SARA PERNIOLA | Negli ultimi anni le battaglie delle donne in tutto il mondo sono rientrate nel dibattito quotidiano, sottolineando una nuova ondata del femminismo più intuitivo e trasversale, capace di intersecarsi con questioni razziali, di classe, abilismo e anche ecologiche. E in un momento storico come quello attuale – in cui è necessario riflettere e attivarsi per migliorare la complessità e le varie dimensioni di tale realtà – ci chiediamo se l’arrivo di una donna che rivendica “Dio, Patria e Famiglia” come “manifesto d’amore” alla guida del Paese sia effettivamente una vittoria del femminismo. La disuguaglianza di genere è, infatti, ancora drammatica se pensiamo che in Afghanistan il Ministero delle Pari Opportunità è stato sostituito con quello “per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio”, che in Tunisia c’è una forma fortissima di caporalato di cui le prime vittime sono le donne, che nei territori marchigiani i ginecologi obiettori di coscienza superano il 70 percento e che l’Iran è infiammato dalle rivolte da settimane. La lista, pertanto, potrebbe essere ancora più corposa e rafforzerebbe sempre lo stesso concetto: nuove forme e nuove parole di un antico fenomeno – ovvero pensare all’uomo come standard e alla donna come versione dello standard, e che quindi va accessoriata, giustificata producono le stesse vittime di sempre. E, per quanto in certi contesti sia vero che è solo arrivando nelle posizioni di potere che si possono cambiare veramente le cose, di certo non basta mettere una donna in un posto di potere per affermare il femminismo. 

Ci ha pensato fortunatamente la rassegna di teatro civile Feminologica – con un programma che si è sviluppato a Bologna dal 30 agosto e fino al 25 settembre scorso, in un’alternanza di spettacoli e momenti di incontro con realtà associative del territorio, facilitatrici per l’elaborazione delle tematiche affrontate dalle opere teatrali rappresentate – a contribuire con intelligenza alla discussione inerente rivendicazioni individuali ed empowerment femminili. Giunta alla quinta edizione, promossa e organizzata da Youkali APS e diretta da Simona Sagone, nell’ambito del progetto “Donne fuori dall’angolo 2”, Feminologica ha raccontato la vita, il mondo e la Storia con lo sguardo delle donne. Lo ha fatto in un luogo non casuale, il bellissimo anfiteatro del parco di Villa Spada, per la presenza del prezioso monumento simbolico dedicato alle 128 donne partigiane della provincia di Bologna che lottarono per la Liberazione, frutto nel 1975 di una partecipazione condivisa tra le architette del gruppo “Città nuova” e studentesse e studenti adolescenti.  Così, con l’unico monumento italiano dedicato alle donne cadute per la lotta all’antifascismo alle nostre spalle, abbiamo respirato il desiderio di tutta la rassegna di rendere visibile i talenti delle donne al di là di ogni stereotipo di matrice patriarcale, accogliendo i valori che comunicano “indipendentemente da ogni valutazione estetica e appartenenza familistica”, come ha affermato la direttrice artistica. 

Tra gli spettacoli visti, Noi siamo stufe – preceduto dal talk Molestie e violenze sul lavoro. Abbattiamo questo tabù, a cura di UDI Bologna – nasce dalla volontà di riportare all’attenzione del pubblico l’esperienza dello storico gruppo di impegno politico e sociale Canzoniere delle Lame, fondato da Janna Carioli e Gianfranco Ginestri nel 1967. L’atmosfera viene così attraversata da racconti che, sotto forma di canti popolari e femministi, parlano di battaglie sempre aperte per l’uguaglianza e i diritti, inneggiano alla libertà e al lavoro, combattono contro il rafforzamento della censura e l’uso politico della violenza. La cantante Frida Forlani, il polistrumentista Mirco Mungari, Guido Sodo alle chitarre e mandolino, e infine Simona Sagone con la recitazione, percorrono il passato – con questioni senza tempo come il divorzio, l’aborto, il femminicidio – per poi approdare nel presente, grazie ad un intenso metodo di protesta che combina melodia e rabbia, ironia e giusta determinazione. Il Canzoniere, poi, ha sempre rivolto uno sguardo a ciò che accadeva oltre oceano, dove le donne combattevano la stessa battaglia: oggi quelle lotte esistono ancora e riguardano tutti, ricordando che ogni conquista non è mai per sempre se non si vigila e non ci si batte per ampliare e mantenere i diritti acquisiti.
Il canto, così, si rivolge all’autocoscienza e concede l’accesso in una dimensione dalla forma liquida e fluida, insieme forte e centrata: diventa espressione della potenzialità della canzone che ritorna a farsi universale in risposta all’emergenza della condizione femminile in tutto il mondo.

