MARIA FRANCESCA SACCO | Il Fringe Off Festival di Milano si conferma come il fedele traghettatore di stagioni, capace di accompagnarci non solo nel cambio d’aria autunnale, ma anche nel rinnovamento del panorama teatrale. Quest’edizione infatti, diretta dallo storico duo di direttori artistici che ha portato in Italia il Fringe come modo di proporre spettacolarità, ovvero Francesca Romana Vitale e Renato Lombardo, apre le porte a un caleidoscopio di proposte non solo italiane, ma anche internazionali, tessendo un sottile filo di connessione con i Fringe di Denver, Avignone, Praga e Tessaloniki.
Un invito a esplorare mondi teatrali lontani senza mai lasciare il cuore di Milano e, anzi, vivendolo appieno tra gli spettacoli dislocati in giro per la città.
La varietà diventa così il vero biglietto da visita di questa edizione che mira a coinvolgere un pubblico eterogeneo, grazie a una proposta poliedrica che spazia dalla clownerie alla stand-up comedy, passando per il teatro di narrazione.
Ecco la nostra riflessione su un paio di proposte che abbiamo visto nella prima settimana di festival.

Stria, spettacolo scritto e interpretato da Claudia Donadoni con la regia di Sergio Stefini e la collaborazione di Marco Baliani, trae la sua drammatica forza da una storia reale e da un lavoro documentario non indifferente. Si inserisce, infatti, in un tessuto storico più ampio di caccia alle streghe avvenute in Italia nel Cinquecento, come quelle di Val Camonica e Triora, dove molte donne furono ingiustamente accusate, torturate e condannate.
Donadoni è infatti Rusina de Cilla, contadina del ‘500 condannata al rogo perché ritenuta una vera strega: si presenta su una minuscola scena a La casa del Meneghino, una stanzetta in cui gli spettatori che possono entrarvi saranno al massimo una ventina. Non è un dettaglio da poco, perché assistere a una condanna al rogo in un ambiente così claustrofobico ha un impatto emotivo potentissimo, tanto da coinvolgere il pubblico in modo profondo e da farlo sentire corresponsabile, non solo semplice spettatore. In questo modo, la vicenda di Rusina si trasforma in un monito universale contro la persecuzione e l’intolleranza, temi che ancora oggi risuonano fortemente nella nostra società.
La narrazione si sviluppa sulla scia dolorosa di una serie di flashback e la struttura a ringkomposition armonizza e mette in luce una drammaturgia ben solida e articolata, capace di intrecciare parole e musica, dialetto e italiano. La protagonista appare già in scena condannata, con le mani legate e in procinto di essere bruciata viva, l’epilogo è già segnato, e l’assenza di scampo è chiara fin dall’inizio. La storia di Rusina è quella di essere colpevole di stregoneria per essere esperta di piante, come richiamano i suoi abiti sporchi di terra, ed avere i capelli rossi. La minuscola scena, colorata d’autunno come quella fuori dal teatro, è colma di foglie secche e un tronco sul quale avverrà poi l’esecuzione. Le luci rossastre, richiamano il fuoco, anch’esso protagonista della performance.


La narrazione si dipana in un dialetto che si intreccia, stridendo, con l’italiano forbito dell’inquisizione che accusa ingiustamente Rusina e con momenti in cui si descrivono i fatti, come ad esempio i dettagli del fuoco che sale velocemente carbonizzandola a partire dai capelli e il rimando dell’odore che se ne sprigiona. Questa stratificazione linguistica dona dinamicità al monologo della performance e permette all’attrice di esaltare le sue capacità tecniche: mentre il dialetto sollecita l’emotività (ad esempio nei tentativi di difendersi della tremante protagonista), la parte in italiano, più ritmica e solida, diventa portavoce della verità che la condannerà. La dinamicità e il ritmo sono ulteriormente valorizzati dalla presenza della fisarmonica (Giovanni Bataloni) che accompagna l’atrocità di cui tutti siamo testimoni: lo spazio troppo piccolo, tuttavia, certe volte impedisce la dispersione del suono che sovrasta la voce dell’attrice.
Stria si fa domanda sospesa tra ciò che fu e ciò che resta ancora oggi nelle nostre paure collettive, perché ciò che Claudia Donadoni consegna al pubblico non è solo la memoria dolente di una vicenda storica, ma un invito a misurarsi con le ombre che abitano ancora la nostra società, tra intolleranza e bisogno di giustizia.

