ESTER FORMATO | É da sette edizioni che Milano Off vivacizza l’autunno meneghino, aprendo al pubblico luoghi inconsueti e non convenzionali dove ospita i molti spettacoli inseriti nel cartellone, in coerenza con la visione del teatro diffuso in cui la quarta parete si assottiglia notevolmente; centri di yoga, atelier, teatri parrocchiali, piccolissimi spazi underground costituiscono una mappa nascosta dell’ambiente urbano, generando incontri diretti fra artisti e spettatori i quali, a loro volta, possono esprimere online il loro diretto parere su quanto visto.
Inoltre, Milano Off si conferma vetrina internazionale dove è possibile assistere a spettacoli in lingua di produzione straniera, sulla falsariga dei grandi festival europei ai quali, si spera, possa allinearsi di anno in anno.
Doppio è il piacere di assistere al Fringe se si pensa che grazie ad esso ci è possibile stanare luoghi interessanti della città che altrimenti sarebbe poco probabile scoprire, e poi, se si guarda a quanto divenga così accessibile il sottobosco artistico contemporaneo che sarebbe difficilissimo da intercettare in altro modo, vista la difficoltà di far circuitare piccolissime produzioni, specie se qualitativamente ancora in erba o non particolarmente nutrite dal punto di vista artistico. D’altra parte, per gli artisti è possibile avere dei feedback, sperimentare il proprio prodotto, incontrare l’opinione dei pubblico sia in maniera informale che in modo più formalizzato tramite la piattaforma online ufficiale del festival.
La pluralità di generi e linguaggi è abbastanza estesa, e non manca chi al testo autoprodotto preferisce portarne in scena uno conosciuto, costruendoci ad ogni modo una performance, come ad esempio è stato per Tri Cunti con Graziella Spadafora che mette in fila tre piccole opere pirandelliane L’uomo dal fiore in bocca, la Patente, la Giara. La messa in scena curata da Max Mazzotta sembra scegliere deliberatamente dei testi in cui vi sono presenti più personaggi, facendo convergere l’attenzione sulla polifonia dell’attrice che dà un ritmo serrato alla performance, costruendo un vero gioco delle parti.
Lo spettacolo è una sorta di pirandelliano one-man-show privo di sbavature, asciutto e compatto, fedele al ritmo teatrale della parola dello scrittore siciliano, persuasivo nella narrazione. Sul piano visivo Graziella Spadafora punta all’abilità di trasformista per entrare ed uscire dai vari personaggi in maniera armonica, ponendo in primo piano la natura paradossale e umoristica delle vicende raccontate.

Sempre all’interno dell’aula magna dell’istituto Bazzi è andato in scena Marta, tra le stelle scritto e interpretato da Margherita Frisone, diretto da Alessandra Borgosano e prodotto da Perle di vetro. Lo spettacolo privilegia i toni da stand-up comedy, calandoli in un vero e proprio monologo in cui la protagonista, sognatrice, irriducibile alle fatiche e alle disillusioni della realtà, compare sulla scena nell’atto di recitare il ruolo da diva di Hollywood. Fra le mani ha uno spazzolino elettrico e addosso ha uno strano pigiama spaiato, ma il suo riflesso in un probabile specchio da bagno la trasferisce mentalmente sul palcoscenico degli Oscar. Lo spazzolino diventa la preziosa statuetta, Jake Gyllenhaal è il suo uomo, Meryl Streep addirittura sua amante, e Scorsese suo Pigmalione. Ovviamente no. Marta è ancora una volta (non) fra le stelle, ma fra le nuvole!
