RENZO FRANCABANDERA | Raccontare Fabbrica Europa agli appassionati di danza significa trasmettere un certo senso di avventura: qui si può incontrare la danza non come disciplina chiusa, ma come territorio aperto, capace di dialogare con la musica, con la tecnologia, con le domande del presente. Significa, quindi, ricordare che il corpo, quando danza, non è solo strumento tecnico, ma luogo di pensiero, di relazione, di memoria. Firenze, per un mese, diventa un laboratorio dove questo pensiero prende forma davanti agli occhi e dentro i sensi di chi guarda.
Le giornate di fine settembre portano una luce che sembra disegnare i contorni della città, ma anche, da oltre 30 anni, un’altra vibrazione, fatta di suoni, gesti e presenze che trasformano spazi familiari in luoghi inattesi, quelli di un festival che, con la direzione artistica affidata a Maurizia Settembri e Maurizio Busia, è capace di intrecciare danza, musica, teatro e performance in un dialogo costante con l’architettura e con il pubblico.
Dal 13 settembre al 12 ottobre più di 70 appuntamenti, distribuiti in 11 spazi diversi, portano a Firenze oltre 130 artisti provenienti da una decina di Paesi. Non si tratta di una semplice rassegna di spettacoli, ma di un tessuto vivo che collega linguaggi e culture, invitando a sperimentare. Le sale teatrali si aggiungono a cortili, chiostri, luoghi industriali riconvertiti, aree urbane che diventano scenari di ricerca. La città stessa diventa coreografia: ogni angolo può ospitare un incontro, un’azione, un suono inatteso.
Questa impostazione è il cuore di Fabbrica Europa. Non ci si limita a osservare: si è chiamati a partecipare, a percorrere i luoghi con il corpo e con lo sguardo, a lasciarsi sorprendere da forme che nascono dall’incontro tra discipline. È un invito che parla con forza anche ai giovani che amano la danza, perché qui il movimento non è solo spettacolo, ma strumento per interrogare il presente, per dare forma a domande che riguardano tutti.
La giornata di domenica 28 settembre ha offerto un esempio chiaro di questa filosofia. Alle ore 19, al Teatro Cantiere Florida, è andato in scena La terra non può fare a meno del cielo, una creazione della Compagnia Xe che porta la firma di Julie Ann Anzilotti. Il titolo già suggerisce una tensione: la terra, con il suo peso, la sua concretezza, e il cielo, con la sua spinta verso l’alto, l’anelito a qualcosa che supera il visibile. La coreografia esplora questo dialogo, trasformando il corpo in un ponte tra gravità e aspirazione all’alto.

I danzatori costruiscono e disgregano forme che sembrano cercare un equilibrio impossibile, alternando sospensioni e cadute, come se il gesto potesse farsi linguaggio di un desiderio più grande. Il tema del radicamento che reca in sé anche l’anelito alla leggerezza è simboleggiato dall’unico elemento scenico ulteriore rispetto al corpo dei danzatori: una grande ramificazione radicale sospesa al centro della scena, posta ad un’altezza di circa 3 metri dal pavimento del palco. I tre performer cercheranno ad un certo punto di spiccare salti per arrivare a toccare questo elemento della terra che invece si trova sospeso, quasi a sovvertire le leggi di gravità. 
Il lavoro è un’occasione preziosa per vedere come il movimento può diventare pensiero, come il corpo può raccontare la relazione tra materia e trascendenza. È stato preceduto, sabato 27, dalla presentazione del libro Una danza di poesia. La ricerca di Julie Ann Anzilotti con la Compagnia Xe, scritto da Antonio Calbi, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, ed edito da La Casa Usher nella collana Storie dal teatro; un incontro durante il quale sono intervenuti la stessa coreografa e direttrice artistica della Compagnia Xe e Vittorio Giudici, editore.
Il libro documenta tre decenni e più. Nel 1991 Anzilotti fonda la Compagnia Xe con la quale persegue ancora oggi una ricerca di un “teatro di danza e di poesia”, dove sia il gesto che l’azione coreografica concorrono a creare un linguaggio peculiare capace di sfiorare l’invisibile. Gli spettacoli si distinguono per l’originale indagine sulla relazione fra spazio, parola, teatro, danza, performance, musica, e per i temi che sceglie di indagare volta per volta: dal femminile al sacro, dalla relazione con l’altro alla memoria.
Dopo questo momento dedicato al gesto, la serata prosegue alle 21 al PARC – Performing Arts Research Centre con Notes on the Memory of Notes, un concerto che porta in scena un incontro inedito fra il sassofonista belga Fabrizio Cassol, la violoncellista Adèle Viret e il compositore elettronico Lorenzo Bianchi Hoesch.
