ELENA SCOLARI | La famiglia. Ah, la famiglia! Croce e delizia di tutti, è un alveo in cui si consumano, da sempre, confronti e scontri in letteratura, al cinema e in teatro. E che dire della coppia? Altrettanto foriera di attimi celestiali come di battaglie acerrime.
In questa terza edizione di Colpi di scena – Sguardo nel contemporaneo, la vetrina organizzata nei teatri di Forlì da Accademia Perduta/Romagna Teatri e Ater Fondazione (qui la prima puntata del resoconto di PAC), abbiamo incontrato diverse visioni incentrate sulle relazioni, parentali, coniugali o di natura collaterale a queste. Se dovessimo cercare un filo tra gli spettacoli che illustreremo potrebbe essere la difficoltà di segnare la propria identità (altro tema che ritorna) personale nell’ambito di un nucleo collettivo dal quale non si può prescindere per affermare se stessi. Una forma di particolare dentro l’universale.

Il nostro safari teatrale comincia da una famiglia singolare, caratterizzata da un’assenza. Misurare il salto delle rane di Carrozzeria Orfeo mette in scena una zia sempre immusonita (Elsa Bossi, ferita nell’animo e perciò indurita) e la nipote energica e un po’ tarda (Chiara Stoppa, irresistibile nella sua adulta monelleria) che sopravvivono a una morte: la figlia della prima e al contempo migliore amica della seconda è annegata vent’anni fa. La madre ha messo su una scorza coriacea, fa lunghe passeggiate e osserva cechovianamente il lago, in silenzio. La nipote si occupa in strane attività come fare l’allenatrice di rane per una gara di salto: la sua Froggy aspira al primato.

La scena mostra la casa, che pare un rustico cottage americano, di quelli isolati nel Vermont, immersi nel bosco e dove si annusa sempre qualche disgrazia, passata o futura. Arriva una terza incomoda (Marina Occhionero, limitata da un ruolo sfumato): non è mai chiaro chi sia effettivamente questa giovane donna che, per un accidente abbastanza incredibile, viene raggiunta da un messaggio in bottiglia scritto dalla ragazza appena prima di morire. La madre non ne vuole sapere, la nipote non si fa tante domande e allaccia un’amicizia adolescenziale, la sconosciuta si ostina a non levarsi di torno.
Il mistero aleggia costantemente ma non riesce a diventare un giallo; l’ironia che affiora nel testo non arriva a essere commedia; il terzo polo interpretato da Occhionero è ambiguo, sembra sempre sentirsi fuori luogo, intreccia una sua questione personale con il marito che sente per telefono, poco interessante (sia il marito sia la questione in sè), aggiungendo un piano narrativo non compiuto e di cui non si legge chiaramente il senso.
Carrozzeria sta allontanandosi dalla cifra di commedia spinta con ritmi vorticosi e humour super pop che ha a lungo caratterizzato il gruppo, c’è un maggior respiro e un modo più profondo di plasmare le personalità dei personaggi, scavando con un’attenzione più matura nelle psicologie. In questo nuovo equilibrio c’è bisogno di calibrare meglio la densità dei temi e delle figure in scena in rapporto alla pulizia drammaturgica, per trovare il sentiero secondario ma originale dove scartare e non annegare.

Il Gruppo della Creta in Scatenare incendi costruisce invece un’architettura familiare esaminata “dal retro”: l’ambiente casalingo è infatti mostrato come fossimo nel retropalco, vediamo la parte grezza della scenografia. C’è una bambina piccola, i genitori, la nonna, gli zii. La piccola compie gli anni, mamma e papà vengono convinti a prendersi qualche giorno di vacanza lasciando la creatura alla sorella della madre. Sono tragicamente sfortunati e la loro figlia muore nel sonno mentre sono lontani, senza colpa alcuna della zia. Un disastro che farà precipitare tutti i rapporti, come è stancamente ovvio. Meno ovvio è il frequente richiamo dei personaggi alle ‘puntate precedenti e successive’, il che fa intuire che non è finita qui, ci saranno altri episodi e lo schermo/casa si riaprirà sullo squarcio emotivo. L’idea di mostrare la scena dal lato di servizio non è banale, è un modo per farci capire che stiamo vedendo qualcosa di ri-costruito, di mediato, anche dal nostro stesso sguardo su questo interno familiare saturo di nevrosi e idiosincrasie. C’è uno sviluppo dei personaggi, la scrittura e la regia di Pier Lorenzo Pisano e Alessandro Di Murro li presentano e li fanno crescere, intorno al fattaccio. Peccato che abbiano perso l’uso dei congiuntivi e peccato che, senza motivo, si inerpichino in monologhi al microfono, pretenziosi e superflui.

