RENZO FRANCABANDERA e SILVIA ALBANESE | In questo momento storico, per guardare al mondo delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo, ci vorrebbe un caleidoscopio: capace di offrire allo sguardo contemporaneamente tutti i punti di vista pertinenti possibili. Per abbracciare con un solo colpo d’occhio la realtà. Le informazioni arrivano dall’alto alla spicciolata, goccia a goccia, mentre intanto le riunioni si moltiplicano, e anche i gruppi di discussione. Si tratta di una situazione di emergenza mai vissuta prima d’ora, che potrebbe anche essere l’occasione per una sorta di risveglio collettivo del settore. Un’opportunità di rifondare e riformulare pratiche e valori.
Ma prima c’è da capire cosa sta succedendo, e soprattutto quando arriveranno i bonus promessi. Si procede così, tra l’emergenza e l’utopia, tra la ricerca di informazione e l’attivazione di gruppi Telegram, tavoli di lavoro, meeting virtuali. E se non si può scendere in piazza a protestare si creano hashtag e contenuti virali.
Un ruolo di primo piano nel contatto con lavoratrici e lavoratori dello spettacolo ce l’hanno sicuramente i sindacati, e per certo la SLC CGIL: nella divulgazione delle informazioni, nell’offerta di opportunità di incontro per chiarire i punti più critici, mettendosi insomma, come da vocazione sindacale, a fianco del lavoratore per trasformare il sistema dal basso. Prendiamo il nostro caleidoscopio e cominciamo a guardarci dentro, in dialogo con Emanuela Bizi, Segretaria Nazionale della SLC CGIL.

Ci puoi raccontare il dialogo che SLC CGIL ha aperto con i lavoratori dello spettacolo dal vivo? In che modo pensi che il sindacato possa sostenere la causa dei lavoratori che appaiono in questo momento più fragili, come quelli del teatro, specialmente quello indipendente, o della danza? Quanti di loro sono iscritti al sindacato?

La SLC CGIL si occupa da tempo dei lavoratori dello spettacolo. Nel 2013 si forma in SLC CGIL la sezione attori, in seguito allo scioglimento del SAI CGIL. Questa decisione avviene anche per inserire gli artisti nella filiera dello spettacolo dal vivo e dell’audiovisivo. In questi anni in numerose audizioni parlamentari hanno illustrato la condizione dei lavoratori atipici, che riguarda la maggioranza dei lavoratori impiegati in questi settori. Nel 2017, proprio per creare maggior attenzione su questa condizione, caratterizzata da pochissime tutele, ha finanziato l’indagine Vita d’artista. Anche i Contratti Nazionali di lavoro possono inserire alcune tutele, cosa che è stata fatta nel CCNL sottoscritto nel 2018. In questa occasione il sindacato ha chiesto e ottenuto, tramite un protocollo allegato al contratto, di definire alcune tutele per i lavoratori autonomi, tra le quali il compenso minimo e l’obbligo di assicurare per i rischi inerenti all’attività. Ma il vero salto il settore lo farà quando si individueranno tutele specifiche per i lavoratori dello spettacolo. Il sindacato per questo sta elaborando proposte. Le iscrizioni al sindacato, in questo periodo, stanno crescendo di molto ma non è possibile fornire un numero perché i lavoratori si iscrivono su tutto il territorio nazionale.

Il sindacato ha avviato dialoghi con le associazioni di categoria dello spettacolo dal vivo? Se sì, cosa ne è emerso allo stato attuale? Forse anche i lavoratori nel sistema precedente accettavano forme contrattuali che non li hanno tutelati nel grave momento di discontinuità. Occorre di nuovo formare consapevolezza dei diritti?

Il sindacato in questi anni ha sempre cercato una condivisione con le imprese sui temi più importanti, perché ritiene che un settore debole debba necessariamente trovare iniziative comuni nei confronti dei legislatori e del MIBACT. Questo si è concretizzato in comunicazioni congiunte ai Ministeri, convegni in cui si cercavano le sintesi possibili. Ora il rapporto con le imprese, alla ricerca di necessarie sintesi tanto più in questo periodo, proseguono solo con il settore cooperativo, e con le imprese dell’audiovisivo. Con AGIS, che rappresenta una parte delle imprese dello spettacolo dal vivo, i rapporti si sono bruscamente interrotti, perché sin da febbraio hanno deciso di procedere unilateralmente su temi che prevedono necessariamente il coinvolgimento del sindacato. Dal mancato rispetto del CCNL e delle leggi sui licenziamenti siamo arrivati fino alla presentazione di un documento sulle ripartenze, proposta di AGIS al MIBACT, senza coinvolgere in alcun modo i rappresentanti dei lavoratori. Questi ultimi sono scarsamente consapevoli dei propri diritti, abituati a lavorare in un settore che spesso non rispetta le regole. È fondamentale conoscere i propri diritti, anche per provare a ragionare di nuove tutele. È diffuso il mancato rispetto del CCNL, e questa crisi ha evidenziato il fatto che i lavoratori dello spettacolo fossero senza tutele.

