CHIARA AMATO | Ad aprire la stagione 2022/23 del Piccolo Bellini di Napoli, quasi a voler lanciare un segnale, è un progetto di Bellini Teatro FactoryArdore – Il matrimonio tra il Teatro e la Vita.
La Factory nasce con questo nome e questa forma nel 2016 – sotto la direzione di Gabriele Russo – che trasforma e prosegue il percorso dell’Accademia d’Arte Drammatica del Bellini – la scuola che ha visto passare nella compagine docente dal 1988 artisti di rilievo come tra gli altri Lucio Melchionna e Danio Manfredini e che Russo ha voluto rilanciare.
Dunque questo spettacolo nasce da e per i giovani attori della scuola di teatro, e la sua accoglienza è stata forte da parte della comunità, facendo registrare il sold-out per tutte le date previste.

Entriamo quindi nella sala scarna del Piccolo con estrema curiosità: sul palco pochissimi elementi per le scene realizzate da Lucia Imperato: dieci sedie logore di legno marrone cingono i due lati del palco e sullo sfondo cinque ritratti illustri che ci osservano da lontano, come santini alle pareti.

Lo spettacolo si avvia con la spiegazione da parte del Maestro e del chierichetto, i due officianti del matrimonio, su quello che accadrà nell’ora successiva. Si assiste per l’appunto al rito d’unione tra Teatro e Vita, che in quest’occasione diventano due persone in carne e ossa, con caratteri che rimandano ai due concetti che essi stessi rappresentano ma umanizzati in maniera e lingua napoletana.
Il dialetto imperversa sul palco, masticato in un’ottima dizione, dove si avvicendano moltissimi personaggi che rappresentano l’entourage affettivo dei due protagonisti: la madre, il padre, i testimoni di matrimonio, il cugino americano che non manca in ogni famiglia napoletana, la prima attrice, l’amica della sposa ancora in cerca di marito, etc.
I momenti canori e danzati non mancano fin dall’ingresso degli sposi con i loro ospiti.
Inizia così un alterco tra la prima attrice, che si sente tradita da Teatro, e Vita. Il pubblico ride fragorosamente ascoltando la sonorità di alcuni termini della lingua di appartenenza ormai in disuso totale. Le due donne si placano e riprende lo scorrere che troverà altri momenti di freno prima di arrivare al fatidico sì (come l’invettiva molto grottesca della madre di Vita che si lamenta della location del matrimonio all’interno del Piccolo di Bellini, troppo scarno e povero).
Tutto lo spettacolo gioca su questo limite sottile tra una vicenda reale e la metafora molto evidente fin dall’inizio. La querelle è annosa e immortale: Teatro e Vita si possono sposare? Cosa comporta tutto ciò nella vita di un attore e di un regista? Qui, nonostante le difficoltà, l’ottimismo e l’ardore ci portano al lieto fine del loro congiungimento.

Molti i momenti di monologo per dare spazio a ognuno dei nuovi diplomati dell’Accademia di Arte Drammatica del Teatro Bellini. Dal fondo della sala si sentono le voci femminili di altri tre elementi della compagnia che commentano, come se facessero parte della platea, ciò che accade sulla scena. Di particolare bellezza il momento in cui si arriva alle promesse nuziali in cui prendono voce i due sposi.
“Un Teatro senza Vita è un problema da risolvere” perché ciò che c’è tra loro due è la natura umana. La sposa nel suo discorso dice che non riesce più a distinguere i contorni che la separano dall’amato. Il Teatro non dà tregua, non c’è spazio nel quale non entri, e questo dovrebbe dissuadere dal cedere al suo fascino e al suo amore perché troppo difficile da vivere, ma ciò non le impedisce questa unione necessaria.
Risuona poi nel discorso del cugino texano che “Danger, all the structures are unstable”. Raccontando infatti di un episodio di poco valore che gli era accaduto in passato, ricorda che quella scritta, che era solo un’insegna lasciata lì come segnaletica in un parco in America, l’aveva fatto riflettere sulla precarietà dei confini, delle strutture predefinite da qualcun altro che non siamo noi stessi. Sorprendenti invece le capacità attoriali e canore nei singoli ruoli, tutti scelti con cura e attenzione dalla regista Annalisa D’Amato, cui si deve anche la drammaturgia, in cocreazione con Elvira Buonocore, Maria Chiara Montella e Marta Polidoro.

Le sue regie fondono il testo e il gesto con il canto e la danza. Un lavoro molto forte e di alta qualità sulle capacità dell’attore. Formatasi sin dalla giovanissima età con alcuni dei più grandi del teatro contemporaneo, fonda poi nel 2009 la compagnia internazionale The Enthusiastics con Antonin Stahly e Giordano Acquaviva. Attualmente insegna presso diverse realtà oltre la Factory, come ad esempio la Scuola Elementare del Teatro di Davide Iodice e The European Graduate School a Malta e in Svizzera.

I costumi di Giuseppe Avallone risultano essere uno dei fiori all’occhiello dell’opera: sono vari, curatissimi e di fattura ottima. Abbiamo il cugino vestito da cowboy in pieno stile texano, la sposa e la prima attrice in abito da matrimonio, ma volutamente uno bianco e l’altro nero (come a sottolineare che anche in quel caso la prima rischia di essere offuscata dalla seconda), la veste del Maestro piena di dettagli e rifiniture dorate che ci rimandano alla mise dei vescovi in funzioni di rilievo, Teatro che indossa un sipario che gli si avvolge attorno al busto, una delle damigelle con tubino e autoreggenti, etc.

“Il Teatro vuole tutta l’intimità che ti scorre” ripetono sul finale in coro, come se fosse un mantra in maniera ossessiva e rituale fino al silenzio in sala che prelude l’applauso conclusivo. L’accoglienza da parte del pubblico risulta entusiasta, ha sicuramente apprezzato la comicità, la vivacità e il ritmo che rende lo spettacolo molto gradevole e godibile nel suo insieme. La tematica di fondo dell’opera, tuttavia, così importante e di rilievo, rischia di frequente di scivolare nel luogo comune, nella macchietta e nel sentimentalismo semplicistico.
Al netto della anagrafe degli interpreti che ovviamente incorpora una certa acerbità, il testo e la chiave registica prescelta non arrivano a regalare tutta la profondità che una materia così intensa richiederebbe. Si rimane su una cifra troppo leggera che dopo un pò impedisce allo spettacolo di sviluppare tutto il suo potenziale. L’idea di partenza, interpretata con “ardore” dalla compagnia, risulta ancora acerba nell’elaborazione.

ARDORE
Il matrimonio tra il Teatro e la Vita

Un Progetto Bellini Teatro Factory
a cura di Gabriele Russo, Costanza Boccardi e Marina Dammacco
da un’idea di Annalisa D’Amato
drammaturgia Annalisa D’Amato, Elvira Buonocore, Maria Chiara Montella, Marta Polidoro
scene Lucia Imperato
costumi Giuseppe Avallone
disegno luci Cesare Accetta
con Mario Ascione, Elvira Buonocore, Francesco Cafiero, Alessandra Cocorullo, Carlo Di Maro, Maria Fiore, Francesco Gentile, Rita Lamberti, Maria Chiara Montella, Raffaele Piscitelli, Marta Polidoro, Riccardo Radice, Stefania Remino, Giuseppe Romano, Alessia Santalucia, Gianluca Vesce
regia Annalisa D’Amato
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
con il sostegno di puntozerovaleriaapicella