LEONARDO DELFANTI | In questo ultimo reportage dedicato a Opera Prima 2025 — di cui abbiamo già scritto qui e qui— ciò che resta dell’atto del guardare non coincide mai pienamente con ciò che si è visto. A permanere è, piuttosto, lo scarto: tra occhio e pensiero, tra spettatore e scena, tra la domanda e il tempo necessario a formularla. Proprio in questa tensione tra etica ed estetica si collocano alcuni dei lavori più significativi di questa edizione. Tra questi, The Smooth Life di Husam Abed ha rappresentato uno dei momenti più intensi, grazie alla capacità di trasformare la distanza tra intimità e testimonianza in un’esperienza autenticamente condivisa. Dafa Puppet Theatre, fondata nel 2009 da Husam Abed e Veronika Svobodová, crea performance mobili, ibride, capaci di attraversare confini geografici e linguistici. In questo contesto, l’azione teatrale diventa un rito familiare e politico: narrazione, gesto di cura e resistenza.

Tutto è cominciato con una porta che si apre, timidamente, su una casa qualsiasi. Ma dentro quella casa c’era un mondo: un salotto trasformato in teatro di figura, rifugio, campo profughi e cucina. Otto spettatori alla volta, come gli otto familiari dell’artista palestinese dispersi tra Gerico, Yarmouk, la Svezia e l’Europa dell’Est. Al centro, un tavolo. Non una scenografia, ma un focolare: cibo, oggetti, voci. Ogni elemento – una latta, una fotografia, un sacchetto di riso – diventava oggetto transizionale, al tempo stesso quotidiano e sacro.
Abed non interpreta: evoca. Convoca memorie. Costruisce genealogie con marionette spigolose, disegna viaggi proiettando luci su mappe, sussurra lettere mai spedite. Lo fa senza retorica, evitando ogni trappola identitaria, ogni protagonismo vittimario. Eppure, ogni gesto è carico di storia, politica, esilio. La lentezza – fatta di silenzi, pause, movimenti misurati – si fa pedagogia dell’ascolto. L’ultimo gesto è mangiare: un pasto condiviso. Lo spettatore non può restare fuori. The Smooth Life è più di uno spettacolo: è una pratica relazionale, un invito alla coabitazione sensoriale.

A ogni replica, il soggiorno diventa così teatro, cucina, rifugio. L’intimità dell’atto performativo si fonde con la dimensione collettiva. Con voce calda e precisa, Husam ci accompagna in un viaggio personale che si apre al mondo: lettere mai spedite, fratelli lontani, padri contrari, passaporti che imprigionano più di qualunque muro. Ogni oggetto è insieme documento e detonatore emotivo. Le marionette, volutamente imperfette, non cercano verosimiglianza, ma verità. La figlia dell’artista, presente in scena, interviene con piccoli gesti a sottolineare la dimensione quotidiana e intergenerazionale della performance stessa.
Abed non pretende di spiegare la Palestina. Racconta sé stesso. Ma nel microcosmo della sua famiglia si riflette inevitabilmente la frammentazione di un popolo. I nemici non sono mai caricaturali: sono la burocrazia, i documenti mancanti, le vite in sospeso. Eppure, non c’è vittimismo, né didascalia. The Smooth Life sceglie una forma lieve ma intensa, che scava nelle pieghe dell’umano. E trova nel pasto finale il proprio vertice: non un epilogo, ma un compimento. Abbiamo visto, ascoltato, annusato, toccato, e infine mangiato. È lì che si compie il senso dello spettacolo: essere presenti, partecipare con tutti i sensi. Riconoscere nell’altro qualcosa di nostro.

Dal corpo condiviso al corpo assente: è su questo asse che si muove Giulia Scotti, con il suo toccante Quello che non c’è. Uno spettacolo che, nel segno della sottrazione, fa della parola una forma di scavo.
Al centro della scena, stavolta, c’è l’assenza. Una storia familiare che comincia con un silenzio: «Della storia di mia zia nessuno ha mai detto niente». Da questa omissione nasce un racconto intimo e tagliente di perdita e memoria, ma anche della tenacia del dire. È teatro autobiografico, certo, ma con una tensione tutta politica: raccontare chi è stato cancellato, restituirgli spazio e nome. Se è vero che il racconto biografico è spesso abusato, Scotti si distingue per misura e rigore. Nessun autocompiacimento, nessuna manipolazione emotiva. La voce è asciutta, sempre sull’orlo della rottura ma mai fuori controllo. C’è il desiderio di salvare una vita raccontandola, e insieme il rifiuto di parlare al posto di. Il risultato è una pièce sul margine: tra biografia e invenzione, tra omissione e rivelazione. E nel farlo, ci interroga tutti: cosa scegliamo di raccontare? E a chi?

