CRISTINA SQUARTECCHIA l La seconda giornata di Alloggiando Art Fest, il festival a cura dell’associazione HUNT in collaborazione con il Comune di Montecorsaro (MC), ha ospitato nuove creazioni e primissimi studi. Anche se in fase ancora embrionale, alcuni di questi presentano già una solida struttura drammaturgica. La formula delle residenze ha offerto agli artisti un clima disteso nel bel borgo maceratese, lontano dalle frenesie cittadine, dove la progettazione per il prossimo anno 2025/26 è già al lavoro con la pubblicazione del bando per l’assegnazione di due residenze.
In questa seconda giornata di restituzione si sono fatti largo temi come corpo/confine, limite, prospettive di sguardo e rapporto con lo spettatore, dai quali è stato possibile tracciare un fil rouge narrativo. Di seguito un breve resoconto di tre prime assolute che hanno avuto luogo al Teatro delle Logge, al Palazzo del Comune e nel Loggiato.
In un angolo del Palazzo del Comune troviamo disposti alcuni pannelli bianchi sui quali vengono proiettati rami, foglie, piccoli sentieri, laghetti, pezzi di una natura verdeggiante. Le proiezioni sono accompagnate da suoni naturali mescolati a voci di bambini. Gisela Fantacuzzi, danzatrice per Bassam Abou Diab e Monica Ciarcelluti oltre che autrice in proprio di molti lavori, ci porta dentro questo viaggio immersivo dal titolo Occhi oltre le nuvole, buie. Si tratta di una videoinstallazione performativa che mette in dialogo il corpo con il gesto e il paesaggio in relazione alle proiezioni. Gisela Fantacuzzi, in collaborazione con Alisia Ialiccicco, costruisce un partitura gestuale rarefatta e disarticolata tra i pannelli, armonizzando il concept coreografico al paesaggio, alla visione mutevole delle proiezioni video che non sono altro che elementi della natura inquadrati da punti di vista diversi.
Il corpo si fa estensione, immersione ed eco di questi in spazi minimi ma capaci di schiudere immaginari di movimento per una danza intima e dialogata con la visione. Lo sguardo coglie informazioni e sensazioni dall’ambiente e le trasferisce poi sul corpo in una circolarità energetica in continua evoluzione dinamica, senza mai esplodere, ma restando dentro un’aura protetta e misurata di immaginazione. Piedi, gomiti, mani sbucano tra i pannelli lungo i quali il corpo sperimenta ogni volta accomodamenti tra posture e movimenti minimi che mostrano piccole porzioni di un nuovo orizzonte immaginativo. La struttura coreografica si compone di questi brevi frammenti che si ripetono alla ricerca continua di qualcosa che è stato, sentito, udito, vissuto, la cui riscoperta porta a nuove percezioni e informazioni e di cui, forse, si è persa memoria.
Free wall è il secondo lavoro che ha preso forma emergendo dai vicoli di Montecosaro, dalle sue architetture più suggestive, per affrontare il tema del confine invalicabile, di un muro da abbattere o di convinzioni da smontare. In questa ricerca Giosy Sampaolo, organizzatrice, autrice e danzatrice, costruisce una performance per quattro danzatrici (Greta Iobbi, Noemj Silvestri, Giosy Sampaolo, Beatrice Scocco) in un discorso coreografico site specific. Dall’arco della piazza del teatro una danzatrice inizia a muoversi invitando il pubblico a seguirla nello slargo che si intravede oltre il vicolo. Percorriamo il breve tragitto che separa la piazza del teatro dal loggiato, dove le quattro performer, in panta colorati e camicie bianche, danzano ognuna sotto un arco. Disegnano linee cercando una relazione con i muri che le circondano e nel tentavo di abbatterne le pareti, romperne le parti per creare delle feritoie, oppure spostare e liberare questi ostacoli che chiudono e opprimono l’ascolto e il dialogo. Nel concept coreografico, che prende forma in punti diversi dello spazio, il muro diventa una costruzione fisica e materica, simbolica e immaginaria in continua evoluzione. Si fa concetto mobile, identità politica e sociale che può franare di fronte all’alleanza di corpi che premono e si compattano in configurazioni diverse per divenire essi stessi poi muri. Il corpo dello spettatore avanza o arretra di fronte alle svariate combinazioni di duetti, terzetti che si compongono e si ricompongono nella piazza circostante.

I più fortunati sono stati i signori che, seduti ancor prima dell’inizio sulle panchine sotto le arcate, hanno potuto godere immobili di quanto accadeva intorno, mentre il resto del pubblico in piedi è stato obbligato a spostarsi, a prendere posizioni e prospettive diverse, in qualche modo interagire, per vedere meglio e lasciare lo spazio dovuto alla pièce, onde evitare di fare e farsi intralcio. E da questo dialogo mutevole tra performer e spettatore, in quella linea sottile tra il visto e l’essere visto, ha fluito l’urgenza di un azzeramento, un abbattimento per consentire l’incontro tra le parti in un danza collettiva, che ha trovato felice conclusione nella piazza del teatro.
Sulle note della soave Suite n.1 per violoncello di Johann Sebastian Bach, Free wall ha mostrato delle aperture ripercorrendo a ritroso il proprio itinerario coreografico e riportando il pubblico nella piazza del paese. Un semplice gesto di invito sotto la bandiera della pace ha funzionato nell’inclusione del pubblico in un corale unisono di tante braccia verso il cielo, quasi a invocare quella pace che tarda ad arrivare nei luoghi geograficamente più divisi, anche da una sottile striscia di muro.