Ma quando le luci viola e rosa si spengono, lasciando spazio alla fioca luce naturale, scopriamo che la giovane è alle prese con la severa precarietà dell’esistenza. Sogna di fare l’attrice, e studia per questo, ma per sopravvivere sta aspettando che su Skype si colleghi il gestore di un call center per farsi ingaggiare in un noiosissimo e pesantissimo part-time (che in realtà è un full-time). Così, dopo aver liquidato al telefono sua nonna che la vorrebbe impiegata nelle poste, Marta intraprende, immersa nel caos della sua stanza, l’assurdo colloquio di lavoro, perno di tutto quanto il testo che si srotola con una scrittura vivace e accattivante, caratterizzata dal continuo rimpallo fra realtà e immaginazione, fra come si è e come si vorrebbe essere. Marta è sempre e comunque sopra le righe, non smette mai di immaginare come sarebbe la sua vita se il richiamo alla praticità e alla mediocrità delle sfide quotidiane non insorgesse fra le fessure della sua mente trasognante. Per questo, la breve pièce appare quasi un atto di onestà intellettuale, di resistenza e di sfida allo squallore imposto dalla realtà che s’incarna in un fantomatico interlocutore via Skype.

Tuttavia, quanto è importante avere un motivo per alzarsi dal letto e ancorarsi alla scolorita quotidianità? Avere un appiglio per non annegare nell’inconsistenza dei suoi pensieri diviene d’un colpo la speranza sulla quale convogliano i suoi desideri. Marta che durante il paradossale colloquio dovrà affrontare in realtà se stessa, si troverà a mettere in sesto una marea di pezzi infranti e confusi della sua anima. Fra rimandi a voci amiche, riverberi delle sue mancanze, fra ricordi raccolti in manciate di frammenti nelle pieghe del testo, Marta riesce a fatica a vedersi tutta intera quando invece è vulnerabile ed insicura, non abbastanza per il mondo in cui è chiamata a convivere. Ma solo accettando le nostre fragilità possiamo ripartire; Marta lo sa, e magari chissà, riuscirà guadagnarsi un pezzettino di vita anche lei.
Di tutt’altro tono è, invece, ED – RECOVERY scritto ed interpretato da Lia Locatelli, e con Caterina Rossi per la parte coreografica. Lo spettacolo, prodotto da M.Art.E., è il frutto di un percorso fatto all’interno dei reparti in cui vengono curati bambini e adolescenti affetti da disturbi dell’alimentazione. Chiamarli così non rende affatto l’idea, rispetto a quanto l’attrice è riuscita a cogliere nelle difficilissime e giovanissime vite che ha costeggiato, ponendosi in ascolto e, soprattutto, prestando loro una voce. Il testo prende ispirazione dalle esperienze vissute da chi è in cura nei reparti e che confluiscono in un’unica storia, frutto di una profonda riflessione avvenuta durante il percorso di conoscenza. Denominatore comune è lo stesso dolore che si conficca nella profondità dell’anima e delle viscere, ed edifica per loro un tunnel da cui è difficilissimo uscire. Lia Locatelli ha una scrittura affilata, precisa, granitica; non ci risparmia le terribili tappe che è costretto a vivere chi affetto di patologie legate all’alimentazione, il cui spettro è sorprendentemente ampio e ha una ricaduta devastante non solo sugli adolescenti, ma anche sui bambini.
Non è una mera vulnerabilità ciò che racconta ED – RECOVERY, ma è l’anatomia di una discesa verso un dolore che devasta la mente e che degrada il corpo, ed è per questo motivo che il testo della Locatelli è prezioso, quanto più è diretto e talvolta disturbante.

A coadiuvare la narrazione – l’uso del microfono e l’ausilio video ne amplificano la drammaticità – il contributo performativo di Caterina Rossi, un corpo in caduta attraverso il quale leggere la fatica concreta dello stare al mondo, la voglia di scomparire, di punire e vilipendere non solo la propria fisicità, ma anche tutta la fisiologia che tiene in vita. Il flusso di pensieri ben saldato attraverso la scansione degli step della malattia, ha il profilo di una catabasi che ci porta al gradino molto basso di quella che è una volontà di autodegradazione dalla quale, a volte, ma ci auguriamo il più delle volte, si risale a poco a poco. Tuttavia, anche la salvezza ha un costo esorbitante, così come lo sono i numeri delle statistiche che compaiono sullo schermo alla fine dello spettacolo, relativi a quante persone sono affette in Italia da queste patologie.