Ph. Francesco Bondi

Tutto metaforico è invece l’apparato di La fame – La parabola dell’uomo che fece tutto per amore di Les Moustaches (in prima nazionale), ed eccoci alla coppia: Sacrestano e Virtuosa sono una versione di Adamo ed Eva attanagliati dalla fame, lei è virtuosa solo di nome e, fingendo una gravidanza, convince l’uomo in tutina bianca a procurarle cibo per anni, la bambina nella sua pancia non nasce mai ma la fame non ha sosta: la gigantessa arriverà a cibarsi di alberi, di edifici, di città, fino a volersi mangiare la luna.
Una super parabola (di Alberto Fumagalli, in scena con Chiara Liotta, bravi entrambi) sull’ingordigia, sull’antinomia buono/cattivo, sull’eterna ricerca che non trova mai, puntando sempre più in alto fino a perdere di vista l’oggetto della ricerca, nello smarrimento di sè e nella riaffermazione dell’amore motore del mondo. Un’idea raffinata nella sua cruda veste di favola, anzi di favolaccia. Apprezzabile anche lo sforzo linguistico ricercato, sebbene un poco insistito, perché coerente con un colore allusivo e totalmente simbolico del lavoro.

Da un capolavoro della letteratura prende infine le mosse Bovary di MTM Manifatture Teatrali Milanesi. E non è un male. Stefano Cordella e la drammaturga Elena C. Patacchini riscrivono lo splendido e disperato romanzo di Flaubert tratteggiando Emma come una donna di oggi (superiamo la diffidenza per le attualizzazioni, suvvia), alle prese con l’insoddisfazione senza tempo di una persona che anela un luccichìo irraggiungibile, sacrificando chi le sta accanto.

ph. Laila Pozzo

Anahì Traversi è nervosa, d’animo mutevole, il suo umore e il suo attaccamento al marito, ordinario e mediocre ma sincero, vanno su e giù senza pietà; questa Emma è una scrittrice e non stupisce che sia scontenta del suo lavoro.
Il marito è condiscendente, amorevole, paziente, pingue, prevedibile. Pietro De Pascalis è bravo a contenere sempre timore, sospetto, tristezza e incapacità di dare a Emma quello che vorrebbe, in un involucro morbido; tiene un’espressione in cui si legge un fastidio solo accennato (tanto è sbandierato quello della moglie) e la coscienza di non saper arrivare a toccare quel punto che accende la donna.
Si sussulta un po’ nel momento in cui sentiamo che il turbine riempitivo che “frulla”la vita di Madame è fatto di pilates e altre “experiences” odierne, lo confessiamo, ma questo stridore è ripagato da una chiusa asciutta e drammatica che non sveliamo ma che restituisce tutta la complessità di un personaggio femminile spregiudicato e intramontabile.
La protagonista lascerà lo spettacolo vestita con un abito d’epoca, scuro, una bella intuizione registica che sembra suggerire il ritorno dell’anti-eroina alla sua origine primaria, quella del romanzo, nel momento in cui capisce senza più dubbi che il suo inappagamento è senza soluzione.
In fondo qual è la colpa di Emma Bovary? Voleva solo essere felice.

