GIANNA VALENTI | In Dance is not for us, Omar Rajeh condivide la necessità di raccontare una parte della propria vita: Beirut, la giovinezza, gli affetti, la rabbia, le trasformazioni post belliche, la scelta consapevole della danza come forma d’azione radicale e rivoluzionaria in un paese che si ricrea dalle rovine di una guerra civile; l’incontro con la coreografia come azione di relazione ad altissima presenza energetica; il percorso artistico come creazione coreografica e l’impegno per la formazione e l’organizzazione della danza con la fondazione di Maqamat, nel 2002, e poi con la costruzione di Citerne Beirut nel 2017, sino alla sua chiusura forzata nel 2019.
Una storia che si muove tra dimensione individuale e collettiva, tra i tempi degli affetti, delle scoperte e dei desideri e i grandi tempi della storia del Libano e della sua città natale. Una storia in danza che si estende nel passato per offrirsi come presenza nel corpo e nelle parole di Omar Rajeh, per poi scomparire di nuovo, dopo aver preso spazio nei nostri corpi, come «un sogno d’infanzia, in bianco e nero, di cose che sono successe e non ritorneranno mai più», raccontano le parole di fine performance. 

Dance is not for us è stato presentato a Interplay 25 sulla scena di Officine Caos a Torino. L’iconico festival di danza, fondato e guidato da Natalia Casorati, festeggia quest’anno i venticinque anni dalla sua fondazione. 

Omar Rajah, Dance is not for us, Interplay 25, Ph. Andrea Macchia

In Dance is not for us, la parola nasce come pensiero in movimento che si iscrive, inarrestabile, lettera dopo lettera, sul fondale che definisce lo spazio scenico, dall’inizio alla fine della performance, anticipando e concludendo ogni azione danzata. Una parola che si afferma come elemento temporale che agisce e si muove ancor prima del corpo che danza, che lo sostiene, lo contiene e con cui dialoga e collabora.
Il segno drammaturgico è sapiente, ci conduce dentro la scena e le sue azioni, ci trascina negli eventi storici che contestualizzano la narrazione e dentro la potenza della memoria individuale e collettiva del corpo che danza. Quel corpo è molti corpi. La sua danza agisce la propria storia e si rende disponibile ad agire la molteplicità delle presenze umane di quella storia. “Memory is action”, condivide con me Rajeh dopo la performance: il suo corpo singolo che agisce una molteplicità che chiama «floating bodies, memorie di corpi dentro di me… che porto con me».
Trovare le tracce di quei corpi e di quelle memorie è «ricercare le forme dell’origine», tracce come «gesti, brividi, carne, ferite, cicatrici, cicatrici viventi… cicatrici animate» che danno esistenza a questa storia in danza che si estende nel passato e ne accetta il dolore, forse per trasformarlo. 

Omar Rajah, Dance is not for us, Interplay 25, Ph. Andrea Macchia

Omar Rajeh danza modulandosi in un crescendo di fluidità e di forza, in cui ogni gesto, movimento o spostamento spaziale incanala vissuti e si lascia attraversare dal tempo. Sostenuto da una musica percussiva, il suo corpo materializza quelle tracce attraverso un uso di centri mobili e di tracciati circolari e spiraliformi, dando vita a una scrittura coreografica in cui ogni frammento è forza propulsiva per il successivo e riassume in sé l’energia di ciò che è stato.
Una modalità di lavoro che cattura il respiro e il corpo di chi ne è testimone e che afferma un principio di non separazione tra aree e funzioni del corpo. È così per la voce che, all’apice dell’attivazione energetica del corpo, nel momento di massima tensione in crescendo nella costruzione coreografica, non può che danzare esplodendo, sobbalzando, compattandosi, vibrando, lanciandosi o trattenendosi, indirizzandosi su un punto o espandendosi. Ed è così anche per lo sguardo che agisce e comunica gli stati di presenza del corpo e danza proiettandosi, sciogliendosi, interiorizzandosi, spalancandosi o raccogliendosi. 

Omar Rajah, Dance is not for us, Interplay 25, Ph. Andrea Macchia

Il corpo di Rajeh in scena non contempla separazioni tra il dentro e il fuori, tra il presente e il passato, tra la propria materia e lo spazio in cui è contenuta, tra la dimensione della scena e quella che appartiene al pubblico, tra il luogo del pensiero e quello dell’azione che siamo abituati a chiamare semplicemente fisica o, ancora, tra l’incarnazione di una consapevolezza teorica e la disponibilità a farsi flusso di emozioni. Il suo corpo dona azioni danzate che sono vissuti agiti e coreografati, dove ogni separazione e ogni distinzione tra i diversi piani temporali cade.
Una danza, la sua, in cui il corpo si fa presenza totemica che si rende semplicemente disponibile a farsi attraversare dal tempo, in una dimensione di estrema disponibilità e vulnerabilità e nella consapevolezza di essere sostenuto da una sapiente costruzione drammaturgica che ha sviluppato (così racconta a fine performance) in lunghissime chiacchierate con Peggy Olislaegers, dance activist, danzatrice, drammaturga e consulente per diversi coreografi europei. 

 

Quando la danza si spegne, il riassorbimento energetico di quella presenza totemica rimane come fantasma dentro il suo corpo, «a wondering ghost inside me / un fantasma che viaggia senza meta dentro di me», ma la sua carica vibrazionale ha lasciato un segno dentro di noi, lo stesso che il performer ha vissuto, creato, danzato, trasmesso, permettendo a questa storia di appartenere a tutti, di essere memoria condivisa e trasferita: «a dance story that we (all of us) own / una storia in danza che appartiene a tutti noi”.
No for showing, yes for being, no for looking, yes for doing.


DANCE IS NOT FOR US 

concept, scenografia e coreografia Omar Rajeh
co-creazione Mia Habis
drammaturgia Peggy Olislaegers
composizione musicale Joss Turnbull & Charbel Haber
lighting design e direttore tecnico Christian François
amministrazione Sergio Chianca
coordinazione Amina Onsy
ringraziamenti speciali CND à Lyon, Sima Performing Arts-Alserkal Avenue, Amadeus – école de danse et de musique. Con il supporto di DRAC Auvergne Rhône-Alpes
Artista riconosciuto dal Ministero della Cultura Francese “Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres”
Con il supporto della Fondazione Nuovi Mecenati – Fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea

PRIMA REGIONALE

Festival Interplay 25, Officine Caos, Torino | 10 giugno 2025