OLINDO RAMPIN | Quando entriamo in sala, Francesca Astrei è sola, al centro della scena. Le mani posate sulle ginocchia, è seduta su una di quelle sedie umili da teatro di narrazione, a pochi passi dallo sciame chiassoso degli spettatori in procinto di accomodarsi. Guardiamo, alternativamente, la scena e il pubblico: nessuno sembra accorgersi di lei, per ora. Minuta, i lunghi e abbondanti capelli ricci non domati secondo la moda imperante, gli occhi seri, di una caparbietà un po’ infantile, le labbra soggette a una lieve, impercettibile pressione, un corruccio passeggero.
Prima di iniziare Io sono verticale, il suo nuovo spettacolo presentato in anteprima al Festival Canile Drammatico, organizzato a Parma dalla Fondazione Federico Cornoni, Francesca Astrei sembra voler verificare la tenuta della sua tecnica di concentrazione, la sua capacità di trovare, prima ancora di “agire”, un punto di equilibrio nella relazione con quelli che non sono ancora, ma dovranno diventare, tra poco, i destinatari della sua affabulazione.
È, la sua, un’affabulazione dolente e comica, struggente e popolare, che ha per oggetto il male di vivere, il male oscuro «di cui le storie e le leggi e le universe discipline delle gran cattedre persistono a dover ignorare la causa», come aveva ben compreso il Gadda autore della Cognizione del dolore, di là da ogni volontaristico ottimismo della scienza medica e, oggi, della felicità social. Eppure, già da questo suo prologo muto siamo indotti a presentire qualcosa della sua mobilità interiore, di quella ri-cognizione del dolore che verrà dispiegata pienamente durante la rappresentazione.

Lasciamo per un momento Francesca Astrei al suo esercizio spirituale di muto appressamento della relazione con gli spettatori. Per contrasto, si sovrappone nella memoria l’immagine della performer che abbiamo visto, nella stessa sala, la sera prima. Dal punto di vista figurativo, se intese cioè come mere visioni, Francesca Astrei e la coreografa e danzatrice Francesca Santamaria, anche lei autrice e interprete della propria creazione, Good Vibes Only (beta test), ricordano, come certe Sante antitetiche tra loro ma compresenti nei polittici della grande pittura italiana, due opposte epifanie del femminile: nella figura, nella postura, nell’espressione, nelle linee dei volti, nella grammatica del corpo, nel diverso “martirio” drammatico o coreografico con cui si misurano.
Il martirio di Francesca Santamaria è l’ossessione contemporanea per la performance, esemplata in un carosello sgargiante di micro-balletti visualizzati milioni di volte sui social, successivamente miniaturizzati e montati in un timelapse che amplifica le sue abilità performative fino allo spasimo, fino al sottile piacere dell’ascolto condiviso della sua dispnea da sforzo.

