RENZO FRANCABANDERA | Il suo saluto alla vita precedente, perché davvero impegno di vita è stato, Settimio Pisano lo ha affidato ai social: “A partire da questo mese di ottobre termina ufficialmente la mia collaborazione con Primavera dei Teatri e si chiude così un ciclo di vita. Ho dato tutto, il mio compito si è esaurito, è ora tempo di nuovi impulsi. Venticinque anni incredibili con i miei fratelli e compagni di viaggio Saverio La Ruina e Dario De Luca. Difficile dire altro“.
Qualche giorno prima di questo commiato avevamo però intercettato Settimio per parlare del nuovo progetto a cui destinerà in futuro le sue energie. Pisano, attualmente direttore generale della Fondazione Politeama di Catanzaro, ha infatti lanciato, insieme a Pietro Monteverdi, il progetto IRA – International Institute for Performing Arts, per il quale si occuperà della curatela artistica. Dal 4 al 7 settembre IRA (parola che ha dentro una forza capace di distruzione, visione e creazione) ha portato a Soverato un primo festival di arti performative, con spettacoli nazionali e internazionali. Un modo di presentare al territorio e a tutta la comunità delle arti dal vivo non solo una rassegna ma anche l’idea di un progetto più ampio, di un istituto attivo tutto l’anno che ospiterà spettacoli, residenze, e progetti in dialogo costante con le arti tutte, per unire la Calabria all’Europa.
Abbiamo incontrato e intervistato Settimio.
Come è nato IRA, l’International Institute for Performing Art e quali obiettivi si pone?
IRA nasce nella mia testa alcuni anni fa, dopo un lungo processo di maturazione e di riflessione sul tema del disequilibrio territoriale, partendo da una domanda principale: in un territorio in cui le istituzioni artistiche sono completamente assenti, è possibile immaginare e disegnare una nuova strada? IRA è dunque un incubatore di sperimentazione su nuove possibili forme istituzionali in ambito artistico. È un fragilissimo dispositivo di lavoro su nuovi modelli, con l’ambizione di segnare una via per le istituzioni artistiche del futuro. Se dovessi dare una definizione, direi che IRA è un laboratorio politico sull’immaginazione.
La forma è quella di un Istituto, termine che mi piace molto e che ne restituisce la struttura e lo spirito. Le attività attraversano tutto l’anno e vanno in una direzione principalmente internazionale: residenze, workshop, incontri, programmazione, coproduzioni, networking. La modalità di lavoro è quella del dialogo con artisti e operatori provenienti da varie parti del mondo, coinvolgendoli anche in processi di stanzialità. IRA si pone in questo senso come facilitatore di processi di ricerca e di messa in connessione col territorio.
È possibile dire che dal punto di vista dell’organizzazione e della ideazione, sei una delle figure storiche per le arti performative nella tua macroregione (ma non solo ovviamente). Con te, quindi è possibile parlare di luci e ombre della geografia che così ben conosci.
Ho da poco superato i cinquanta e in Italia sono ancora considerato un curatore emergente. Da qui a “figura storica per le arti performative” è un bel salto! Diciamo che ho speso gran parte della mia vita professionale a fare tentativi in direzione di possibili cambiamenti soprattutto sul mio territorio e che su questo terreno ho maturato una discreta esperienza. Certamente ci sono luci e ombre nella geografia, ma ultimamente mi concentro di più sulle luci e sono convinto che il vuoto che abbiamo intorno è un’enorme opportunità di sperimentazione. La strada che ho deciso di seguire e che mi pare la più sensata è quella di andare dritto al punto: proporre artisti e formati anche molto radicali, forse “difficili”, certamente scomodi per un pubblico non abituato a un certo tipo di proposta. Ma sono spesso questi artisti che attraverso il proprio lavoro cercano di affrontare le questioni dell’oggi da una prospettiva inedita, spiazzante, stimolando nuove riflessioni. D’altra parte mi interessa che questo territorio possa essere attraversato dalle attuali correnti artistiche internazionali e che la sua comunità possa avere le stesse possibilità di visione, di formazione del gusto, di riflessione sulle nuove forme d’arte e di cittadinanza, di partecipazione al dibattito culturale contemporaneo che hanno i nostri concittadini europei.
Per fare questo bisogna dare innanzitutto pieno diritto di cittadinanza a quelle forme d’arte percepite dalla gran parte della popolazione come “off”, dal momento che sono proprio queste che portano in grembo i semi delle istituzioni che verranno. Compito dell’Istituto è appunto affermare come istituzionali forme d’arte considerate di secondo piano. È dire: ecco, sono questi gli artisti del presente, eccole qui le istituzioni.
Proprio considerando questo contesto, a quali domande risponde questo centro e cosa ha di differente rispetto alle iniziative a cui collabori e hai collaborato negli ultimi decenni?
Ci sono ovviamente tante affinità con le iniziative in cui sono stato e continuo a essere impegnato: il lavoro sul territorio, il rapporto con il pubblico, lo sguardo alla scena contemporanea e il sostegno agli artisti emergenti. IRA da questo punto di vista è lo sviluppo di un percorso in direzione multidisciplinare e internazionale, dal momento che si concentra molto anche sulla danza e la performance con una ampia presenza di artisti e operatori stranieri e un’azione di networking molto proiettata sull’estero. Si tratta di riempire un vuoto di offerta su questo versante, in una regione o macroregione in cui la domanda esiste ma ha bisogno di essere stimolata e coltivata. In questo senso, andare dritti al punto vuol dire anche capire immediatamente se esiste una comunità interessata a essere parte di questo percorso e quanto possa crescere.
Dal punto di vista personale, invece a quale tuo bisogno risponde questo impegno nuovo? Quali sono i nuovi stimoli stavi cercando e che pensi di poter soddisfare all’interno di questa iniziativa?
Come dicevo, si tratta della prosecuzione ed estensione di un processo nel quale sono impegnato da anni, con ulteriori stimoli che vengono dal lavorare in un territorio nuovo e con caratteristiche parzialmente diverse, se vogliamo ancora più vergine e quindi più sfidante. D’altra parte, nello sviluppo del mio profilo professionale, negli ultimi anni mi sono avvicinato molto al panorama internazionale, frequentando diverse piattaforme e festival europei e non solo, e trovando in questi contesti nuovi stimoli artistici e nuovi strumenti progettuali. Continua a interessarmi la dimensione regionale, che mi restituisce immediatamente il senso degli sforzi e del lavoro, ma lo sguardo è ormai sulla scena internazionale senza la quale appassirei: è lì che trovo il nutrimento per continuare il mio percorso, nel confronto continuo con colleghi e artisti che operano su scala globale. Questa nuova posizione mi ha restituito una diversa percezione del mio lavoro, del mio ruolo e della mia funzione, oltre a darmi nuovi punti di vista sulle cose del mondo. Infine, credo che in questo contesto stiano nascendo le creazioni artistiche più interessanti e anche con quella giusta dose di radicalità che si rende necessaria per affrontare il momento storico che stiamo vivendo, in cui le emergenze del mondo richiedono prese di posizione nette e urgenti.
Cosa deve fare chi vuole sottoporre i propri progetti al centro?
Studiare il nostro progetto, comprenderne la direzione e scriverci per entrare in dialogo con noi.