A oggi la proposta di Federvivo sullo spacchettamento dei fondi di ristoro pare non essere stata accolta. Ci può dare aggiornamenti sulle interlocuzioni in atto col Ministero? In particolare: se i fondi che verranno individuati dal Mibact fossero erogati tramite le Regioni, state insistendo perché ci siano criteri trasparenti di distribuzione ai soggetti sui territori?

Ad oggi, salvo le disposizioni per i 20 milioni destinati a soggetti che non ottengono fondi FUS, non sappiamo come il Ministero utilizzerà i fondi. Anche per questo caso abbiamo verificato che non saranno raggiunti tutti i soggetti più deboli, perché non finanziati allo Stato. Il sindacato ha segnalato queste difficoltà direttamente al MIBACT. Siamo preoccupati perché temiamo che i fondi vengano indirizzati ai soggetti più forti (Fondazioni liriche, teatri nazionali, TRIC, teatri di tradizione), e che queste risorse rimangano in capo a questi soggetti che le spenderanno per future attività. È evidente che questo avrà un beneficio anche sui lavoratori ma crediamo che ora sia necessario procedere a saldare le fatture non pagate ad artisti e maestranze. Siamo anche convinti che ora sia necessario sostenere tutti i soggetti più deboli. Tra questi ci sono i lavoratori che hanno avuto, a causa delle disposizioni, una pesante caduta dei loro redditi. Le regioni, che conoscono la rete territoriale, devono essere coinvolte e ottenere fondi che nella massima trasparenza possano garantire questo ristoro. La CGIL ha incontrato il Ministro Franceschini per chiedere un vero investimento in questi settori, un piano per la cultura. Successivamente si è tenuto un incontro al MIBACT anche con SLC CGIL. Abbiamo illustrato le nostre proposte chiedendo interventi per la crisi e soprattutto una ridefinizione del sistema e dei diritti dei lavoratori per il futuro.

Considerando che le attività artistiche performative saranno le ultime a essere riattivate, si sta pensando a una forma di reddito anche per i lavoratori dello spettacolo “intermittenti”? Al di là di ogni impegno professionale, tu come persona, ragionevolmente, se guardi fra 5-6 mesi cosa pensi potrà partire, a cosa e dove pensi si potrà lavorare in questo comparto?

È fondamentale trovare un reddito di sostegno per i lavoratori visto che questo comparto faticherà a tornare alla situazione precedente allo scoppio dell’epidemia. Siamo anche consapevoli che in quel futuro, che non sappiamo quanto sarà lontano, sarà indispensabile intervenire per una diversa regolazione del settore e per la creazione di particolari tutele che sappiano cogliere l’atipicità del lavoro nello spettacolo. È importante pensare alle modalità con cui si potrà ripartire. Non sarà facile perché bisogna assicurare la salute dei lavoratori e del pubblico. Crediamo tuttavia che, avendo davanti a noi  l’estate, si possa immaginare una cauta ripartenza, utilizzando sul territorio i vari soggetti esistenti, creando spettacoli all’aperto diffusi. È infatti noto che non tutti i cittadini usufruiscono della produzione culturale. I dati dell’ISTAT su questo sono implacabili. Per questo è importante che gli spettacoli, di basso costo, ma con il pagamento di tutti i lavoratori, raggiungano le periferie. Per questo immaginiamo che questa attività debba essere sostenuta da un mix di risorse nazionali e locali. Questi modelli possono diventare utili anche alla ripresa delle attività all’interno di luoghi chiusi come i teatri. AGIS ha presentato, senza alcuna consultazione delle Organizzazioni Sindacali un proprio piano. Siamo piuttosto critici sulle loro proposte che sembrano guardare solo ai grandi teatri che potranno sostenere i costi di sanificazione. In questi giorni stanno discutendo con il Ministero per l’applicazione di queste regole. Siamo davvero stupiti che si possa pensare che gli artisti lavorino con le mascherine nel rispetto delle distanze.

Dalla musica alla lirica, dalla danza al teatro, passando finanche a tutte le forme ricreative e dello sport, pensare a una tutela uguale per tutti pare impossibile. Ma al contempo si rischia di creare ancora maggior parcellizzazione di diritti e possibilità. Spariranno o cambieranno delle professioni?