Il secondo spettacolo è di tutt’altro genere pur avendo anch’esso come protagoniste delle donne: E ci vogliamo (proprio) bene de Le Amiche di Prisca, collettivo teatrale che prende il nome dal testo di Bianca Pitzorno Ascolta il mio cuore.
Quattro donne, Claudia Bianchi, Francesca Currò, Deborah de Silvi e Clara Pruneddu, si alternano sulla scena con quattro monologhi, ognuno dei quali racconta un episodio in cui emerge una fragilità personale che decidono di condividere con il pubblico e con il mondo. Una sorta di confessione aperta che si conclude con l’invito ad amarsi così come si è.
Questi quattro brevi monologhi, alcuni divertenti altri più drammatici, risultano però piuttosto scollegati tra loro, uniti solo dal tema delle fragilità che in un caso sono i denti storti, nell’altro gli alluci valghi, in un altro la sindrome dell’impostore e l’ansia.


La performance si apre con le quattro protagoniste vestite con colorate vestaglie che ostentano inizialmente sicumera, subito disintegrata dalla consapevolezza delle proprie imperfezioni estetiche, ragnatele di rughe, braccia poco toniche, gambe robuste, scollature inaccettabili. Da qui prende avvio una sorta di rivalsa: abbandonano quei panni tristi e quei musi lunghi, per assumere il ruolo di protagoniste della propria vita, attraverso le condivisioni delle proprie insicurezze. Questo inizio esplosivo accompagnato da musiche pop, induce nel pubblico l’aspettativa di un approfondimento critico sul tema della bellezza femminile e degli stereotipi sociali che la circondano. Tuttavia, i monologhi successivi sembrano piuttosto raccolte di episodi personali, siparietti che, pur a tratti divertenti, non riescono sempre a centrare un messaggio chiaro e incisivo. Il tema del volersi bene è sottolineato, ma la modalità rimane spesso generica e manca di un percorso narrativo e riflessivo più compiuto. Dunque, forse sarebbe ideale creare più coesione tra i monologhi, con un fil rouge più evidente e strutturato, oltre che una maggiore profondità di introspezione, per trasformare le fragilità condivise in un dialogo teatrale più organico e incisivo, nel quale anche gli spettatori possano sentirsi coinvolti per poi tornarsene a casa con una riflessione in più.
Ciò non toglie che lo spettacolo risulti, nel complesso, piacevole grazie alla bravura e complicità delle attrici che dimostrano comunque sintonia sia nei momenti più divertenti che in quelli più seriosi. Molto interessante, inoltre, l’attenzione ai dettagli e agli oggetti scenici come l’uso versatile di una sciarpa o le manette a simboleggiare una prigionia mentale e i movimenti sulla scena, sempre ben studiati e coordinati.

Il finale è corale: le protagoniste si spogliano dei loro eleganti vestiti neri celebrando la libertà e l’accettazione delle imperfezioni, tranne quella afflitta dalla sindrome dell’impostore che sceglie invece di restare vestita. Questa scelta, sospesa nel buio della fine, appare inizialmente divertente ma lascia nel pubblico un senso di ambiguità: se per tutto il tempo il tono è stato leggero e il messaggio centrato sull’accettazione, un finale così simbolico e carico di contrasti richiederebbe un approfondimento o una spiegazione più chiara per essere pienamente efficace. Altrimenti rischia di sembrare un’incongruenza che lascia più dubbi che riflessioni, senza sciogliere il dubbio se la resistenza finale sia un gesto di rifiuto, paura, o consapevolezza, e quale sia il vero messaggio dell’opera riguardo alla complessità dell’accettazione di sé.

 

STRIA

 di Claudia Donadoni
Regia Sergio Stefini con supervisione Marco Baliani
Interpreti Claudia Donadoni
Luci Massimo Barili
Musiche Giovanni Bataloni
Costumi Francesca Piotti
Produzione TDATeatro con il contributo di Fo.Co.Va e ALEVI
 
E CI VOGLIAMO (PROPRIO) BENE
 
Autore Claudia Bianchi, Francesca Currò, Deborah De Silvi, Clara Pruneddu
Regia Le amiche di Prisca
Interpreti Claudia Bianchi, Francesca Currò, Deborah De Silvi, Clara Pruneddu
Luci Deborah De Silvi
Costumi Claudia Bianchi
Produzione Le amiche di Prisca
 

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