RENZO FRANCABANDERA | C’è un festival che trasforma le antiche tonnare sarde in teatri a cielo aperto, dove le ombre dei pescatori di un tempo dialogano con i corpi dei danzatori di oggi. Parliamo di Cortoindanza/Logos, il festival internazionale di danza contemporanea giunto alla 18ª edizione sotto la direzione artistica di Simonetta Pusceddu, che dal 25 giugno al 27 dicembre 2025 trasformerà la Sardegna in un palcoscenico spesso naturale, spesso nella sua antropizzazione storicizzata, dove studiare un’archeologia del futuro del linguaggio, scavata tra i muri delle manifatture abbandonate, le chiese romaniche e i rifugi sotterranei di Cagliari.
Il cuore pulsante del festival è il Bando alla Scrittura Coreografica, una vetrina che quest’anno ha selezionato 7 opere tra 120 proposte da cinque continenti. Opere come Un joli désordre dans un silence glacial della brasiliana Maria Clara Bathomarco o Between the Walls del russo Ildar Tagirov, saranno eseguite nella Vecchia Manifattura Tabacchi di Cagliari davanti a un osservatorio critico composto da universitari e partner internazionali. Questi “corti” coreografici (massimo 10 minuti) sono semi gettati in un terreno fertile: molti, come dimostrano le passate edizioni, diventeranno spettacoli completi grazie a residenze artistiche e tutoraggi. È un meccanismo virtuoso che ha già lanciato artisti come Federica Marullo.
Ma sicuramente ciò che rende unico Cortoindanza è il dialogo simbiotico con i luoghi.

Two out of three ph Federica Zedda

Le performance non si limitano a occupare spazi: li risvegliano, ne reinterpretano la memoria. Nella Tonnara di Portoscuso, monumento di archeologia industriale del XVI secolo, Elenorae di Rachele Montis trasforma una Penelope contemporanea in tessitrice di storie, i cui gesti riecheggiano quelli delle donne che un tempo lavoravano il tonno; a Tratalias, borgo medievale del Sulcis, Ombre di Lupa Maimone usa le maschere e la luce per interrogare i frammenti d’arte non ancora esplorati, mentre nel Rifugio Don Bosco di Cagliari – galleria sotterranea usata durante la guerra – Memo della Compagnia Bruma diventa una capsula del tempo per gli archeologi del futuro; persino la chiesa di San Sisinnio a Villacidro, con i suoi affreschi medievali, accoglie creazioni come Les Scénographies Paysages, dove artisti del Québec e della Sardegna mescolano paesaggio e movimento .

La dimensione sociale è altrettanto cruciale: il network Med’Arte, creato dal festival, connette giovani coreografi provenienti da paesi in conflitto, come dimostrano le partecipazioni passate di artisti armeni o ivoriani. E poi ci sono i laboratori per le scuole, le residenze creative come quella del Collettivo Cifra Danzateatro sul rapporto tra natura e comunità o gli spettacoli che affrontano temi scomodi: per esempio Romanza di Loredana Parrella, ispirato al corto Submission di Theo Van Gogh, smaschera con cruda poesia la violenza sulle donne sotto i regimi oppressivi.
Emerge così un festival radicalmente politico, dove la danza è strumento di indagine e trasformazione. Quando Jonathan Frau in XIII il senza nome affronta l’ombra interiore, o quando Vasiliki Papapostolou in Panopticon (spettacolo di chiusura) rilegge Foucault attraverso il corpo, non si parla solo di arte: si interroga il potere, la libertà, il controllo sociale.
Persino gli spettacoli apparentemente leggeri nascondono stratificazioni: Ho visto gli orsi danzare di Nanda Addis, ispirato agli orsi bulgari dei circhi che continuano a ballare nonostante la libertà riguadagnata, è una metafora sulle catene invisibili della memoria di coercizione.

Nun Cracker ph Dor Pazuelo

La sfida di Cortoindanza/Logos è per certi versi dimostrare che la danza contemporanea può essere popolare senza essere banale. Con biglietti accessibili e location insolite – dalle ex fabbriche ai parchi di olivastri millenari – sfida l’élitismo dell’arte performativa. E mentre altrove i festival si ripiegano su formule sicure, qui si scommette sulla ibridazione: circo, teatro fisico, videoarte e persino il “teatro in miniatura” di novembre, dove Turandot di Puccini viene decostruita in una versione sperimentale .
Forse il messaggio più potente arriva da Coraggio. La sfortuna non esiste di Noemi Dalla Vecchia: in un’epoca di algoritmi e risposte preconfezionate, il festival celebra l’imperfezione, il rischio, la tenacia come atti creativi. E su questo pensiero abbiamo voluto sentire anche Simonetta Pusceddu, direttrice artistica della rassegna.

Occorre davvero coraggio per andare avanti a fare arte dal vivo in questo tempo. Per voi che senso ha?

Siamo presenti, andiamo avanti con questa rassegna che mette in scena il meglio delle proposte artistiche di danza contemporanea arrivate da ogni angolo del mondo.
Nonostante le scelte politiche che tentano di spegnere, noi, le compagnie dei più giovani e tutti coloro che da anni portano avanti un discorso indipendente e originale di produzione e inclusione, nonostante ci rendano sanguinanti e precari con tagli ingiusti e discrezionali, non molliamo.
Andare in scena oggi è un atto politico, forse non il solo ma il più forte che ci rimane. Noi non vendiamo, non stiamo dentro la logica dei numeri, delle commissioni e dei voti. Noi accogliamo e offriamo un segno di resistenza e presenza.

Cosa dovrebbe cercare oggi una direzione artistica? Quali sono gli ingredienti che occorre mettere assieme per andare avanti?

Per riprendere un titolo dello scorso anno, andiamo alla ricerca dei ‘rizomi’, radici forti in cui sono contenute le basi di nuove evoluzioni.
Abbiamo osservato e selezionato opere che riflettono pensieri di creatività e originalità con il coinvolgimento di scuole e università, una palestra letteraria in cui imparare a leggere le opere attraverso una lente culturale e critica.
Facciamo questo nell’ambito del pensiero filosofico di sinistra che nasce da Gramsci, dalla coscienza politica che qui ha avuto diffusione e vigore, in grado di mostrare nuovi punti di vista, possibili cambiamenti e che la differenze sono opportunità.

Il tuo sembra anche un legame personale con questi fili. Cosa serve fare per reagire in questi tempi?

Io vengo da questa sensibilità, non posso spogliarmene: vengo da una famiglia partigiana. Davanti alla recente pandemia culturale, in cui si fanno fuori d’un colpo i pensieri più originali, le compagnie che hanno creato la danza contemporanea e quelle che lavorano per la sua evoluzione, con un taglio secco di 340 mila euro solo in Sardegna, bisogna stare uniti e far fronte alla situazione. Nulla è meglio di un atto politico come l’andare in scena.
L’arte deve essere salvata, in questo momento urge mostrare quanto possiamo resistere.