Questo interrogarsi sul confine tra presenza e assenza torna in modo radicalmente diverso con Part One di Anna Ozerskaia: un lavoro che esplora il gesto nella sua nuda essenzialità, riportando la scena al corpo e al tempo. Nato in pandemia, Part One era inizialmente un dialogo tra un danzatore e uno spettatore solo. Ma, a Opera Prima, quella distanza è diventata memoria condivisa. La danzatrice, con movimenti trattenuti e precisione estrema, dà corpo a un archivio coreografico del silenzio. Nessun virtuosismo, nessuna volontà di stupire. Solo la volontà di abitare lo spazio – anche minimo, anche vuoto – con onestà. Lo spettacolo è gesto, respiro, torsione, assenza: un invito a guardare non solo con gli occhi, ma con il corpo intero. Per restare.

Dal silenzio rarefatto del corpo si passa al gioco teatrale dell’apparenza, con un lavoro che si discosta dal tono intimo dei precedenti per restituire alla piazza la sua vocazione più pubblica e spettacolare: Seduttore di Thierry Parmentier.
Ci spostiamo in piazza Garibaldi dove, in occasione dei trecento anni dalla nascita di Giacomo Casanova, Parmentier rilegge il mito dell’avventuriero veneziano attraverso il filtro felliniano. Seduttore è una testimonianza ludica, ironica e fantasiosa, che gioca con le maschere e le apparenze del celebre personaggio.

Parmentier, dopo una carriera come danzatore con coreografi del calibro di Joseph Russillo e Maurice Béjart – con cui ha danzato nella storica compagnia Ballet du XXe siècle – approda in Italia negli anni Ottanta per iniziare un percorso da coreografo autonomo. Il suo stile, riconoscibile e sfuggente, fonde tecnica, arte scenica, costumi (disegnati da lui stesso), regia e mimica.

La sfida di portare la pièce in piazza è pienamente riuscita: il pubblico rodigino, affascinato dall’eleganza della performance, si è lasciato sedurre dalla leggerezza di un linguaggio che non rinuncia mai alla profondità. La danza diventa così non solo estetica, ma anche pensiero incarnato.

E proprio il pensiero – musicale, in questo caso – chiude idealmente il cerchio con The Geometry of Time, concerto ipnotico della compositrice Francesca Guccione, che riporta lo spettatore in una dimensione percettiva rarefatta, sospesa tra emozione e analisi. Un quartetto d’archi e sintetizzatori analogici costruisce un paesaggio sonoro che oscilla tra passato e futuro, tra il minimalismo narrativo e la rarefazione emotiva. Il titolo dell’album – pubblicato per la berlinese Neue Meister – è una dichiarazione di poetica. Il concerto infatti è anche un omaggio a Jóhann Jóhannsson, compositore islandese di culto e oggetto delle ricerche accademiche di Guccione al Conservatorio Venezze. Brani del suo repertorio vengono ripresi, scomposti, ricomposti in un dialogo vivo con le composizioni originali.
Accade così che il concerto diviene un’esperienza sensoriale immersiva, una meditazione sul tempo che ci abita. Come tutto Opera Prima 2025, anche questa esperienza suggerisce che non si tratta di capire, ma di sentire, di abitare con tutti i sensi l’intervallo tra ciò che appare e ciò che resta. Un festival che non cerca di spiegare il mondo, ma di metterci dentro — a volte con dolcezza, a volte con urgenza — come testimoni attivi e vulnerabili. Perché guardare, oggi più che mai, significa anche scegliere da che parte stare.
E forse, guardarsi guardare, è già una forma di resistenza.

THE SMOOTH LIFE

 

regia e performer Husam Abed
drammaturgia Marek Turošík
stage design Réka Deák
musiche Folk, Tareq Al Jundi, Sokout, Sanaa Mousa, Rim Banna
produzione DAMU – Czech Republic

QUELLO CHE NON C’È

 

testo e regia Giulia Scotti
collaborazione al progetto Andrea Pizzalis – consulenza Alessandra Ventrella
con Giulia Scotti
disegno luci Elena Vastano – suono Lemmo
coproduzione INDEX, Tuttoteatro.com
residenza produttiva Carrozzerie | n.o.t, Ferrara Off Teatro
con il sostegno di IntercettAzioni – Centro di Residenza Artistica della Lombardia; Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt), Comune di Sansepolcro; Olinda/TeatroLaCucina
in collaborazione con mare culturale urbano; Ex Asilo Filangieri
premi: Vincitore del Premio Tuttoteatro.com Dante Cappelletti 2023 – Menzione speciale bando Odiolestate 2023

PART ONE

 

concept, coreografia e danza Anna Ozerskaia
musica di Charlie Chaplin, arrangiato ed eseguito da Lars Hjertner e Per Larsson

IL SEDUTTORE

 

di e con Thierry Parmentier
coproduzione Festival Opera Prima

THE GEOMETRY OF TIME

 

sintetizzatori analogici Francesca Guccione
violini Ivan Malaspina, Matteo Anderlini
viola Giuseppe Alessandro Curri
violoncello Nazzareno Balduin

 

Festival Opera Prima, Rovigo | 15 giugno 2025