Cassol, noto per le sue esplorazioni tra jazz, musica africana e tradizioni extra-occidentali, intreccia il suo suono con quello meditativo e intimo di Viret, mentre Bianchi Hoesch costruisce paesaggi elettronici che trasformano continuamente l’ascolto.
La curiosità per questo ensemble atipico è stata, per chi scrive, piuttosto forte perché due delle figure che lo compongono, Fabrizio Cassol e Lorenzo Bianchi Hoesch, sono state coinvolte in importanti collaborazioni in ambito teatrale. Il primo, in particolare, è stato storico sodale di AMP Latella nella compagnia C de la B, con cui ha avuto successi mondiali. La capacità di Cassol di navigare fra differenti sonorità ha contribuito a dare ai lavori di Platel un’atmosfera unica e originale, sicuramente fra gli ingredienti che ne hanno sancito il successo mondiale unito a un gesto sincopato e che accoglieva dentro i ritmi frenetici, la disarmonia, l’errore, lo spazio del fragile. Lo stesso vale, anche se con esperienze non così di lunga durata, per Bianchi Hoesch che, ad esempio, abbiamo visto coinvolto in una recente creazione di MK con l’esecuzione di sonorità digitali dal vivo.
La curiosità non è stata delusa: il gioco compositivo si sviluppa in sovrapposizioni, sincroniche fra il violoncello distonico di Adèle Viret e il sassofono di Cassol che poi virano ciascuno per sé dentro ambienti più complessi; la mano unificante del sostrato digitale composto ed eseguito dal vivo da Bianchi Hoesh trasferisce il tutto non dentro un esotismo da sogno, ma dentro uno spazio della cultura mediterranea problematico, a tratti oscuro, dove pare quasi di sentire il rumore del conflitto. Il prodotto musicale è estremamente sofisticato, molto coerente dal punto di vista armonico, ma anche disarmonico, come a tratti volutamente i musicisti intendono voler fare.
La composizione si trasferisce ritmicamente in Nordafrica ma resta vicina alle complessità del reale del mondo occidentale, muovendosi dentro uno spazio jazzistico tutt’altro che tradizionale, che guarda alla composizione classica della seconda metà del Novecento con grande profondità. Si tratta di un ascolto denso che arriva a toccare corde intime nello spettatore, a tratti anche volutamente dolorose. È una composizione che non cerca mediazioni o indulgenze con l’ascolto, restando piacevolmente perturbante, non tranquillizzante.
Qui la musica non accompagna, ma diventa esperienza fisica, capace di far percepire il suono come materia che si espande nello spazio La composizione digitale appare visibile, con le mani del musicista italiano che creano e scolpiscono il suono in diretta: non solo tastiere elettroniche e manopole ma anche un gesto che dal vivo irrompe, creando un ambiente di grande intensità emotiva. È una ricerca sulla memoria delle note, sul loro potere di evocare e trasformare, che dialoga idealmente con la tensione tra terra e cielo richiamata dallo spettacolo precedente.
E così, quasi resta un legame fra le due occorrenze, pur diverse, fruite a distanza di poche ore: da un lato la danza che cerca un’elevazione, dall’altro il suono che scava nella memoria e nella drammaticità del presente per rielaborarla. Un percorso che attraversa corpo e ascolto, invitando a percepire la continuità tra gesto e vibrazione. Lo spettatore è in un flusso che però chiede attenzione, curiosità, disponibilità a indagare e a indagarsi.
LA TERRA NON PUÒ FARE A MENO DEL CIELO
coreografia Julie Ann Anzilotti
assistente coreografia Giulia Ciani
danzatori Paola Bedoni, Federico Macchi, Luciano Nuzzolese
scena Tiziana Draghi
costumi Loretta Mugnai
luci Francesco Margarolo
suono Jeremy Di Sano
organizzazione Lorenzo Alla
produzione Compagnia Xe
con il supporto di Ministero della Cultura, Regione Toscana, Comune di San Casciano in Val di Pesa, Fondazione Toscana Spettacolo Onlus
con il contributo di Fondazione CR Firenze
NOTES ON THE MEMORY OF NOTES
con Fabrizio Cassol, Adèle Viret, Lorenzo Bianchi Hoesch
produzione esecutiva GMEM – Centre national de création musicale, Marsiglia
coproduzione Ornithology Productions
supporto Sacem, Fondation Camargo
28 settembre 2025 | Firenze