La crisi ha evidenziato la debolezza dei lavoratori sia nello spettacolo sia nello sport. Nel primo caso è evidente che solo una messa a sistema del settore che preveda diversi criteri per il finanziamento e un nuovo paradigma di tutele, si creerà anche per questo comparto la certezza di fare un lavoro, seppur atipico, avendo necessarie certezze. Pensiamo si debba partire da un diverso sistema di sostegno per i periodi di non lavoro, che quasi sempre non sono disoccupazione, ma solo attività propedeutiche a un successivo rapporto di lavoro. Per lo sport è più complesso. Il sistema sportivo lascia alle federazioni la definizione di chi è un professionista e chi è semplicemente un dilettante. Sono pochissimi i professionisti in poche discipline. Tra loro non ci sono atlete femminili, al netto del lento avanzamento verso i diritti che hanno ottenuto le calciatrici. In questo settore sono presenti in misura ragguardevole i collaboratori sportivi. Non sono considerati neppure lavoratori perché vengono pagati con rimborsi forfettari. Non è previsto in questo caso alcun pagamento di contribuiti previdenziali. La crisi ha anche evidenziato come l’insegnamento della danza avvenga in Associazioni Sportive Dilettantistiche. Molti insegnati sono collaboratori sportivi. Per noi è assurdo considerare la danza come una disciplina sportiva. Tra i decreti previsti dal Codice dello spettacolo ci sono anche una riforma del sistema delle scuole e l’individuazione di criteri e requisiti per diventare insegnante di danza. Il percorso è quello di farli uscire dal CONI e inserirli nel sistema formativo, con relativa sistemazione dei rapporti lavoratori. Lo stesso deve avvenire nello sport: devono essere individuate le figure professionali che possono diventare collaboratori coordinati e continuativi, mentre per tutti gli altri va riconosciuto il rapporto di lavoro subordinato. È evidente che più si allungherà il periodo di sospensione più si allargherà il rischio che questi soggetti non ce la facciano. È necessario in questa fase aiutare le associazioni culturali e anche le ASD. Per queste ultime ci sono sostegni, ma poco arriva alle scuole di danza.

Più che l’arte e le creatività soggettiva, il problema riguarda i luoghi: le architetture della fruizione. Si dice: siamo noi che dovremo adattarci a COVID-19. In che modo potrà succedere questo? Dovremo pensare di riconvertire spazi?

Una tragedia come questa cambierà tutti. Non è pensabile che si torni a breve in luoghi chiusi, le persone, necessariamente spaventate faticheranno ad entrarvi. Il rischio concreto è che il post crisi veda emergere ancora di più le discriminazioni e i problemi di una società disgregata. È quindi questo il momento per trovare nuovi luoghi, portare gli spettacoli più vicini alle persone. Da tempo chi lavora nello spettacolo riconverte spazi, ridando nuova dignità a questi luoghi ma spesso questo avviene a danno dei diritti dei lavoratori perché queste esperienze sono poco finanziate. È necessario che queste attività vengano adeguatamente sostenute economicamente, con risorse pubbliche. Sono luoghi dove si promuove l’integrazione, un modo diverso di pensare e vivere. Sono quindi attività che dobbiamo inserire a pieno titolo nel welfare del Paese e sostenerle come tali.

Un’ultima domanda sull’orizzonte degli eventi, quando si cercherà di uscire dal buco nero. Finiremo risucchiati da un grande Netflix della cultura? È una grande idea quella di Franceschini per riportare la cultura a portata di telecomando o rischia di essere una grande sciocchezza che escluderà molte forme d’arte non fruibili televisivamente dal futuro prossimo della fruizione e del sostegno? Non esiste già un canale Rai dedicato?

Si definisce spettacolo dal vivo quello che avviene dal vivo. Questo comporta anche un diverso coinvolgimento del pubblico che non è assolutamente comparabile che chi fruisce i contenuti su piattaforme, sale cinematografiche  o guardando la TV. Non crediamo quindi che sia un’ipotesi percorribile. Per alcuni eventi non dobbiamo dimenticare che c’è RAI Play, che è una piattaforma pubblica, oltre che RAI 5. Crediamo che, visto che le risorse sono poche, ora bisogna concentrarsi sul sostegno ai lavoratori e alle imprese, anche a quelle piccole. Gradualmente si potrà ripartire ma temiamo che il percorso sarà lungo. Ma l’obiettivo è quello di tornare dal vivo, solo così il pubblico potrà tornare ad assistere di persona a questi spettacoli permettendo di nuovo a molti artisti e maestranze di lavorare, ci auguriamo con maggiori tutele.

Se anche si trovasse una soluzione sanitaria che permetta la fruizione dal vivo in sicurezza, è cosa buona che tutto possa tornare come prima, ove mai fosse o sarà possibile?

Dovremo rivedere gli spettacoli dal vivo, ma non possiamo tornare a quello che c’era prima. Prima era una palude, ora che si è prosciugata dobbiamo pretendere un cambiamento. Lo dovranno fare tutti, dovranno cambiare le regole del sistema, intervenire sulla distribuzione, sui finanziamenti. Ma crediamo che si debba partire dal lavoro. Il prima era fatto anche di lavoro nero, prove forfettizzate, elusione dei CCNL.