Se la Locatelli ci racconta di un baratro, sempre al Cinema Teatro Wagner in “Altrove” della Compagnia dei Piccoli, spettacolo scritto e diretto da Mattia Cabrini e interpretato da cinque giovanissimi attori, permane un’idea simile, sebbene sotto forma di metafora. In questo altrove proliferano le relazioni fra cinque adolescenti, incatenati ad una dimensione rappresentativa del loro smarrimento. Intrappolati in essa, i protagonisti cercano di costruire di volta in volta dei legami che però non trovano una stabilità, un’identità plausibile.
Dal sesso all’amicizia, dall’essere riconosciuti e confermati all’interno di un gruppo all’essere messi da parte, ogni sussulto emotivo viene colto dalla regia e incarnato dagli interpreti con una patina di inadeguatezza; loro, attanagliati dalla persistente virtualizzazione delle emozioni e delle esperienze, sono schiacciati all’interno di questo simbolico abisso, rappresentativo dello iato con la realtà che molti adolescenti vivono. Seppur privato dall’accesso al mondo, fanno fronte alle contraddizioni imposte dagli adulti nel tentativo di mostrare una nuova visione del mondo che possiedono si, ma che non riescono a comunicare. Frutto di una gestazione creativa che ha coinvolto molti ragazzi incontrati in differenti contesti della città di Cremona, lo spettacolo risulta un po’ frammentario, e risente naturalmente del fatto che si sta mettendo in scena una condizione simbolica, creata ad hoc affinché, come un Grande Fratello, il pubblico osservi questi adolescenti, fino a scoprire chi di loro potrà uscire dal baratro.

È tangibile come “Altrove” tragga ispirazione del lockdown di cinque anni fa, non tanto per aver concepito un ambiente scollato dal mondo, quanto perché è evidente come l’inadeguatezza nel confrontarsi con l’altro sia caratterizzante la condizione che attanaglia i piccoli protagonisti.
Ad Isolacasa Teatro è invece andato in scena “Arpàd” di PignetOff Teatro con Alessio e Andrea Vellotti, su Árpád Weisz, allenatore ungherese attivo in Italia negli anni trenta dello scorso secolo. Padre del calcio moderno, Weisz viene raccontato come figura iconica a partire dalla sua infanzia, quando la sua intelligenza tattica era già vivida nelle partite con i coetanei. Il testo dei Vellotti è molto semplice e lineare, non è propriamente un monologo, ma nella narrazione emergono altre voci allo scopo di dare al pezzo una prospettiva più ampia. Andrea Vellotti pone l’attenzione sul contesto geo-storico della vicenda, cosicché possa accompagnare lo spettatore ad immaginare lo svolgersi di quegli anni così veloci nel repentino inasprirsi della politica nazifascista. Affinché non si riduca il tutto ad un’operazione meramente narrativa, l’artista utilizza tre fogli di ardesia sui quali disegna tre schemi tattici i cui puntini che rappresentano la posizione degli undici giocatori, finiranno per formare, uniti, i nomi della moglie e dei suoi figli, tutti come lui perseguitati e uccisi nei campi di sterminio. Allenatore di Meazza e di altri giocatori, e della squadra del Bologna, Árpád pagò tragicamente la fiducia nella sua carriera che credeva blindasse lui e la sua famiglia dallo scempio nazifascista, ma anche l’aver creduto che la sua seconda patria, l’Italia, non lo tradisse in maniera così terribile.
TRI CUNTI da Luigi Pirandello
con Graziella Spadafora regia di Max Mazzotta produzione Libero Teatro
MARTA, TRA LE STELLE
testo e interpretazione di Margherita Frisone regia Alessandra Borgosano produzione Perle di Vetro
ED – Recovery
testo e regia di Lia Locatelli con Lia Locatelli, Caterina Rossi produzione M.Art.E
ALTROVE
testo e regia di Mattia Cabrini con Maddalena Parma, Francesca Poli, Andrea Sangiovanni, Luca Taino, Ester Tolomini produzione Teatro dei Piccoli
ÁRPÁD
testo di Fabio Rocco Oliva regia e interpretazione di Andrea e Alessio Vellotti produzione PignetOff teatro
Milano, 3, 4 e 5 ottobre 2025