Gli eventi nell’Anfiteatro del parco di Villa Spada proseguono e la sera di un martedì settembrino diventa meno ordinaria mentre assistiamo alla pièce Ella, scritta dal drammaturgo, sceneggiatore e attore di teatro tedesco scomparso lo scorso gennaio Herbert Achternbusch, e portata in scena da Marco Cavicchioli, magistralmente vestito dalla costumista Elisabetta Muner che ha accompagnato l’attore in questa potente avventura di immedesimazione, fungendo anche da acting coach.                                                                            In questo spettacolo un uomo si mette nei panni di una donna, la madre anziana, la cui mente è obnubilata da anni di botte, maltrattamenti e degenza in manicomio. La narrazione, così, si veste del corpo di Cavicchioli che si fa drammatico e diretto tanto quanto lo sono il contenuto e lo scenario: i movimenti e il linguaggio rompono l’unità di tempo e di luogo; i gesti e i pensieri, spezzati e alienanti, rappresentano la nostalgia terribile di una vita perduta, la tristezza rassegnata di qualcosa di irrealizzabile, mentre serpeggiano tra gli elementi – delle uova in un paniere, un’antica macchinetta del caffè, degli strofinacci – di una povera ed essenziale cucina. 

Nella prefazione al testo dello spettacolo, Achternbusch ritiene che Ella sia la  continuazione naturale di Psycho di Hitchcock, in cui il profilo di Norman Bates e della sua pazzia sono strettamente legati alla figura maternaCavicchioli interpreta, così, un personaggio sdoppiato che arde di tragicità, capace di innescare un flusso di parole che si consumano in fretta e senza filtri: il monologo dell’uomo di nome Josef racconta tutta la vita della donna, passata fra pollai, manicomi, boschi dove dormiva, orti, stagni, carceri, cliniche, collegi, riformatori, campi di lavori forzati, e il peggio che l’umana ospitalità possa offrire. Una rappresentazione potente difficile da dimenticare, strettamente connessa alla concezione della violenza come fattore di ingiustizia di diverse storie personali. 

Qualche giorno dopo il tono cambia e veniamo travolti dalla generosità dello spettacolo Edith Piaf: lettere d’amore, omaggio alla celeberrima cantautrice francese, attraverso i testi delle sue lettere d’amore e le sue intramontabili canzoni. Cristina Coltelli e la direttrice artistica della rassegna – la prima cantante e la seconda attrice – intrecciano le loro voci con le musiche al pianoforte eseguite da Fabrizio Milani, esprimendo il sentimento profuso nelle lettere d’amore che la diva scrisse al suo amante, il ciclista Luis Gérardin, tra il novembre del 1951 e il settembre del 1952. In quelle lettere, ritrovate nel 2009 e vendute all’asta da Christie’s, l’anima della Piaf si mette a nudo cercando la propria essenza, la via per la felicità in fondo a un abisso. Le parole travolgono e le emozioni, incontrollate, escono fuori dal petto, chiudendo un cerchio ipnotico dominato dalla performance canora: lo spettacolo è una ballata nostalgicamente disperata, dolcezza compensativa per dei cuori spezzati.

Feminologica, dunque, esplora temi cari al femminismo e risulta essere un progetto prezioso, soprattutto in un momento storico in cui le donne sono così audacemente unite. “Una rassegna che dà voce alla forza di tante figure femminili, da Antigone alla nostra contemporaneità, contribuendo ad abbattere pregiudizi, stereotipi e la violenza nei confronti della sfera femminile e delle donne”, come ha espresso durante la conferenza stampa Elena di Gioia, Delegata del Sindaco alla Cultura di Bologna e Città Metropolitana.
La cultura, il mito, la Storia, la musica, la violenza di genere, racconti e fatti di ieri provocano spunti di riflessione su come affrontare il domani. 

FEMINOLOGICA 5 – Teatro Civile al Femminile 

un progetto a cura di Associazione Culturale Youkali APS

Molestie e violenze sul lavoro. Abbattiamo questo tabù
incontro a cura di UDI Bologna

Noi siamo stufe – canti femministi del Canzoniere delle Lame e racconti su battaglie ancora aperte per una sostanziale uguaglianza
a cura dell’Associazione Culturale Youkali APS e Medinsud                                        cantante Frida Forlani, polistrumentista Mirco Mungari, chitarre e mandolino Guido Sodo, voce Simona Sagone                                                                                                            audio e luci Vincenzo Belsito 

Ella
di Herbert Achternbuch                                                                                                      con Marco Cavicchioli                                                                                                          acting coach e costumi Elisabetta Muner                                                                            audio e luci Vincenzo Belsito 

Edith Piaf: lettere d’amore
voci Cristina Coltelli e Simona Sagone, pianoforte Fabrizio Milani                                      audio e luci Vincenzo Belsito 

Bologna,                                                                                                                              30 agosto-25 settembre