RENZO FRANCABANDERA | Al calare del sole nel Pomario del Castello dell’Acciaiolo, dove i muri rinascimentali di Scandicci accarezzano le evoluzioni di corpi contemporanei, il festival Nutida trasforma la danza in un atto di archeologia inversa: non si tratta di scavare nel passato, ma di seppellire nel presente semi per futuri germogli. Giunto alla sesta edizione sotto la guida di Cristina Bozzolini e Saverio Cona, questo laboratorio a cielo aperto – in programma fino al 4 luglio 2025 – sfida la distinzione tra palcoscenico e vita reale attraverso 35 titoli che intrecciano maestri consolidati a una generazione under 25 plasmata dal progetto Calimala.
La tensione tra memoria e oblio risuona nell’intero programma. Tra poche ore, domani 3 luglio, Altitudine di Simona Bertozzi e Francesco Giomi ha trasformato l’improvvisazione in un esperimento scientifico: corpo e musica elettronica si cercano senza copione, come particelle in una camera a nebbia. Se Tortelli cristallizza l’effimero, Bertozzi lo vaporizza – eppure entrambi parlano della stessa urgenza: restituire alla danza il suo statuto di linguaggio primario, anteriore alle parole.
La generazione under 25 risponde a questa chiamata con un vocabolario ancora più radicale. Vittorio Porcelli, ventiduenne selezionato da Calimala, costruisce Violetto Bellosguardo ispirandosi alla piccola tiranna di La fabbrica di cioccolato, ma ne fa un manifesto sull’arroganza creativa: il suo corpo si contorce tra autosabotaggio e ambizione, come un David Bowie del post-contemporaneo. Poche serate dopo, Beatrice Ranieri in Sotto la gonna delle donne smonta gli stereotipi di genere con una serie di posture che ibridano la grazia classica ai jerk dell’hip-hop. Sono voci che parlano di identità liquide, tema caro anche alla napoletana Cornelia Dance Company, presente con The nature of: qui cinque corpi “non conformi” riscrivono i canoni della bellezza attraverso torsioni che ricordano i disegni anatomici di Leonardo.
Ma Nutida non è solo una galleria di coreografie: è un esperimento sociale. I Non Stop Ecstatic Dancing guidati da Marco Dalmasso e Pablo Girolami hanno trasformato il pubblico in performer, riportando la danza alla sua funzione originaria di rito comunitario. Il progetto Spicchio, creato con gli ospiti delle RSA, usa movimenti elementari per tessere fili tra generazioni lontane. Persino la scelta di location atipiche – dal rifugio antiaereo Don Bosco alle sale della Fondazione Pitti Discovery – ribadisce una verità semplice: la danza non ha bisogno di teatri per esistere, ma di corpi disposti a mettersi in gioco.
Quando il 4 luglio le ventenni Sara Ariotti e Kyda Pozza chiuderanno il festival con Nice to meet you two – studio sull’imbarazzo dei primi incontri – Nutida avrà dimostrato che la danza contemporanea può essere insieme pop e profonda. I biglietti a 5 euro non sono un dettaglio, ma una dichiarazione di accessibilità e di opposizione all’elitismo culturale. In un’epoca di performance sempre più digitali, questo festival scommette sull’unica tecnologia davvero rivoluzionaria: la carne viva di corpi che cadono, sudano, tremano. Come scriveva Merce Cunningham, “la danza è l’arte più vicina alla vita”. A Scandicci, per ventidue sere, quella vita ha il sapore acre dell’erba calpestata, il profumo degli alberi dentro queste mura secolari, il suono di un handpan che accompagna Laila Lovino in We are our roots. E forse, in fondo, è proprio questo il segreto: far capire anche a uno studente quattordicenne che la danza non è roba da musei, ma il modo più antico che abbiamo per dire “io esisto”.
Abbiamo assistito il 26 giugno a Bodies on glass di Diego Tortelli nel suo incontro con il musicista Andrea Rebaudengo, un progetto nato nel Novembre 2024 a Triennale all’interno del progetto Esplorazioni, una rassegna ospitata da Volvo Studio di incontro quasi in improvvisazione fra danza e musica, e qui riproposto al tramonto in una versione unplugged, mentre gli ultimi raggi di sole illuminano il pianoforte.
Due corpi – quelli di Cristian Cucco e Thomas Van de Vene – danzano su una partitura liquida, sospesi tra la precisione matematica di Philip Glass (le cui partiture più celebri vengono eseguite dal vivo dal pianista Rebaudengo) e l’imprevedibilità dell’improvvisazione. Il titolo, giocando sull’omonimia tra il cognome del compositore e la parola “vetro”, costruisce una metafora duplice: da un lato la trasparenza di un’arte che si offre nuda allo sguardo, dall’altro la fragilità di gesti che esistono solo nell’attimo in cui accadono. Tortelli, eletto nel 2017 miglior giovane coreografo dal festival di danza Palcoscenico Danza, e vincitore nel 2021 del primo bando per artisti italiani lanciato dalla Biennale di Venezia per il Settore Danza, lavora da anni sul concetto di corpo come archivio ma anche come luogo delle ossessioni e del contrasto fra ordine e caos.
Abbiamo videointervistato Diego Tortelli alla fine della performance.