LEOANRDO DELFANTI | Nel corso dell’edizione 2020 dell’Istanbul Fringe Festival, andata in scena per buona parte online a causa del Coronavirus, si è cercato di creare uno spazio che potesse concretamente rispondere alle domande che tutto il mondo dell’arte si pone orami da mesi.
Una di queste è di ordine eminentemente pratico: come essere un artista internazionale oggi? Allo scopo di ispirare e promuovere possibili soluzioni l’organizzazione ha quindi istituito una tavola rotonda via Zoom alla quale hanno partecipato le personalità più rappresentative del progetto dalla sua ideazione ad oggi. L’incontro (in lingua inglese) è gratuitamente fruibile sul canale YouTube dell’Istanbul Fringe Festival.

A promuovere e dirigere il dibattito è stata Zaynep Uğur, responsabile culturale del festival e Phd fellow dell’università EHESS di Parigi con una tesi intitolata Transformation of public culture: theatre as the battleground of politics in Turckey after 2000s.
Coloro che sono intervenuti, invece, sono sia artisti quali Elsa Couvreur (direttore artistico di Women’s Move), Erkan Uyanıkso (performer turco con base a Copenhagen), Sasa Hsiao (artistic director di Resident Island Dance Theatre) e Pietro Marullo (performer italiano residente in Belgio) il quale aveva già partecipato al festival negli anni passati con la performance WREK, e organizzatori come Fatih Gençkal, particolarmente attivo ad Istanbul, e Emre Yıldızlar, co-director del Fringe di Istanbul.

Quanto è emerso sin dalle prime battute è l’annosa e sempre più estremizzata questione della ricerca dei fondi: tutti gli invitati hanno concordato nell’affermare che, a parità di qualità aritistica, progetti “leggeri” in termini di budget, persone coinvolte e attrezzatura impiegata abbiano maggiore possibilità di ottenere un finanziamento rispetto ad altri.
Allo stesso tempo tuttavia, tutti hanno concordato che tale analisi inquadri una situazione pre-covid e che ad oggi tutti si sentono più portati alla ricerca di interazioni locali, territoriali e soprattutto collaborative.
Se, infatti, fino a ora l’esperienza internazionale è stata promossa, soprattutto dagli istituti culturali europei, oggi gli artisti si sentono in dovere di radicare la loro ricerca al relativo terriotrio di appartenza.

Proprio su questo tema, parlando del “privilegio dell’uomo bianco” (da intendersi come l’insieme delle opportunità offerte dai governi europei in termini di fattibilità e fruizione di un progetto culturale) è stato messo in luce come entrare in contatto con il clima culturale occidentale sia estremamente più semplice per un performer medio orientale, che per lo stesso accedere a fondi del suo stesso stato. Un paradosso che mette in luce come sia il mercato a dettare il destino delle opere artistiche.

Di fatto Faith Gençkal ha messo in luce come sia gli artisti turchi e non solo abbiano enormi difficoltà a trovare opportunità per presentare progetti nei loro territori.
Per fare un esempio pratico basti pensare che nella zona del Medio Oriente l’unico festival di danza dotato di una certa rilevanza fosse il Lebanon International Festival of Contemporary Dance, già soppresso prima del disastro di Beirut a causa delle note crisi regionali.
Il problema che quindi deve per necessità affrontare una classe artistica matura in termini di esperienza professionale e formativa ma non sufficientemente supportata a livello economico è la ricerca dell’opportunità. Il governo turco non sostiene i suoi artisti. Pertanto sono loro a dover spendere tempo ed energie nel cercare sponsor e finanziamenti.
Tra le piattaforme suggerite spiccano onthemouve.org e dancingopportunties.com, sulla quale è possibile trovare annunci internazionali rivolti sia al mondo della danza che al mondo del teatro.
Vi sono poi le piattaforme europee statali: sia le ambasciate che i governi nazionali hanno forti interessi a promuovere lavori che nascano o includano nella narrazione aspetti legati al loro territorio, senza esclusone di cittadinanza. Tra tutti il governo danese e quello svizzero sembrano essere i più attivi.
Infine, sempre a stampo europeo, si consiglia per i progetti più maturi di fare appello ad Aerowaves, un network di curatori e progettisti culturali con sede in Inghilterra che vanta ramificazioni in tutto il globo.

Per quanto concerne la presentazione della domanda, oltre alla necessaria attenzione da porre alla modulistica il consiglio unilaterale è quello di puntare su un buon teaser. Semplicemente perché, tra le centinaia, a volte migliaia, di domande che un festival riceve, a fare la differenza è “il colpo d’occhio” supportato da una buona mail di presentazione che indichi perché quello spettacolo è corretto per l’evento a cui si vuole partecipare.

Con questa conferenza il Fringe Festival di Istanbul ha cercato, in questo periodo estremamente difficile per il mondo dell’arte, di mandare un doppio messaggio: da una parte una soluzione concreta nell’immediato, per quanto fragile e ridotta possa sembrare, a tutti coloro che necessitano di una risposta istantanea; dall’altro un appello accorato a tutti gli artisti non-europei, perché nel prossimo futuro si cerchi sempre di più di emanciparsi da una dipendenza finanziaria dettata dalla selettiva capacità europea di promuovere i suoi progetti nel mondo.
Un mondo che in seguito al Coronavirus si è scoperto estremamente fragile e dipendente dall’economia occidentale, la quale non può che assorbire una ridotta parte della realtà culturale di un territorio vasto e frastagliato come il Medio Oriente.