ROBERTA RESMINI | Ci sono lavori che ci mettono un po’ a venire alla luce, a volte perché necessitano di un lungo tempo di studio e maturazione, altre volte perché il corso degli eventi porta ad allungare i tempi in maniera non prevedibile. Dopo un anno e mezzo di stop forzato dalla pandemia ha finalmente debuttato a Campo Teatrale l’ultima pièce di teatro civile firmato da César Brie, Nel tempo che ci resta. Elegia per Falcone e Borsellino. Non è uno spettacolo di ricostruzione storica, e nemmeno uno spettacolo biografico o documentale come ci si potrebbe aspettare (troppo frammentate le vicende raccontate e troppo intricata la rete di personaggi coinvolti) ma un omaggio accorato ai due magistrati che persero la vita nella guerra tra mafia Siciliana e Stato nel 1992, Falcone e Borsellino, e a Buscetta, ex mafioso e collaboratore di giustizia.
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La scena si apre con un uomo seduto su una panchina, che fa rotolare delle arance per terra. Con un semplice gesto disegna immediatamente il perimetro geografico della vicenda: siamo in Sicilia e quell’uomo è Tommaso Buscetta (lo stesso César Brie) o, come veniva chiamato, il boss dei due mondi, don Masino. Subito l’attenzione si sposta su dei pannelli bianchi dietro ai quali compaiono i protagonisti della storia, i giudici Giovanni Falcone (Donato Nubile) e Paolo Borsellino (Marco Colombo Bolla) con le rispettive mogli, Francesca Morvillo (Rossella Guidotti) e Agnese Piraino Lete (Elena D’Agnolo) che si muovono nello spazio in una danza composta e armonica.
Abiti semplici per i personaggi in scena: pantaloni e impermeabile chiaro per Buscetta-Brie, un completo scuro con camicia bianca per Marco Colombo Bolla e Donato Nubile, completo con gonna per Rossella Guidotto, quasi a voler rappresentare la sua professione di magistrato, abito chiaro e femminile per Elena D’Agnolo (costumi a cura di Camilla Gaetani e Teatro dell’Elfo).
I personaggi sono tutti defunti, le cinque anime in scena ricordano, denunciano avvenimenti che sono accaduti prima della loro morte: la lotta alla mafia, le vittime, l’isolamento, i tradimenti, momenti della loro vita pubblica e privata. Lo spettacolo affianca infatti la parte più cronachistica degli eventi a quella, più intima, delle vite private dei giudici Falcone e Borsellino, rappresentate dalle rispettive mogli .
I loro racconti ci permettono di penetrare la parte meno nota della vita dei due magistrati: la timidezza dei primi appuntamenti, il matrimonio, il tempo libero passato insieme, in un racconto delicato e romantico. Allo stesso modo, il racconto che Buscetta fa della propria vita rievoca immagini in parte note, in parte inedite ai più e, proprio per questo, particolarmente interessanti: le sue vicende famigliari, la scelta, più o meno consapevole, di non schierarsi nella seconda guerra di mafia, la spinta che lo ha portato a collaborare con la giustizia.
Tante sono le informazioni che ci vengono date in scena ma sul palco, nell’allestimento scenico di Camilla Gaetani, ci sono pochi elementi, significativi: pannelli bianchi, bidoni di latta, una panchina, un filo stendibiancheria con appese cravatte prima e camicie sporche di sangue poi. Un espediente, questo, che dà ai tre attori maschi la possibilità di rappresentare altri personaggi, più marginali ai fini della storia, e di ripercorrere i numerosi omicidi che hanno caratterizzato la storia della Sicilia tra gli anni ’70-’80 senza portare in scena immagini forti.
Il regista ci ha già abituato a scenografie scarne, dettate più che altro dalla volontà di puntare su due aspetti: da una parte, esaltare il valore e le capacità artistiche a tutto tondo degli artisti, dall’altro evocare il potere immaginativo del pubblico in sala.
Brie si muove per frammenti, che non devono informare – ormai della vita pubblica dei due magistrati e soprattutto della loro morte sappiamo moltissimo – ma toccare cuore e testa degli spettatori.
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In assenza di immagini costruite, Brie e i suoi attori riescono a ricostruire immagini ben precise nello spettatore. In questo, le musiche e le luci sono fondamentali e riempiono gli spazi dove le parole non arrivano (luci a cura di Stefano Colonna, arrangiamenti musicali a cura di Matias Wilson), dando alla pièce un ritmo sempre equilibrato che accelera in alcuni momenti in cui la suspence sale e porta agli eventi che sono ormai parte della storia italiana.
Lo spettacolo ha una grande forza comunicativa, allo stesso tempo si esprime con sensibilità e ironia, grazie alla capacità artistica dei performer, capaci di esibire un repertorio di mimica, vocalità e accenti per ben rappresentare le figure che popolano il mondo dei due giudici, modulando la loro voce per trovare le sfumature migliori per connotare i personaggi, in un’alternanza di dialoghi e brevi monologhi. Nessuno dei cinque domina in maniera incontrastata, il passaggio di riflettori da un attore all’altro avviene in maniera naturale e perfettamente armonica, per certi versi poetica.
Nel tempo che ci resta è uno spettacolo non scontato, la cui forza sta principalmente nel raccontare una storia intricata e tristemente nota con una piacevolissima semplicità che arriva a tutti, animata, al contempo, da un grande senso etico.
È uno spettacolo pieno di umanità, poesia, amore, un viaggio nel tempo che si pone l’obiettivo di condividere la memoria, evitando le trappole dell’ideologia e permettendo così allo spettatore di elaborare, riflettere, immedesimarsi, analizzare la storia e trarre le proprie conclusioni.
NEL TEMPO CHE CI RESTA. ELEGIA PER FALCONE E BORSELLINO
testo e regia César Brie
con César Brie, Marco Colombo Bolla, Elena D’Agnolo, Rossella Guidotti, Donato Nubile
produzione Campo Teatrale / Teatro dell’Elfo
musiche di Pablo Brie – variazioni su temi di Verdi e su “Avò” di Rosa Balistreri
arrangiamenti musicali Matìas Wilson
luci di Stefano Colonna
foto Laila Pozzo
assistenti alla regia Adele Di Bella e Francesco Severgnini
allestimenti scenici Camilla Gaetani
tappeto Giancarlo Gentilucci
Si ringraziano per i costumi Camilla Gaetani e Teatro dell’Elfo
Campo Teatrale, Milano
19-31 ottobre 2021