CHIARA AMATO | Al Teatro Strehler di Milano va in scena l’ultima creazione di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, dal titolo Metadietro. Lo spettacolo, che aveva debuttato al Campania Teatro Festival, conduce in una dimensione tra il mare e lo spazio. La trama è ridotta all’osso: un bizzarro ammiraglio viene ingaggiato per una missione sulla Luna, insieme a un capitano (Daniele Cavaioli) altrettanto sui generis. Questo duo richiama alla memoria tanti altri dalla letteratura – in primis Don Chisciotte e Sancio Panza – ma anche del cinema– Totò e Peppino per esempio: il primo più scaltro e che guida l’azione, mentre il secondo apparentemente di spalla e nell’ombra rende in realtà possibile quel tipo di comicità.
Come al solito nello stile rezziano, quello che conta non è tanto ciò che accade, ma il modo di stare in scena dell’artista e gli habitat pensati da Mastrella.
In questo caso, la scena è tinta di rosso sullo sfondo (grazie a delle luci dal basso) e ha al centro una struttura che ricorda sia una tenda indiana sia le vele di una barca. Questa struttura, composta da tubolari e reti sottili, durante lo spettacolo viene modificata dal protagonista e si trasforma più volte: da veliero a navicella spaziale. Anche le luci (di Alice Mollica) seguono i cambiamenti di scena e variano i colori dello sfondo, alternando le tinte del rosso, blu, giallo, verde e bianco.
I due eroi però non sono soli: una serie di personaggi (marinaio, nostromo, etc) sono interpretati dalle voci fuoricampo di Noemi Pirastru e Mauro Ranucci.

L’ammiraglio Rezza è tutto vestito di blu e inizialmente è solo in scena, mentre affronta un temporale in mezzo al mare. È accompagnato in questa prima fase da una serie di personaggi che non vediamo, ma di cui o conosciamo i dialoghi attraverso le voci fuori campo o immaginiamo quei dialoghi proprio tramite le risposte dell’ammiraglio. Qui vince il black humor che non risparmia neanche i bambini che muoiono in mare. Vuole colpire allo stomaco, oltre che far ridere: vuole lasciare un pensiero su quello che dovrebbe essere un principio universale e che invece, di questi tempi, non lo è. Numerose sono le battute a riguardo, sia sul fatto che sarebbe più naturale che i giovani morissero in motocicletta sia sulla “moda” degli ultimi anni di annegare per mare.
Entra poi in scena il capitano, che indossa pantaloni, camicia e giacca, tutti sulle tonalità del verde. Dal primo momento stupisce: tutto sembra fuorché una personalità che possa guidare un equipaggio, infatti si muove goffamente, parla pochissimo e balbettando.
Attraverso la scarna trama, Rezza non si risparmia nell’attaccare sia il pubblico che la politica internazionale. Contro i suoi spettatori varie sono le offese: ignoranti, vegetali, stronzi, piccoli, insignificanti, finché sul finale dichiaratamente li lascia in balia del capitano incapace (anche lui sbeffeggiato durante tutta la performance). Si rivolge a loro con affermazioni forti e sprezzanti come: camuffate l’ignoranza con il dispiacere, c’è ancora qualche speranza che vi impicchiate fuori di qui. Se venivate già impiccati, vi avrei stimati di più. Un ostinato disprezzo che è leitmotiv frequente nelle sue creazioni.
Per quanto riguarda invece gli obiettivi politici, i Russi sono i primi ad essere individuati come bersaglio, in modo anche pretestuoso, come spesso fanno i media: pure sulla Luna dove non c’è nessuno, ci sono di certo i Russi. Ma i riferimenti a questioni politiche sono moltissimi: i morti causati dalla non-fratellanza in mare; la polizia che prende il sole guardando i cadaveri arrivare sulle coste; il colonialismo che si scaglia contro gli indigeni; la bandiera italiana coperta di escrementi; i palestinesi che ormai sono rimasti in quattro gatti. Finché, quando i due protagonisti vengono revocati dalla loro missione e finiscono a fare i camerieri, le ultime due stangate sono dedicate al mondo della ricerca, che in Italia non viene premiata, e all’intelligenza artificiale, che si insinua in maniera capillare dove prima vi erano i lavoratori.

Lo stile di Rezza resta sempre uguale a sé stesso, aspirando ad un andare oltre, eccedendo. Ma se l’andare oltre diventa la costanza, non stupisce più: è atteso. Inserisce nella narrazione la sua tavolozza di espedienti verbali – fatta di gorgoglii, tic della parola e scambi velocissimi da rapper – e corporei, come la ripetizione ossessiva di gesti in sequenza e saltelli da giocoliere.
La sala, quasi piena, testimonia che il suo pubblico non ne ha mai abbastanza e lo segue caloroso, ma la ripetizione di sé stesso e la centralità della sua figura è schiacciante rispetto a tutto il resto: lui è le sue creazioni. L’unica presenza con cui davvero condivide il palcoscenico restano gli habitat della Mastrella, che non passano mai inosservati soprattutto per la funzionalità scenica, più che per l’estetica. Sono creati e pensati in simbiosi con i movimenti dell’artista che li abiterà e questo resta un fiore all’occhiello dei loro spettacoli.
Quello che poteva essere avanguardia alle origini rischia di diventare la ripetizione di uno stilema, e forse anche una gabbia dorata autocelebrativa.
METADIETRO
di Flavia Mastrella, Antonio Rezza
con Antonio Rezza e Daniele Cavaioli
(mai) scritto da Antonio Rezza
habitat Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
luci e tecnica Alice Mollica
voci fuori campo Noemi Pirastru e Mauro Ranucci
montaggio traccia sonora Barbara Faonio
mix traccia sonora Stefano G. Falcone
macchinista Eughenij Razzeca
organizzazione generale Tamara Viola e Stefania Saltarelli
metalli Cisall
ufficio stampa Chiara Crupi – Artinconnessione
comunicazione digitale Tamara Viola
una produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello – Rezza Mastrella
Teatro Strehler, Milano | 25 ottobre 2025




