI – Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione. Un nome che suona come una promessa (o una minaccia, a seconda della giornata), ma che di certo spalanca possibilità. Del resto, cosa ci si può aspettare da un festival che ha come protagonisti i giovani?
Il sottotitolo recita Per i vecchi del futuro, un ossimoro affettuoso che ci fa subito intuire il tono: leggero, ma serio, poetico, ma concreto. Il festival è interamente dedicato alla gioventù, a quella forza irruente che si porta dietro: entusiasmo, energia, spontaneità e, soprattutto, coraggio.
Difficile da definire, il coraggio, e impossibile da fingere: forse, è fare ciò che si ritiene giusto anche quando è scomodo, o dire quello che va detto, restando fedeli a sé stessi. Un concetto che richiama anche Alice Sinigaglia, giovane direttrice artistica del festival, che nella presentazione afferma: «Se desiderassi un kit di cose essenziali per gli anni a venire, spererei di avere abbastanza coraggio».
E proprio di coraggio parlano – anche quando non ne parlano – gli spettacoli in scena, quasi tutti ospitati nell’accogliente spazio del D!alma. A calcare il palco sono attori giovani, per età e per idee, capaci di affrontare temi anche duri con una leggerezza che non è superficialità, ma resistenza. Un atteggiamento che somiglia moltissimo a quello che prima abbiamo chiamato coraggio. Teatro, installazioni, danza, musica: linguaggi diversi che si alternano, a dimostrazione del fatto che la lingua dell’arte è una sola.
Ed ecco gli spettacoli che abbiamo visto nelle giornate di sabato 10 e domenica 11 maggio.

Con Mi manca Van Gogh, Francesca Astrei riporta in scena un piccolo gioiello del teatro contemporaneo, vincitore del premio FringeMI 2023. Uno spettacolo che attraversa le emozioni dello spettatore, muovendosi tra ironia, amarezza e commozione, senza mai perdere il controllo del timone.
La scena si apre in un museo segnato da un rettangolo di luce sul muro che evoca un quadro assente. È un inizio simbolico: lo spettatore è chiamato a guardare dentro ciò che manca. Una guida museale — Astrei con una presenza scenica impeccabile — introduce Van Gogh, artista che sente vicino. La narrazione viene però subito disturbata da un pubblico fittizio, disattento, rumoroso, immerso nei telefoni e nelle patatine. È un’ironia amara, un’eco di realtà. La guida vacilla, si innervosisce, ma non si arrende e mentre cita l’Artaud di Van Gogh, il suicidato dalla società, la scena implode in un flashback.
Ed ecco la seconda storia: quella di Michelina, l’amica più cara della guida Astrei, travolta dal revenge porn (l’ex ha pubblicato sui social un loro video intimo) e dalla solitudine, fino al suicidio. Il salto temporale è fluido, la scrittura drammaturgica ben cesellata e coinvolgente. Ci ritroviamo nel bar affollato di pensieri dove la protagonista lavora e, tra un caffè e un cappuccino, riflette su come salvare chi non può salvarsi da sé. È qui che Astrei dà prova del suo talento: gesti minimi, parole calibrate, un’ironia che si intreccia al dolore senza mai tradirlo. Il suo accento, vagamente campano, aggiunge musicalità e leggerezza alle parti più brillanti, donando ritmo e autenticità.
Il testo si muove avanti e indietro tra il museo e il bar, tra la vita di Van Gogh e quella di Michelina, tra l’arte e la carne viva dell’esistenza. In questa doppia narrazione, Astrei si specchia in Theo, il fratello del pittore, diventando anche lei testimone impotente di un destino già scritto. Il finale arriva come un colpo secco. La morte — quella vera, quella evitabile — che porta via con sé sia Van Gogh che Michelina e che chiude il cerchio, lasciando aperta una domanda: sarebbe potuta andare diversamente?
Da questo interrogativo prende forma anche la nostalgia in una lettera che Astrei immagina scritta da Theo a Van Gogh: parole che si sovrappongono a quelle che lei stessa indirizzerebbe a Michelina. Nostalgia, sì, ma anche la sofferenza di chi resta in vita a cercare di colmare vuoti incolmabili. Ed è proprio qui che il titolo Mi manca Van Gogh rivela il suo senso: una mancanza personale che diviene simbolo di un dolore non visto come anche quello di Michelina. La lettera, infatti, si chiude con la firma: “Per sempre tuo, tua… Thea.”