Qual è il punto limite di un gesto oltre il quale l’atto performativo approda verso un’altra significazione? E quali possono essere le valenze che queste creazioni assumono in punti diversi dello spazio scenico se la prospettiva dello sguardo si spoglia gradualmente di assodate convinzioni? Su questi processi si interroga la pièce di Fabritia D’Intino e Federico Scettri dal titolo VU – letteralmente visto. Nello specifico, cosa accade in quel momento in cui si sfiora quella zona liminale oltre la quale percepiamo già la vertigine?
Esito del progetto delle residenze artistiche, che è il cuore pulsante di Alloggiando Art Festival, VU è stato l’ultimo spettacolo di questa edizione primaverile nato a Montecosaro dopo una settimana di creazione nel Teatro delle Logge. In una linea estetica molto ‘minimal’ la pièce esplora tutto questo attraverso il gioco dello sguardo, del vedere un corpo che si nasconde e poi si svela, si nega e si mostra nella ciclicità di un movimento in perpetua rigenerazione di senso. Da un’atmosfera pop – dark, una figura emerge dal fondo di destra in un movimento ondulatorio che coinvolge simultaneamente schiena, spalle e braccia. Avanza verso il centro girandosi lentamente in uno spazio ovattato, protetto e avvolto dal buio nel quale si stagliano nitide le braccia nude di Fabritia D’Intino, che hanno la forza espressiva per suggestionare, richiamare icone, simboli e archetipi del nostro immaginario collettivo. Si assiste a un attraversamento di visioni molteplici che schiudono territori esplorati e non del proprio vissuto. Braccia come onde sinuose hanno la forza ipnotica dei serpenti; tagliano poi lo spazio come fendenti disegnando volumi che svelano microcosmi interiori, per poi evocare nel cambio di postura eleganti ali di un cigno, archetipo ballettistico qui dichiarato a simboleggiare la morte, l’opposto della vita, l’affermazione e la verità. In un passaggio fluido di posture tra cadute e risalite, la danza di Fabritia D’intino – in abiti dark e con occhiali neri che coprono parte del volto – lascia intravedere porzioni di un corpo in un’aura estetica di raffinata fluidità compositiva: un’illusione ottica in semioscurità, densa di significati e simbologie arcaiche, costruite su di un tappeto sonoro che Federico Scettri elabora con molteplici stimoli, pulsazioni e suggestioni ritmiche. Dal pop, all’ambient all’elettronica fino a una pluralità di vibrazioni acustiche che, seppur distanti stilisticamente tra loro, trovano una familiarità ricercata e saldata da Scettri nella totale aderenza con la danza. Il suono e il movimento viaggiano all’unisono in VU e si accordano per tendere verso un punto di caduta o di convergenza reciproca, un punto ben preciso della scena, quello dell’immaginaria quarta parete delimitata da una fascia luminosa a led verde: unico punto luce di tutta la pièce.

In questo istante il corpo si svela: al centro della scena e sulla soglia di quel fascio verde la figura di Fabritia D’Intino si impone allo sguardo dello spettatore in una stasi che mostra la sua fisicità, le sue fratture e le sue fatiche. In questo punto esatto di svelamento ed emersione, in quell’attimo finale prima dell’abisso, di una caduta, in quel secondo decisivo prima di oltrepassare la soglia, di avvicinarsi alla morte, Fabritia D’Intino è in piedi di fronte al pubblico e svaniscono in un solo istante le illusioni percepite. Ma la danza come la vita preme e quasi immediatamente riprende il suo viaggio di risalita. Da qui, il loop sonoro di quel celebre fraseggio di Camille Saint Saëns ne La morte del cigno, prima che il volatile sospiri il suo ultimo battito d’ali, incalza la danza aerea delle braccia, mentre si sovrappone l’altro brano pop Limbo Rock di Chubby Checker. Pochi elementi come queste due danze, culturalmente agli antipodi, bastano a dare la misura di un lavoro che azzera dogmi, convinzioni e precetti dove la vita e la morte si fronteggiano in quella zona liminale oltre la quale la conoscenza umana si arresta. Rimane il flusso vitale e la ciclicità dell’esistenza con le sue logiche e trasformazioni che VU riprende e fa proprie come ancoraggio verso una rigenerazione di senso. Fabritia D’Intino in centro e sul boccascena ritorna a volteggiare con le braccia dirigendosi verso la quinta di sinistra. Percorre a ritroso la stessa traiettoria dell’inizio per disegnare un tragitto simile alla lettera V, fino a scomparire nel buio.
OCCHI OLTRE LE NUVOLE, BUIE
video installazione | performance _ primo studio
concept, performance e drammaturgia Gisela Fantacuzzi
coreografia Gisela Fantacuzzi, Alisia Ialiccicco
regia Giandomenico Sale
audiovisivo Gisela Fantacuzzi
riprese audiovideo: Romyna Gomez
produzione Frentania Teatri
FREE WALL
concept e coreografia Giosy Sampaolo
interpretə Greta Iobbi, Noemj Silvestri, Giosy Sampaolo, Beatrice Scocco
produzione HUNT_CdC
VU
concept Fabritia D’Intino e Federico Scettri
coreografia e danza Fabritia D’Intino
disegno sonoro Federico Scettri
produzione esecutiva Chiasma
supporto Workspace Ricerca X, Lavanderia a Vapore, TAD Residency, Operaestate, Circuit-est (Montréal)