RENZO FRANCABANDERA | Teatro dallarmadio è attivo da oltre vent’anni sul territorio nazionale e internazionale, portando avanti un lavoro che intreccia teatro, cinema e arte. Il sodalizio artistico nasce ufficialmente nel 2006: ero a Cagliari in quegli anni in cui la compagnia faceva i primi passi nel professionismo della scena, fra teatro, musica e scenografia. Come le formiche, che ogni tanto si incazzano — ecco, proprio da queste reazioni nascono per loro nuove spinte creative. Ogni difficoltà incontrata in questi anni è stata trasformata in un’occasione di ricerca. L’isola, la periferia, per loro non sono limiti, ma opportunità: diventano terreno fertile per sperimentare nuovi modi di entrare in relazione con il mondo.
Abbiamo incontrato i direttori artistici Fabio Marceddu e Antonello Murgia, anime del Teatro dallarmadio e guida della compagnia fra le più premiate della Sardegna, che ci hanno raccontato qualcosa in più su Non è Teatro – Anno V, la rassegna che è iniziata in questi giorni fra Tortolì e Cagliari.

Quali sono le peculiarità artistiche di questa rassegna che arriva alla sua V edizione? 

Non è Teatro racconta i margini dei margini. Lo fa con attori professionisti che scelgono di indagare i temi da prospettive nuove, spesso non convenzionali, sperimentando insieme a noi percorsi artistici condivisi. Abbiamo provenienze ed estrazioni sociali umili e questo, per noi, è un vanto: possiamo raccontare davvero un punto di vista sincero. Siamo nati ai bordi della periferia, anzi, nelle periferie delle periferie, nella lontana Sardegna… e le nostre radici affondano nei sentieri “incalpestati”.
È un festival di comunità, che celebra la gioia del gioire, il senso del vicinato, e l’applauso sincero. Una rassegna che si sviluppa nel tempo: si estende nell’arco di tre mesi, con eventi di avvicinamento, un cuore centrale di quattro giorni intensi, un evento speciale ospitato in luoghi raramente toccati dal teatro, per quel che riguarda la rappresentazione, e una parte online fruibile ovunque nel mondo.
Così nessuno può dire che non ci sia accesso, né visibilità: il nostro teatro arriva ovunque, anche dove normalmente non arriva mai.

Come nasce l’idea di Non è Teatro?

Giugno 2020: il festival Le Voci dell’Anima di Rimini ci chiede un contributo artistico. Così, poco dopo la riapertura del maggio 2020, andiamo su una spiaggia deserta. La scena è essenziale: un’inquadratura vuota, silenziosa. Da lontano, emergiamo dal mare, vestiti con abiti eleganti e grondanti. Avanziamo lentamente verso la videocamera, come naufraghi che ritrovano la terra — e non diciamo una parola. Una scritta parla per noi: «Non ci fermeremo mai».
Quel momento è diventato un piccolo manifesto. È stata una pandemia lunga, drammatica. E, come sempre, la differenza tra chi ha privilegi e chi non ne ha si è fatta sentire, profondamente. Ma in mezzo a tutto questo, abbiamo scelto di continuare a creare, a raccontare, a resistere.
Non è Teatro nasce nel dicembre del 2020, in piena pandemia, durante le festività natalizie. Eravamo nel bel mezzo delle restrizioni, costretti lontani dal palcoscenico, e travolti dallo choc di vedere il nostro mestiere — fondato sul contatto, sul respiro, sulla fisicità — relegato in fondo alla lista delle priorità. Non è un giudizio, ma una constatazione: ci siamo ritrovati, ancora una volta, “ultimi tra gli ultimi”.
Da questa frattura è nata un’urgenza: comunicare comunque, ma con altri linguaggi. Con la consapevolezza che nulla può sostituire il teatro vero, che è evento concreto, unico e irripetibile — nel bene e nel male. Antonello ha avuto un’idea: usare quel poco che avevamo, chiusi in casa, lontani dal nostro spazio teatrale (che nel frattempo abbiamo anche perso, siamo stati sfrattati).

E il nome? Di solito i titoli delle rassegne vengono fuori da un evento scatenante. Nel vostro caso qual è stato?

Senza ipocrisie, senza cedere a una finta allegria o a un’estetica del degrado, in quel periodo abbiamo deciso di allestire una stanza del nostro appartamento con la massima cura tecnica, trasformandola in una vera e propria ‘scatola nera’: uno specchio del presente. In quel buio, immersi nell’incertezza, ci siamo sentiti come ostaggi, come detenuti — e così ci siamo vestiti da carcerati, facendo satira con ironia e mai con cinismo.
Fabio, a un certo punto, ha detto: «Ecco! Questo non è teatro». Il nome è nato così, naturalmente. La prima diretta, trasmessa su Facebook, ha superato i 480 spettatori: un piccolo record. Era una miscela di teatro, canzone e prosa… era teatro, ma non era teatro. Così, abbiamo pensato di farlo diventare a puntate, e ci siamo chiusi in un teatro, e con i colleghi nella “prigionia” abbiamo liberato l’arte: siamo stati la prima compagnia a creare a livello nazionale una rassegna on line (Ma non lo ha scritto quasi nessuno)!

Non è Teatro incorpora il concetto potremmo dire geo-filosofico dei “margini dei margini”, luogo astratto e simbolico che accoglie le vostre azioni performative, le interviste online e molto altro. Dove si trovano questi margini?

Per noi il teatro – anche quando Non è Teatro – è sociale, civile, sempre rivoluzionario. È disobbediente, ma profondamente in ascolto. Quando si alzano i recinti, deve farsi voce, e quella voce deve diventare coro. Non è Teatro è nato nella gabbia della pandemia. Oggi, nei prodromi di una guerra, si percepisce come un’antenna di pace — e come tale sceglie di agire.
I margini dei margini sono quei territori che non si raccontano… sono abitati dai perdenti fra i vincenti, i fragili, le persone con disabilità, le persone che soffrono del male oscuro, la depressione, o coloro che vengono discriminati perché appartengono alla comunità LGBT. Sono le cornici dei quadri senza cornice. Sono le storie scomode apolitiche, apartitiche che non hanno appartenenza o convenienza nell’immediato. L’ascensore del focus, che fa precipitare in un attimo chi decide cosa deve essere salvato, protetto oppure ignorato.