Chiudiamo il reportage citando ancora due spettacoli: Circo Paradiso di Teatro De Gli Incamminati/Teatro Metastasio di Prato, la storia poetica e melanconica di due ex trapezisti che concorrono – idealmente – all’assegnazione del premio Trapezio d’oro e raccontano la loro vita sotto il tendone e il loro volteggiare sopra a lanciatori di coltelli e cartomanti.

ph. Tommaso Le Pera

L’immaginario circense ha sempre un suo appeal, proprio perché ha un che di girovago e fiabesco, questi caratteri però non si amalgamano armoniosamente con il sapore disneyano deluxe delle (tante) canzoni che intervallano il dipanarsi dei ricordi.
Di tutti i volti dimenticati di Masque Teatro è, a nostro avviso, la rappresentazione di un sofferto tentativo di evoluzione che non raggiunge mai la luce. La performance di Eleonora Sedioli è cupamente (e volutamente) ripetitiva, il suo corpo è fatto di segmenti che sembrano disarticolati nello sforzo di raggiungere una bottiglia sul tavolo, come in Voodoo in cui non arrivava mai all’albero sul lato della scena in un continuo cadere e rialzarsi; qui amplifica la scomposizione del movimento in un ambiente chiuso, chiedendo aiuto per uscirne.

I festival mostrano l’ago magnetico della scena: in tutti i modi e stili qui riportati, l’impressione è che il teatro visto a Forlì stia cercando di spiegarsi dove andare, costruisce nuove bussole per trovare un nuovo nord.

 

MISURARE IL SALTO DELLE RANE

drammaturgia Gabriele Di Luca
regia Gabriele Di Luca e Massimiliano Setti
con Elsa Bossi, Marina Occhionero e Chiara Stoppa
assistente alla regia Matteo Berardinelli
musiche originali Massimiliano Setti
scene Enzo Mologni
costumi Elisabetta Zinelli
direzione tecnica e luci Silvia Laureti – macchinista Cecilia Sacchi
realizzazione scene Atelier Scenografia Fondazione Teatro Due
realizzazione costumi Atelier Sartoria Fondazione Teatro Due
produzione Fondazione Teatro Due, Accademia Perduta/Romagna Teatri, Teatro Stabile d’Abruzzo, Teatri di Bari e Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival in collaborazione con Asti Teatro 47

SCATENARE INCENDI
una saga familiare di Gruppo della Creta e Pier Lorenzo Pisano

testo di Pier Lorenzo Pisano
regia di Pier Lorenzo Pisano e Alessandro Di Murro
con Laura Pannia, Federica Dordei, Daniela Giovanetti, Alessio Esposito,
Matteo Baronchelli, Amedeo Monda
scenografie Paola Castrignanò
luci Matteo Ziglio
costumi Raffaella Toni
musiche Amedeo Monda
team di drammaturghi Giulio Fabroni, Veronica Penserini, Lorenzo Fochesato,
Valeria Chimenti, Rebecca Righetti
organizzazione Ludovica Santuccio
produzione Gruppo della Creta e Pallaksch con il sostegno del Ministero della Cultura e dalla Regione Lazio

LA FAME – Prima Nazionale
La parabola dell’uomo che fece tutto per amore

di Alberto Fumagalli
con Chiara Liotta e Alberto Fumagalli
regia Ludovica D’Auria e Alberto Fumagalli
costumi Giulio Morini
scene e responsabile tecnico Davide Moriggi
luci Giulia Bandera
assistente alla regia Tommaso Ferrero
responsabile organizzativo Pietro Morbelli
produzione Les Moustaches e Accademia Perduta/Romagna Teatri
con il sostegno di Toscana Terra Accogliente, Rat, Fondazione Toscana Spettacolo, Teatro Metastasio, Catalyst, Murmuris, Archetipo, Teatro popolare d’arte

BOVARY – Prima Nazionale

da Madame Bovary di Gustave Flaubert
ideazione e regia Stefano Cordella
drammaturgia Elena C. Patacchini
con Anahì Traversi e Pietro De Pascalis
scene Marco Muzzolon
costumi Giulia Giovanelli
disegno luci Fulvio Melli
progetto sonoro Gianluca Agostini
assistente alla regia Marica Pace
delegata di produzione Susanna Russo

Colpi di scena, Forlì | 22-24 settembre 2025