Con lo spettacolo successivo, il teatro si apre verso l’esterno e ci conduce in un luogo inaspettato: un campetto davanti all’ingresso, convertito in palcoscenico urbano. Qui quattro performer danno vita a un’azione scenica che ha la forza dell’ipnosi: una lunga coreografia saltando la corda, senza interruzioni, per venti minuti.

Il progetto coreografico, Hit Out, firmato da Parini Secondo è una sfida tecnica al limite della resistenza fisica. Le interpreti (Sissj Bassani, Martina Piazzi, Camilla Neri, Francesca Pizzagalli) saltano la corda in sincrono, alternando schemi ritmici complessi, passi laterali, giri e micro-coreografie in cui il corpo si piega e si rilancia nello spazio con una precisione indicibile. Ogni errore potenziale — un inciampo, una perdita di fiato — è eliminato con un rigore quasi ascetico dove il virtuosismo non è mai fine a sé stesso, ma costruisce un ritmo collettivo.
L’atmosfera richiama l’estetica hip hop, ma la composizione ha una scrittura propria: la musica, pulsante, metropolitana, si fonde al suono netto e regolare della corda che colpisce il suolo, creando una partitura sonora a strati. È un battito che si fa danza e in cui il campetto diventa cassa armonica, il pavimento uno strumento di percussione, i corpi dei metronomi viventi. Non ci sono parole, ma la forza dello spettacolo sta nella sua essenzialità: le performer appaiono all’improvviso, scandiscono il tempo come entità sospese, e altrettanto bruscamente scompaiono.
L’ultimo appuntamento del sabato lascia il segno con un’esperienza immersiva: trascinano il pubblico dentro un viaggio notturno e visionario nel cuore pulsante e alienante di una grande metropoli. Anse è uno spettacolo che costruisce la sua narrazione per atmosfere, suoni e bagliori. La scena si svolge lungo l’arco di una notte, una di quelle in cui ci si sente inghiottiti dal caos urbano ma, allo stesso tempo, si cerca disperatamente una via di fuga. La solitudine è il vero protagonista, ritratta come in un quadro di Hopper, in bilico tra la luce calda di un interno e la freddezza straniante del neon.
La partitura visiva curata da Usine Baug è un piccolo capolavoro di precisione emotiva: luci psichedeliche si alternano a toni più intimi, come se la città stessa respirasse, passasse dalla frenesia al vuoto. I fari di un’auto, le finestre accese dei grattacieli e appartamenti, tutto contribuisce a creare un senso di spaesamento e di isolamento condiviso, riconoscibile, profondamente generazionale.

Sul versante sonoro, Mezzopalco tesse una trama musicale che fonde techno, dance e rap in un flusso continuo, a tratti ipnotico. Il protagonista interpretato da Riccardo Iachini, voce e corpo del disorientamento urbano, si muove e si ferma, si interroga e racconta, lanciando versi che sembrano flussi interiori che si scontrano con il battito implacabile della città, mentre la constatazione di un disagio si fa estetica, poesia urbana. In scena sono presenti anche Toi Giordani e Massimo Giordani: il primo, alla consolle, calibra la musica e interagisce con il monologo di Iachini; il secondo, muovendo fisicamente le luci, costruisce l’atmosfera e dà vita ai diversi quadri scenici, rendendo visibile la magia del cambiamento. Il risultato è un affresco sonoro e visivo in cui ogni elemento mette a nudo la condizione esistenziale contemporanea.
La domenica si apre con un colpo alla coscienza: Traiettoria calante di Pietro Giannini, prodotto dal Teatro Stabile di Genova, affronta una delle ferite ancora aperte della storia recente italiana — il crollo del Ponte Morandi, avvenuto nell’agosto 2018.
Giannini, genovese, parte da un’urgenza personale ed emotiva per costruire uno spettacolo di denuncia lucido e coinvolgente. La domanda che guida l’intero racconto è semplice: come è stato possibile? E soprattutto: perché non è stato evitato?Seguendo una traiettoria narrativa a ritroso, l’attore ci conduce dagli anni ’60, quando il ponte fu costruito, fino ai giorni nostri. Lungo il cammino emergono nomi noti (Benetton, Berlusconi, Castellucci) chiamati in causa non come meri simboli del potere, ma come ingranaggi di un sistema che ha scelto il profitto a scapito della sicurezza. La scena è spoglia, dominata da un solo oggetto: un tritacarte che distrugge i documenti appena letti, così com’è stata rimossa la verità. Intanto, sullo sfondo scorrono immagini dell’autostrada, quella stessa che conduce a Genova.
