OLINDO RAMPIN | È difficile pensare che Iacopo Badoèr, esponente di una delle famiglie veneziane di più antica nobiltà, senatore e scrittore dilettante, abbia scritto Il ritorno di Ulisse in Patria, fredda riduzione degli ultimi canti dell’Odissea omerica, senza pensare che i Proci potessero ricordare agli spettatori di allora i tanti nemici della Venezia seicentesca: la crescita della potenza del papato e degli imperi spagnolo e austriaco, gli onnipresenti turchi. Questa versione dell’Odissea è anche, ci sembra, un encomio della Serenissima, del buon governo e delle virtù repubblicane di cui Venezia avrebbe menato vanto anche in quel secolo complicato. Ma il nome di quell’oscuro patrizio veneto sarebbe finito nell’anonimato se la sua modesta versificazione non fosse servita come libretto a Claudio Monteverdi per trarne un dramma musicale. Come accadde altre volte, il maestro di cappella della Basilica di San Marco seppe trasformare la cattiva poesia in buona musica, come si è potuto constatare al Teatro Ponchielli di Cremona, dove l’opera è andata in scena in occasione del Monteverdi Festival.

ph Lorenzo Gorini

Del teatro veneziano Santi Giovanni e Paolo, fatto erigere dalla potentissima famiglia Grimani dove l’Ulisse debuttò nel 1640, oggi non resta nulla. Nell’edizione, riveduta nel 1663, di Venetia città nobilissima et singolare, descrizione enciclopedica della città firmata da Francesco Sansovino, leggiamo una descrizione delle rappresentazioni di quel teatro che ha qualche curiosa risonanza con la versione che ne ha dato al Ponchielli Davide Livermore, per l’occasione tornato anche in scena come cantante nei panni del parassita Iro, il buffone di corte, ghiottone insaziabile e compare dei Proci che verrà umiliato da Ulisse.

Le opere che vi si recitavano avevano «risplendenti Cieli, Deitadi, Mari, Reggie, Palazzi, Boscaglie, Foreste, et altre vaghe e dilettevoli apparenze»: tendenze che riflettono il gusto per gli apparati scenografici del Barocco, che dovevano ammaliare il pubblico dell’epoca.
Questo gusto del meraviglioso si mescola, nella versione di Livermore, a un’ispirazione di origine cinematografica, neo-realistica e mediterranea. Nella scena iniziale una Madonna incoronata, costruita con una scala da ufficio e portata in processione da una tipizzata folla di maschere di un Sud atavico, si trasforma in Amore (Giulia Bolcato, anche Giunone). Chiara Osella, l’Humana Fragilità, altro esempio di manierata personificazione poetica barocca, canterà l’aria sulla vulnerabilità dei sapiens con connotativa esemplarità: in un nudo integrale eroico dentro un Ponchielli refrigeratissimo.

ph Lorenzo Gorini

Di simboli di un cattolicesimo popolare e mitico non se ne vedranno più, perché l’Italia vista con gli occhi dell’epoca d’oro del cinema italiano, di Luchino Visconti e Roberto Rossellini, nella scenografia di stampo fortemente digitale firmata da Eleonora Peronetti e D-WOK si nutrirà poi di un incessante intarsio di gigantografie e video in bianco e nero, di mari mossi, di cieli gonfi di nuvole, di borghi mediterranei arroccati, di improvvise eruzioni vulcaniche, non senza una vera deflagrazione.
La scenografia fisica vera e propria è, invece, supersobria: qualche letto, qualche poltrona francesizzante, complementi d’arredo che terminano in gloria con un enorme lampadario a gocce che illumina il trionfo definitivo di Ulisse politropon, l’uomo multiforme, dalle molte abilità. Com’era nell’enciclopedica guida del Sansovino? «Cieli, Deitadi, Mari, Reggie, et altre vaghe e dilettevoli apparenze». Qui però anche una bicicletta su cui arriva Minerva per il travestimento di Ulisse, altri entrano su una Vespa vintage. Dell’Italia del secondo dopoguerra non manca più nulla.

