ELENA SCOLARI | Lo abbiamo detto: Willem Dafoe ha diretto la sua prima edizione della Biennale Teatro scegliendo l’elemento più peculiare del teatro: il corpo. E, per un attore che è diventato celebre grazie al cinema, arte in cui il corpo perde la sua tangibilità, è un assunto forte e che dimostra come i grandi sappiano trovare sempre il nocciolo portante. Dafoe è nato artisticamente con il teatro e riconosce in esso la luce della presenza fisica. Quell’omino bianco in campo rosso, immagine (visual, come dicono quelli bravi) della Biennale Teatro 2025, è la presenza dell’attore, della maschera, del personaggio, è un corpo che può prendere qualunque forma perché vivo. In teatro più che altrove.
Ha ragione, Dafoe.
E ragione gli dà l’americano Anthony Nikolchev che con il suo gruppo The Useless Room ha presentato in prima assoluta The (un)double, adattamento da Il sosia di Fëdor Dostoevskij. Da ammiratrice partigiana dell’opera dell’immenso autore russo, mi sono accostata con grande curiosità a questo lavoro e ho goduto della spregiudicata traduzione di un geniale racconto letterario in uno spettacolo che riesce a restituire in immagini il diabolico rapporto del protagonista con il doppio psicologico che si è costruito.
Jakov Petrovič Goljadkin si sentiva solo, inadeguato, e anche un po’ inadatto. Passeggiava spesso sulle rive della Fontanka a Pietroburgo e un giorno ha visto una figura dall’altra parte del ponte: il suo doppio. Un secondo Goljadkin, tale e quale al primo, con lo stesso nome e lo stesso lavoro. La copia compare dappertutto per umiliare l’originale. Dostoevskij scrive Il sosia immaginando il graduale disfacimento intellettuale di un uomo, dannatamente frustrato, che si costruisce una seconda identità che finirà per essere distruttiva. L’adattamento di Nikolchev sdoppia, a sua volta, le parole taglienti del racconto: per un verso in movimenti, che Nikolchev stesso e Lukasz Przytarski compiono costruendo un bel dialogo di corpi a rappresentare la strettissima relazione del protagonista con il suo sosia, e per l’altro in un profluvio di riflessioni sul rapporto tra attore e personaggio, sulla posizione dell’autore nei confronti della sua creazione.
Chris Polick è in scena come una specie di arbitro narratore: legge copiose parti del racconto e le intreccia con proprie osservazioni, creando un ritmo senza sosta, faticoso da seguire ma architettato proprio per lasciare lo spettatore stordito, come viene dichiarato all’inizio dello spettacolo ed esattamente come succede a Goljadkin, frastornato dalla proiezione in cui è costretto a specchiarsi.
Tutti e tre si trovano in una scenografia/scatola che li imprigiona e da cui prorompe un’energia incontenibile che da letteraria si fa corporea. L’effetto funziona, è senz’altro previsto anche che si abbandoni l’attenzione, qua e là, per sovraccarico di stimoli, per esempio non si vede lo scopo di aggiungere (ancora una volta) lo strumento dei video, per altro posizionati in modo che si scorgano solo se proprio li vuoi vedere, né è leggibile l’inserimento, forzoso, di temi attuali non amalgamati alla struttura principale e che finiscono per appesantire l’impianto senza una coerente giustificazione drammaturgica.
Si arriva a citare i social, cosa che parrebbe fuori luogo ma nella sua sostanza non è un riferimento peregrino: non sono forse nostri doppi i profili che ci costruiamo? Più azzardato è il rimando a Radovan Karadžić, ex presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, citato per via della sua vita da latitante, qui il nesso si perde, insieme alla tramontana dello spettatore, che a questo punto, sfinito, si arrende.
Il tema del doppio è un topos ma l’idea di partire da come Dostoevskij lo ha affrontato nel suo romanzo breve è l’indicazione di una scelta: qui si ragiona del doppio mentale, del doppio patologico cui si ricorre per tappare un buco della psiche. E se il testo originale è un corpo fatto di parole, in The (un)double vediamo invece un essere unico composto da due corpi: due ottimi attori-danzatori, che sono l’uno il fantasma dell’altro; si seguono, si sovrappongono, si scambiano, si incastrano, si intrecciano, si respingono. Come facciamo quotidianamente con i tanti noi stessi che ci circondano.
Tante angolazioni del “corpo giovanile”, inteso come collettività, sono quelle che abbiamo visto in GRRRRR GRRRRR, una delle parti che compongono www.wordworldwar.bomb, un progetto dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, declinato in lavori diretti da diversi registi e curati da Antonio Latella. Nelle giornate di permanenza a Venezia ho visto il capitolo diretto da Sebastian Nübling e Jackie Poloni in cui gli interpreti (Eva Cela, Andrea Dante Benazzo, Fabiola Leone, Irene Mantova, Riccardo Rampazzo, Daniele Valdemarin) sono giovani peripatetici che misurano il mondo a grandi passi, falcate energiche che macinano chilometri e durante le quali disegnano la loro personalità. Una marcia vigorosa, prima compatta e uniforme, quasi militaresca, che diventa poi diversificata per direzione e lascia a ognuno lo spazio di dire di sè: i testi sono degli stessi attori e sono rivendicazioni, confessioni, esibizioni, mostra di piccole ossessioni e affreschi frammentati di vite in divenire. Con un insistito legame con l’Italia, parola ripetuta piano, sottovoce, in un sussurro oppure in gridi, parola che segue il ritmo del corpo e parola/casa usata per costruire intere frasi con la sola intonazione. Come in un gioco di bambini, ora cresciuti e forse schiacciati da tutta la paccottiglia patriottica che oggi ci viene ammannita a destra (soprattutto) e a manca.
In alcuni c’è carattere, c’è del brillìo, anche qualche citazione di maestri del teatro italiano; camminando ci si costruisce una strada, la propria, che quanto più devierà per incrociare quella degli altri, tanto permetterà di vedere panorami nuovi e inaspettati.
THE (UN)DOUBLE
prima assoluta
testo e regia Anthony Nikolchev
adattamento da Il sosia di Fëdor Dostoevskij con testi aggiuntivi di WD
co-creazione Lukasz Przytarski
produzione The Useless Room
con Anthony Nikolchev, Lukasz Przytarski, Chris Polick e la collaborazione di WD
codiretto da Gema Galiana
scenografia John Isaac Watters
suono John Zalewski
luci Teresa Nagel
video Keith Skretch
direttore tecnico Lucy Jenkins
direttore di scena Erin Newsom con la collaborazione di Hunter Abal-Sadeq, Kody Nelson e MaryKate Glenn
produttori Ornella Salloum, Roy James Leech
sviluppato con Teatro Romea Murcia, Dance at the Odyssey, con Stacy Dawson Stearns attraverso una Responsive Residency presso CultureHub LA e la CalArts Reef Residency
GRRRRR GRRRRR
regia e musica Sebastian Nübling, Jackie Poloni
testi e interpretazione Eva Cela, Andrea Dante Benazzo, Fabiola Leone, Irene Mantova, Riccardo Rampazzo, Daniele Valdemarin
scene Giuseppe Stellato
costumi Graziella Pepe
luci e direzione di scena Simone De Angelis
assistente alla regia Tommaso Capodanno
assistente scenografa Laura Giannisi
coordinamento progetto Brunella Giolivo
produzione Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico
coproduzione La Biennale di Venezia
Biennale Teatro, Venezia | 11 e 12 giugno 2025