LAURA NOVELLI | Immersi in un vestito-montagna a forma di cono che lascia intravedere la sagoma di qualche oggetto al suo interno, il volto e il busto di una donna affiorano dal buio bluastro della scena mentre voci, grida, canzoni, clacson, motori riempiono lo spazio di un vitalismo concreto e materico. Si resta rapiti. Assorti. Catturati da un tappeto sonoro pullulante di echi partenopei i quali sembrano quasi collidere con la sacralità ancora misteriosa di quel catafalco/mondo che eleva e insieme imprigiona.
È bastato qualche minuto di spettacolo per avere la riprova di quanto il successo di Felicissima Jurnata, monologo del collettivo napoletano Putéca Celidònia ispirato a Giorni Felici di Samuel Beckett e insignito di numerosi premi importanti, non sia solo un successo più che meritato ma anche – e soprattutto – un successo sintomatico di quella preziosa “lentezza” con cui si costruiscono i progetti artistici più coesi, più originali, più poetici e più duraturi. Il lavoro, che PAC ha raccontato nel dicembre del 2023 con una corposa intervista di Ilena Ambrosio vanta, infatti, una genesi molto lunga e, dopo aver girato l’Italia per diverse stagioni, è finalmente approdato a Roma al Teatro Vascello qualche settimana fa.
Si resta rapiti, dicevamo. Difficile stabilire, però, quale elemento della composizione scenica colpisca l’attenzione di noi spettatori prima e più degli altri. Cerchiamo Winnie, “interrata fin sopra alla vita”, al centro di un monticello di erba inaridita con l’ombrellino che la ripara dal sole e la grande sporta nera che contiene tutta la sua vita. E invece troviamo Lina, interpretata da una superba Antonella Morea (attrice di solida tradizone napoletana, candidata all’Ubu nel 2023 proprio per questo ruolo). Lina ha i capelli scuri, un’espressività passionale, la voce dirompente; è la Winnie dei bassi, trascorre la sua esistenza tra i vicoli del Rione Sanità, in un casa-trappola piccola e buia che le toglie il respiro. Eppure il suo monologo lo recita dall’alto: statuaria presenza viva di un dispositivo scenico che, ideato da Rosita Vallefuoco (nomination all’Ubu 2023 anche per lei), ci costringe a guardare in su e poi, poco a poco, ad abbassare lo sguardo per carpire le viscere di quel vulcano-mondo che, in tutta la sua altezza, racconta – per ossimoro – un luogo di sprofondamento, di radicamento, di resilienza.
Poi, cerchiamo Willie, “sdraiato per terra” a dormire poco lontano dalla moglie, e invece troviamo Lello, un omone silenzioso e cauto cui Dario Rea regala una prova di raro equilibrio, indaffarato ad aggiustare una radio, a mettere ordine, ad accendere luci, ad ascoltare in silenzio il logorroico bisogno di dire della donna. Si muove in penombra, dentro la trama di fili che lo lega alla moglie, a quel luogo, a quelle tante voci che avvolgono il loro stare in un caos metropolitano restituito con vivida nettezza dal suono perfetto di Hubert Westkemper.
Ed ecco che questo “stare” assume i lineamenti di una consapevolezza quasi sacra, condivisa con Pasqualotto, Angela, Assunta e altri abitanti di un quartiere ad altissima densità dove le vite si fondono, le abitazioni affacciano direttamente sulle strade e le strade stesse costringono a una prossimità quotidiana con gli altri. A questi abitanti il collettivo partenopeo – formatosi nel 2018 e attivo proprio nel Rione Sanità dove gestisce due spazi confiscati alla camorra – ha dedicato una ricerca di stampo sociologico e antropologico votata a comprendere direttamente sul campo cosa significhi vivere nei bassi. Ne sono derivate preziose testimonianze documentarie che restituiscono le coloriture più varie di un’umanità caparbiamente e orgogliosamente inchiodata alla sua condizione. Tanto che la “felicissima jurnata” del titolo, al di là di Beckett e passando per Beckett, sembra quasi un grido. Una pulsione luminosa. Un imperativo categorico rassegnato ma non per questo insofferente o ribelle.
Dunque, il cuore di questo prezioso monologo sta proprio nell’idea fondativa che ne informa la drammaturgia (la firma Emanuele D’Errico, anche regista): connettere insieme la rarefatta e disarmante angoscia esistenziale del grande autore irlandese – in quella che è una delle sue opere più desolate e sconsolate – al sanguigno dinamismo di un popolo capace, malgrado le difficoltà e dentro le difficoltà, di trovare un’anima, un senso, un destino. Certamente l’assolo di Lina/Morea attraversa la tragedia, la malinconia, il chiaroscuro. Ma dentro vi vibra un’intera geografia di sentimenti che, complici le belle musiche di Tommy Grieco, appartiene a Napoli e solo a Napoli.
L’aver messo insieme due lingue così apparentemente lontane è il grande merito di questo intenso lavoro. E il risultato non può che dirsi straordinario. Winnie è insabbiata nel suo immobilismo e vi sprofonda sempre di più mentre il giorno passa e gli oggetti sbiadiscono. Anche Lina è inchiodata nel suo basso, non può muoversi dentro quel vestito-carcere (che per molti versi ricorda l’abito da sposa di Manuela Lo Sicco in Carnezzeria di Emma Dante o quello circense di Manuela Cescon nella Giulietta felliniana di Valter Malosti), ma forse neanche vorrebbe farlo. Anche lei viaggia nei ricordi, fa continui richiami a quel marito “ctonio” portando l’attenzione sulle cose, sul quotidiano, sulla casa. E Lello la asseconda a fatica. Sembra malato. Eppure si avverte un attaccamento sentimentale tra i due, un amore stanco ma ancora chiamato a unire, a tessere fili.
Alto e basso si congiungono. Cielo e terra stanno insieme. Sempre e comunque. E sarà così per tutte le “felicissime jurnate” a venire.
FELICISSIMA JURNATA
drammaturgia e regia Emanuele D’Errico
con Antonella Morea e Dario Rea
e con le voci delle donne e degli uomini del Rione Sanità
musiche originali Tommy Grieco
suono Hubert Westkemper
scene Rosita Vallefuoco
costumi Rosario Martone
luci Desideria Angeloni
produzione Cranpi, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Putéca Celidònia
in collaborazione con La Corte Ospitale – Forever Young 2022
con il sostegno di Teatro Biblioteca Quarticciolo e di C.RE.A.RE Campania Centro di residenze della Regione Campania
Roma, Teatro Vascello | 16 maggio 2025