RENZO FRANCABANDERA | Se proprio dovessi parlare di gioiellino inaspettato di questa prima parte dell’estate dei festival italiani, sicuramente Ode alla distruzione ha tutte le caratteristiche per candidarsi alla definizione. Il collettivo SuckerPunch, guidato da Iacopo Loliva e Manuel Kiros Paolini, l’ha presentato in prima nazionale al Bonsai Festival di Ferrara: un lavoro che indaga con linguaggio punk e musica elettronica i temi dell’apocalisse contemporanea, della fine delle relazioni e delle identità.
Il collettivo, oltre al duo di performer, ha una serie di altre intelligenze che con loro collaborano, ed era già stato in residenza a Ferrara negli spazi gestiti da Ferrara Off, l’associazione che promuove fra maggio e giugno anche il festival Bonsai. Come abbiamo testimoniato in diversi articoli che hanno accompagnato la rassegna in queste ultime settimane, Ferrara Off è una realtà che negli anni ha saputo costruire una dimensione alchemica che, pur nel piccolo (non viene casuale il titolo della rassegna), cerca di attirare qualità, ospitando non solo artisti italiani, ma anche giovani realtà che crescono fuori dal territorio nazionale.
Nel caso di SuckerPunch, si tratta certamente di una dimensione ibrida: il duo ha caratteristiche artistiche e vocazione internazionali, essendo i due performer uno basato ad Amsterdam e uno a Berlino, ma sono entrambi di origine italiana. Sono fuggiti non solo con il cervello ma con tutto il corpo, per usare la metafora cara di questi tempi a chi cerca fortuna fuori dai confini nazionali. Eppure, nel talk successivo allo spettacolo, ci confermano tristemente che anche all’estero, dove per molti anni gli artisti hanno avuto grande supporto – sicuramente maggiore di quello che potevano avere qui in Italia –, le cose stanno purtroppo cambiando.
Ad ogni buon conto: il duo era stato ospite in residenza a Ferrara anche l’anno scorso e aveva già presentato agli spettatori del festival un primo esito che si concentrava sulla parte più fisica, all’interno di una scenografia fatta di scatole. Le scatole ora sono completamente sparite per lasciare il posto ad un vuoto scenico interrotto, a destra, da un paio di sedute, di cui una a forma di poltrona, dove gli spettatori all’ingresso in sala trovano Manuel Kiros Paolini seduto in costume da bagno e occhiali balneari, a leggere il finale di alcuni libri, accatastati ai piedi della poltrona.

Lo spettacolo, prodotto con il supporto di AFK, Ferrara Off e Amsterdam Fringe Festival –dove ha debuttato–, si inserisce nel percorso del collettivo, che in questi anni ha cercato di coniugare le pratiche artistiche differenti di Loliva e Paolini, coniugando un teatro fisico e sperimentale che mescola performance, sound design e drammaturgia radicale; che accoglie, dunque, non solo il gesto ma anche la parola. Quello che è successo fra l’anno scorso e quest’anno è molto semplice e lo raccontano i due nell’incontro con il pubblico a fine performance: dopo aver enucleato una serie di riflessioni, sia testuali che fisiche, relative al concetto della fine, dell’apocalisse e della possibilità soggettiva di avvertire una possibilità di soccorso quantomeno emotivo in questo scenario così cupo come quello che stiamo vivendo, i due hanno affidato tutto questo materiale incandescente a una figura terza, un drammaturgo, affinché mettesse assieme e trovasse una sorta di filo logico capace di tenere assieme il tutto. La drammaturgia di Marcus Peter Tesch che, appunto, ha voluto costruire il suo collage partendo dall’idea della fine, struttura lo spettacolo come una sequenza di quadri che esplorano la distruzione non solo come evento catastrofico ma anche come possibilità di rinascita.
La dimensione recitata iniziale, così come le azioni fisiche, è fatta di spezzettamenti e di azioni interrotte che mantengono comunque una capacità fluida di confluire l’una nell’altra, senza che si avverta in modo drammatico alcun salto. Qui e lì, in questo debutto, affiora qualche piccola didascalia di gesto, di espressione o di parola, ammiccamenti da pulire; ma sono piccoli alleggerimenti, che nel complesso non cambiano l’intonazione acuta e piacevolissima, oltre che profonda, della performance.
Personalmente ho anche riso moltissimo, sebbene come hanno spiegato i due performer, l’intenzione ironica non fosse in origine la direzione in cui si erano mossi; anzi, quasi non la vedevano. Solo il riscontro del pubblico in sala ha fatto emergere il posizionarsi del fatto poetico in quell’interstiziale confine fra tragico e comico, confine che poi effettivamente, nella seconda e ultima parte del lavoro, viene in qualche modo esplorato, vuoi dalla autoconfessione drammatica ma anche goffa, a testa in giù, di uno dei due sul voler essere un croissant vuoto, mentre l’altro che lo tiene fa le faccine; vuoi perché frangenti espressivi di questa fatta che indagano la fine, finiscono sempre per essere anche comici, in qualche misura.
La composizione musicale di Jonathan Bonny, tra elettronica e rumore, interagisce in modo felice con i corpi degli interpreti rimanendo l’unico elemento fluido e continuo dei segni scenici, mentre le luci di Grace Morales Suso contribuiscono a creare un’atmosfera immersiva che, in alcune sequenze, si sposta su cromie verdi, totalmente disumane, proiettando a fondale un ambiente extraterrestre dentro il quale le due figure si muovono controluce. È un’opera che “cerca la speranza in visioni apocalittiche, l’amore nella scomparsa assoluta e un nuovo inizio nella fine”, confermando la cifra stilistica del collettivo, già emersa in lavori precedenti come The End (2021). La collaborazione con Setareh Nafisi aggiunge un ulteriore livello di ricerca sul movimento e sulla presenza scenica, in linea con le sperimentazioni performative che caratterizzano il duo.
Lo spettacolo ci è molto piaciuto: è un’esperienza intensa e fisica, coerente con l’estetica punk e post-teatrale di SuckerPunch e lo conferma come una realtà assai interessante della scena underground. Bene ha fatto Giulio Costa con gli altri del gruppo di Ferrara Off, nel biennio corrente, a puntare su questo lavoro e su questo sodalizio artistico, poco conosciuto in Italia . Ma auguriamo a Ode alla distruzione di poter anche circolare molto in Italia, perché è davvero un lavoro capace di toccare con delicatezza temi drammatici, e in cui, a onor del vero, la partitura fisica in alcuni momenti raggiunge un livello di complessità esecutiva assai elevata, rara da vedere in Italia, senza che questo si trasformi in esibizione del gesto atletico, restando invece ancorata a un fare poetico estremamente delicato e fragile. Da vedere!
ODE ALLA DISTRUZIONE
composizione musicale Jonathan Bonny
collaborazione con Setareh Nafisi
testo e drammaturgia Marcus Peter Tesch
disegno luci Grace Morales Suso
con il supporto di AFK, Ferrara Off, Amsterdam Fringe Festival