Eppure, Traiettoria calante non è un atto d’accusa pesante o retorico: Giannini dosa con intelligenza i registri, alternando fatti a interrogativi, rabbia a ironia, coinvolgendo il pubblico in un dialogo vivo. Uno spettacolo che riesce a muoversi con leggerezza, pur trasformando il teatro in spazio di coscienza civile e memoria attiva.
Con Call of Beauty, Nicoletta Nobile ci spinge dentro una stanza che è un set anatomico e, al tempo stesso, un confessionale. L’installazione, ibrido tra performance e atto espositivo, disegna un’ispezione radicale del corpo femminile e, più ancora, del modo in cui questo corpo viene guardato: il pubblico non è solo spettatore, ma voyeur consenziente, chiamato a frugare, letteralmente, nell’intimità dell’artista. C’è un telefono che si può sbloccare, diari segreti in un cassetto etichettato “porno”, un mucchio di strisce depilatorie con peli ben visibili, e un libro-simbolo: Il mito della bellezza di Naomi Wolf. Oggetti privati resi pubblici, offerti al contatto, all’occhio e al giudizio.
In questo contesto, il cassetto “porno” non è solo provocatorio, ma una chiave di lettura essenziale: anche il pensiero più intimo, quando appartiene a una donna, sembra ormai filtrato da un immaginario pornografico. Non in senso stretto, ma nel modo in cui il desiderio, la vulnerabilità e la confidenza femminile vengono continuamente sessualizzati. Quello che dovrebbe essere uno spazio protetto si trasforma in uno spettacolo per altri occhi. Il corpo nudo dell’attrice, esposto senza erotismo, interroga lo spettatore: cosa stai guardando davvero? E perché?
Nei primi dieci minuti, il pubblico è lasciato libero di muoversi nello spazio, esplorando la stanza e frugando senza pudore nell’intimità della performer, che attende nuda, di spalle, seduta su un cubo appoggiato alla parete. Poi, all’improvviso, cala il buio. Gli spettatori si fermano, e ha inizio l’azione: nella totale oscurità, Nobile si sposta tra il pubblico con movenze animalesche, a quattro zampe, rannicchiata, balzando da un punto all’altro come una creatura notturna, quasi un Gollum uscito dal Signore degli Anelli. I suoi gesti, frammentati e inquieti, emergono solo a tratti, resi visibili da rapidi flash luminosi che illuminano la scena per pochi istanti. Sui maxi-schermi, successivamente, dettagli anatomici mostrati al microscopio perdono ogni contorno sensuale, diventano quasi alieni: è l’annullamento dell’erotismo tramite l’eccesso di sguardo. Lo sguardo maschile (male gaze), qui, non è più solo quello dell’uomo: è uno sguardo interiorizzato, sistemico, che contamina anche il modo in cui le donne guardano sé stesse. Il lavoro di Nobile è sottile e lascia aperte riflessioni sul cosa accade a un corpo non conforme alla società che lo scruta.

A chiudere le tre serate di festival arriva uno spettacolo che travolge il pubblico con la forza contagiosa di una generazione in scena: Progetto Orlando, ideato dal collettivo di 23 attori e attrici diplomandi della Paolo Grassi. È un’onda teatrale che non lascia scampo. Reinterpretano L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, con i suoi intrecci cavallereschi e l’ironia raffinata, trasformandola in un affresco pulsante, dove il passato letterario incontra la furia creativa del presente.
Fin dai primi minuti lo spazio si trasfigura: bidoni, neon intermittenti, musica techno. Siamo in un rave, e Angelica fugge sui pattini come in un videoclip postmoderno: un’apertura che destabilizza e seduce, un invito a entrare in un universo dove la poesia epica si fonde con la cultura urbana, e dove ogni gesto è amplificato dalla vitalità dei corpi in scena.