ph Lorenzo Gorini

Ulisse, il solido Mauro Borgioni, per entrare sotto mentite spoglie a Itaca viene rifornito di un loden taglia forte second hand e di un cappellaccio a secchiello che gli ha opportunamente dato la sua protettrice, senza di che puoi essere politropon finché vuoi, non si potrebbe far niente. Che poi è sempre lei, la romana Minerva, la dea Atena dei Greci, una delle divinità più vendicative e umorali dell’Olimpo, monte abitato da divinità irascibili quant’altre mai, qui apparsa come una barbona in bicicletta, anche se durante tutto il dramma è una donna fatale con abito e incedere supersexy, con una vena da Regina della Notte: Arianna Vendittelli, forse la migliore interprete della serata, anche vocalmente.

Arnaud Gluck, Roberto Rilievi e Matteo Bellotto sono i Proci pretendenti di Penelope: Pisandro, Anfinomo, Antinoo, qui tre tipizzazioni del vecchio notabilato della borghesia mafiosa del secolo scorso, con abiti maschili di lusso esibizionistico e borsalini minacciosi. Ulisse li vince e li dardeggia nella gara architettata da Penelope, tanto per render noto che lui, eroe astuto e scaltro certo, è all’occorrenza anche uno che ha il fisico necessario per fare la guerra.

ph Lorenzo Gorini

Jacob Lawrence è un Telemaco boy-scout alto e mingherlino, d’un’altra latitudine, celtica, pantaloncini corti e coltello alla cintola portato come fosse un’arma giocattolo. Ha tre dita in gesso, ma peggio di lui sta la madre e moglie Penelope della stoica e potente Margherita Sala, la sposa perfetta di Ulisse, infortunata con braccio al collo. La vecchia nutrice di Ulisse è l’ottima Chiara Brunello. Il Giove di Valentino Buzza e il Nettuno di Luigi De Donato sono due ammiragli più Love Boat che Monte Olimpo, due militari molto dotati di self-control rispetto alla natura collerica e vendicativa dei loro modelli divini. Alena Dantcheva è una credibile Melanto, serva infedele di Penelope e amante di Eurimaco/Alberto Allegrezza, rappresentanti dell’amorazzo sensuale, l’opposto dell’amore nobile e coniugale di Ulisse e Penelope. Il direttore Michele Pasotti ha condotto con sobrietà e sicurezza l’Orchestra La Fonte Musica.

 

IL RITORNO DI ULISSE IN PATRIA
tragedia di lieto fine in un prologo e tre atti (realizzata in 2 parti)

libretto di Giacomo Badoaro
musica di Claudio Monteverdi
prima rappresentazione Teatro Santi Giovanni e Paolo, Venezia, 1640

Interpreti:
Ulisse Mauro Borgioni
Penelope Margherita Sala
Telemaco Jacob Lawrence
Il Tempo/Nettuno Luigi De Donato
Amore/Giunone Giulia Bolcato
La Fortuna Cristina Fanelli
Minerva Arianna Vendittelli
Giove Valentino Buzza
L’humana Fragilità Chiara Osella
Eumete Francisco Fernández-Rueda
Eurimaco Alberto Allegrezza
Melanto Alena Dantcheva
Iro Davide Livermore
Pisandro Arnaud Gluck
Anfinomo Roberto Rilievi
Antinoo Matteo Bellotto
Ericlea Chiara Brunello

Maestro concertatore e direttore Michele Pasotti
Regia Davide Livermore
Scene Eleonora Peronetti, D-WOK
Costumi Anna Verde
Light designer Antonio Castro
Assistente regia Chiara Osella
Assistente costumi Francesca Sartorio
Orchestra La Fonte Musica

Nuovo allestimento
Produzione Monteverdi Festival, Fondazione Teatro Ponchielli

Monteverdi Festival
Teatro Ponchielli di Cremona | 13 giugno 2025