Il martirio di Francesca Astrei è, invece, la perturbazione dolorosa dell’anima, conseguenza di quello che la filosofia rinascimentale chiamava il temperamento saturnino, connettendolo fatalmente alla personalità stessa dell’artista.
Il primo problema che l’artista deve affrontare è stilistico. Come trasferire sulla scena ciò di cui intende parlare? Il dilemma assume la forma imperativa dell’aut aut. La “bile nera”, la melancolia va raccontata con il registro che le è spiritualmente più consentaneo, quello elevato, come nella tradizione classica, di derivazione tragica? O è meglio raccontarla superando la separazione tra stile sublime e realismo, come avviene nella tradizione giudaico-cristiana, con una alternanza di stile alto e di stile basso, che è poi la grande invenzione letteraria del Cristianesimo?
Il toro viene preso per le corna mettendo le mani direttamente nelle Sacre Scritture, primo e sommo esempio di “dramma cristiano”, di stile anti-classico. Francesca Astrei compone così un suo personale Vangelo apocrifo, in cui i personaggi sono sottoposti a una ulteriore operazione di riscrittura in un linguaggio diretto, popolare, comico.
La paralisi interiore connessa al male oscuro può assumere le forme fisiche della spossatezza, della sonnolenza diurna. Di qui l’idea che la resurrezione di Lazzaro, l’amico di Cristo, sia una personificazione della rinascita dalla malinconia, e che il sepolcro da cui Gesù lo fa uscire con il suo perentorio “alzati e cammina” sia un’allegoria della guarigione: un tornare ad essere verticali, come dice il titolo dello spettacolo, quindi a camminare, dopo che la spossatezza e la stanchezza interiore hanno piegato le ginocchia del nato sotto Saturno costringendolo all’orizzontalità, all’immobilità, al mutismo. Ma I am vertical è anche il titolo di una poesia di Sylvia Plath, nella quale la poetessa americana morta suicida nel 1963, a 31 anni, esprime il desiderio di essere orizzontale perché «stare sdraiata è per me più naturale. Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio» e «sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre: finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me», che non sembra esattamente una resurrezione, ma una ricongiunzione con la natura, un morire per vivere davvero.
Francesca Astrei non dimentica come la Commedia dell’arte possa reagire con un materiale come quello di origine biblica: la sua energia drammatica, la sua abilità mimetica si traducono in una galleria di personaggi “apocrifi” disegnati con perizia. Ecco la pecora che parla con l’accento ciociaro, portavoce di una protesta anti-specista e, chissà, memore proprio dell’Agnello di Dio che nel vangelo giovannèo toglie i peccati del mondo, ed è fondamentale simbolo di Cristo. E siccome solo nel Vangelo di Giovanni è narrata la resurrezione di Lazzaro, anche l’evangelista entra in scena, mentre Pietro soffre di leadership carismatica e personalistica. La curiosità infantile del nipotino delle sorelle di Lazzaro, Marta e Maria, offre il destro a una vivace parodia della pigrizia educativa del genitore-medio e delle sue risposte banalizzanti e insoddisfacenti.
Dallo stile popolare e realistico erompe a tratti lo stile alto nello svelamento della verità, sotto la funzione apotropaica della riscrittura pop della bibbia: sono altrettanti tentativi di spiegare l’ineffabile, l’oscuro, descrivendone le somatizzazioni: il senso di un peso nel petto, di una maggiore gravità del corpo, il senso di colpa, come da manuale.
Solo per pochi istanti Francesca Astrei si distanzia dalla sua povera sediola: comincia e finisce, circolarmente, in posizione supina, inchiodata all’orizzontalità del suo rifugio-tomba dal microfono che cala dall’alto e dal male oscuro con cui non cessa di combattere con caparbio coraggio per dire a se stessa e al mondo: mi alzo, quindi sono. Viceversa, la panchina su cui siedono Nicola Lorusso e Giulio Macrì scotta, perché il loro Memori è uno sgargiante accumulo di conversazioni continuamente interrotte, di domande senza risposta, di smemoratezze beckettiane, di danze macabre, di tableaux vivants contorsionistici, di quadri di una reciproca espiazione, di una relazione post-umana.

Con lo spettacolo di Santamaria ha più di un’affinità elettiva Superstella di Vittorio Pagani. Li lega la natura di riflessioni sul fare danza, di meta-coreografie, in Pagani con amplissime inserzioni verbali, digressioni e flussi di coscienza. Li differenzia la sintassi e la nervatura teorica ed espressiva. Pagani misura il suo bisogno di autocoscienza con il meta-cinema del Fellini di 8 e mezzo, con la voglia di infiniti mondi e di galassie stellari, con quel caldo crepuscolarismo e umanismo che trova un vertice interpretativo e vocale, più che di scrittura, nelle domande di Mastroianni a Claudia Cardinale sulla possibilità di una “conversione” esistenziale .

IO SONO VERTICALE
anteprima nazionale
di e con Francesca Astrei
con il sostegno di Fondazione Teatro di Roma
GOOD VIBES ONLY (beta test)
concept e performance Francesca Santamaria
collaborazione drammaturgica Pietro Angelini
sound design Ramingo
produzione esecutiva CodedUomo
coproduzione FDE Festival Danza Estate, MILANoLTRE Festival, Festival Più che Danza
con il supporto di Porto Simpatica
sviluppata nel contesto di Incubatore per futur_ coreograf_ CIMD
SUPERSTELLA
di e con Vittorio Pagani
Produzione CodedUomo
realizzato nell’ambito di ResiDance XL – azione del Network Anticorpi XL
c/o:
L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale:::Centro di Residenza Emilia-Romagna
Fondazione Armunia
Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza
Lavanderia a Vapore, nell’ambito del progetto residenze coreografiche Lavanderia a Vapore
MEMORI
di e con Nicola Lorusso e Giulio Macrì
Consulenza drammaturgica a cura di Elena Scolari, Paola Bonesi e Giacomo Sette
Con il sostegno di:
Risonanze Network, PERIFERIE ARTISTICHE – Centro di Residenza Multidisciplinare Regione Lazio, MiC Direzione Generale dello Spettacolo – Regione Lazio Assessorato alla Cultura e Politiche Giovanili, Settimo Cielo, DRACMA Centro Sperimentale D’arti Sceniche e Teatro Erbamil.
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