La vera forza dello spettacolo è, però, nella prova attoriale: ciascun interprete costruisce un personaggio con precisione, originalità e una consapevolezza scenica rara in un collettivo così numeroso: ogni voce emerge distinta. Le parti corali sono esplosive: in queste scene l’energia è incontenibile, la spazio si riempie di una potenza che solo il teatro vivo e giovane sa generare, e in cui si percepisce la gioia dell’essere insieme, la fame di palco, la volontà di lasciare un’impronta.
La drammaturgia, già complessa per natura, si arricchisce di inserti contemporanei e scene più leggere che aiutano a respirare, anche se talvolta frammentano la linearità del racconto: alcuni passaggi, infatti, risultano ridondanti, e in certi momenti l’effetto può essere disorientante. Un minimo di asciuttezza in più gioverebbe alla fluidità, senza intaccare l’impatto complessivo.
Progetto Orlando è, però, prima di tutto una festa del teatro: fisica, viscerale, collettiva. È il gesto energico di venti giovani che non si limitano a raccontare un classico, ma lo fanno esplodere, trasformandolo in un racconto vivo e contemporaneo, smontandolo e rimontandolo a loro piacimento, inserendo sezioni inventate da loro (come l’intervista ad Ariosto in stile talk show), correndo anche il rischio di far perdere il filo allo spettatore. Attraverso un’interpretazione corale potente, restituiscono la voce di una guerra antica che risuona come quella di tutte le guerre moderne, coinvolgendo il pubblico con la forza di una generazione in piena vitalità.
MI MANCA VAN GOGH
di e con Francesca Astrei
luci di Francesca Astrei
HIT OUT
di Parini Secondo x Bienoise
con Sissj Bassani, Martina Piazzi, Camilla Neri, Francesca Pizzagalli
coreografia Parini Secondo
musica e partitura Alberto Ricca/Bienoise
fotografia di scena Bianca Peruzzi
costumi e intrecci Giulia Pastorelli
corde MarcRope Milano
organizzazione Margherita Alpini
produzione Parini Secondo, Nexus Factory
co-produzione Bolzano Danza, Santarcangelo Festival
ANSE
dal poema “ANSA” di Mezzopalco
con Riccardo Iachini, Toi Giordani, Massimo Giordani
drammaturgia sonora Mezzopalco
drammaturgia visiva Usine Baug
regia collettiva Usine Baug
luci Emanuele Cavalcanti
suono Luca Jacoboni
beatbox Giovanni Di Matteo
consulenza scenografica Arcangela Varlotta
costruzione elementi di scena Falegnameria Scheggia
produzione La Corte Ospitale, ZPL, Usine Baug
con il sostegno di Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna, Straligut Teatro
LA TRAIETTORIA CALANTE
di e con Pietro Giannini
consulenza drammaturgica Comitato Parenti Vittime Ponte Morandi
visual artist Loredana Antonelli
luci Aldo Mantovani
produzione Teatro Nazionale di Genova
CALL ME BEAUTY
di e con Nicoletta Nobile
e con Sharon Ne
videomaker Rocco Ancarola
dramaturg Mila Di Giulio
accompagnamento artistico Maria Vittoria Bellingeri
scene e luci Giovanni Di Capua
suono Manfredi Clemente
fotografia Sharon Ne
produzione La Corte Ospitale
con il contributo di Regione Emilia-Romagna
con il sostegno di MiC e SIAE, nell’ambito del programma “Per Chi Crea”
PROGETTO ORLANDO
di e con Leonardo Bertucci, Emma Bolcato, Febe Bonini, Paolo Brignoli, Davide Dal Vignale, Matteo Finamore, Domenico Fiorillo, Lorenzo Giovannetti, Valentina Mandruzzato, Pietro Micheletti, Camilla Morino, Leonardo Moroni, Lorena Nacchia, Elena C. Patacchini, Giorgio Pesenti, Caterina Rosaia, Giulia Rossoni, Alice Sinigaglia, Davide Sinigaglia, Antonio Somma, Francesco Toscani, Riccardo Vanetta, Vito Vicino e con il Coro Fabrizio De Andrè
D!alma – Cantiere Creativo Urbano, La Spezia | 9, 10, 11 maggio 2025
*PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture in collaborazione con docenti e università italiane per permettere la formazione di nuove generazioni attive nella critica dei linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac accoglie sul sito le recensioni di questi giovani scrittori seguendone la formazione e il percorso di crescita nella pratica della scrittura critica.