CHIARA AMATO | Filippo Dini al Piccolo Teatro di Milano porta, per oltre tre ore, lo spettatore nel testo molto controverso Il Crogiuolo di Arthur Miller.
L’opera era stata composta nel 1953 da Miller, in piena inquisizione maccartista. Epoca che non a caso veniva chiamata “caccia alle streghe” a causa della arbitrarietà persecutoria del potere giudiziario americano verso i sostenitori della politica di derivazione socialista.
Nel 1957 lo scrittore, sceneggiatore e drammaturgo americano, fu giudicato colpevole di oltraggio al Congresso per non aver rivelato i nomi dei membri di un circolo letterario, sospettato di aver legami con il comunismo.
Miller sceglie di ambientare il suo dramma alcuni secoli prima, nel 1692, anno del processo alle streghe di Salem. In questo villaggio del Massachusetts si consumò la morte di diciannove persone con l’accusa di stregoneria: ragazze vittime di visioni e presunte possessioni demoniache, che svolgevano sabba nei boschi e danzavano nude. In sostanza il drammaturgo vuole tracciare un implicito paragone fra la caccia alle streghe di due secoli e mezzo prima e quanto stava accadendo nella America dei suoi giorni.
Lo spettacolo, originariamente composto da quattro atti, è diviso in questo allestimento in due parti, ed è costruito su una scenografia di Nicolas Bovey molto scura e minimale. Pochi oggetti di scena: un letto, alcune sedie di ferro, un tavolo per i giudici, e una bandiera si susseguono nelle differenti ambientazioni. Due pareti nere che ruotano durante lo spettacolo e creano il cambiamento dei luoghi in cui si svolgono i fatti.

La vicenda rappresentata è un’intricata storia di menzogne e verità dentro il processo istruito per stregoneria nel villaggio americano.
Il protagonista è John Proctor (Filippo Dini), il quale avendo tradito la moglie Elizabeth (Manuela Mandracchia) avrebbe causato, con l’accusa, una serie di massacri per la sola sete di vendetta di Abigail (Virginia Campolucci), la sua amante. La vicenda spiegherà se queste accuse e ipotesi sono vere in una serie di ribaltamenti e colpi di scena. Ma con la propria morte, Proctor smaschererà Abigail e farà fallire il suo piano, riabilitando l’onore delle vittime, e salvando la vita di sua moglie.

ph. Luigi de Palma

L’immaginario creato da Miller è la creazione di un falso storico, perché al processo non furono mai portate prove sulla colpevolezza degli imputati ma bastarono il sospetto e la paura dei cittadini della piccola città per portare l’ordine pubblico e il potere giudiziario a determinare alle condanne.

Lo spettacolo si apre con cinque ragazze, vestite di bianco, che da tutti i lati della sala corrono con lampade in mano verso il palco, dove è già posizionata un’altra donna (Fatou Malsert), che emette versi e vaneggia mentre danza ed è in preda a forti convulsioni.
Il fumo invade la scena e tutte iniziano ad avere spasmi e delirano, accompagnate da una musica dal ritmo veloce e insistente.
Sembra di assistere a un rito tribale o a un sabba di streghe per l’appunto, finché non cadono tutte al suolo. Solo qui entra il narratore e vicegovernatore Danforth, impersonato da Nicola Pannelli, e pare chiedere il benestare del pubblico per scagionare la propria anima, per quelle condanne a morte emesse.

La vicenda di Miller viene molto rispettata dalla regia di Dini, che ne segue il percorso dal processo fino alle impiccagioni e il ritorno alla vita ordinaria.
Molto interessante anche l’uso dello spazio scenico che non si limita al palco, ma si impossessa della sala intera sia all’inizio, per l’ingresso delle ragazze, sia successivamente nel momento di uno dei “deliri satanici”.
Filippo Dini, classe ’96, allievo della scuola del Teatro Stabile di Genova, già in passato si è confrontato con le regie teatrali di grandi autori come Cechov, Molière e Pirandello.
Di recente è stato anche nominato regista residente al Teatro Stabile di Torino, con il quale ha portato in scena Ghiaccio, un testo di Bryony Lavery sul tema della pedofilia.

Le luci progettate da Pasquale Mari mantengono la vicenda su tonalità molto cupe, tristi e a momenti punitive, come si fosse in un interrogatorio dentro un commissariato (o confessione a un prete), con la luce dall’alto.

ph. Luigi de Palma

Emerge nell’allestimento l’idea registica di porre enfasi sulla coralità sociale di questi personaggi travolti dalla sete di giustizia sommaria in nome della legge divina e dei suoi comandamenti. Vengono spesso citati Dio, la Bibbia, come unici dettami da seguire: uscire da questo tracciato fideistico, come accade a Proctor, segna già una lettera scarlatta sulla fronte e quindi l’allontanamento dalla comunità e dallo scorrere della vita “civile”.

Il lavoro svolto dalla regia di Dini prevede un’attenzione enorme ai singoli personaggi, intagliati e cuciti addosso agli interpreti in modo mirabile.
Molto interessante e suggestivo appare l’utilizzo anche di brevi intermezzi musicali, in cui l’attrice Fatou Malser, che impersona vari ruoli, duetta con la chitarra elettrica di Aleph Viola: all’inizio del secondo atto si esibisce in Seven Nation Army dei White Stripes, mentre una logora e sporca bandiera americana copre lo sfondo dell’intera scena e gli abitanti di Salem lottano rabbiosamente gli uni contro gli altri e, sul finale, insieme al resto della popolazione di Salem, canta The House of the rising sun dei The Animals mentre sono tutti illuminati e coperti da quella stessa bandiera.
Lo spettacolo nel complesso ha i caratteri di una grande epopea, segnata dalla Storia con la S maiuscola. Le leggi in questa storia sono leggi di intolleranza, di colpevolezza, e sono leggi paradossalmente di emanazione “divina”.
La scelta di mettere in scena questo classico di Miller da parte di Dini non risulta dunque casuale in un periodo storico come quello che si sta attraversando, dove ancora una volta la politica si nutre dell’elemento religioso e basta poco per essere messi alla gogna: come partecipare a un ballo adolescenziale all’interno di un bosco, come un amore extraconiugale che frantuma l’ideale di famiglia imposto da una società dove “ogni letto racchiude una promessa”.
Caratteristica eminente e costante della forma recitata prescelta da Dini è l’urlo. Tutti urlano, chi è nel giusto e chi crede di esserlo, accentuando questa connotazione di follia collettiva. Il rischio è che il tono venga percepito troppo uguale, monocorde, perdendo di intensità in momenti che forse avrebbero richiesto un ritmo interpretativo diverso.
Il risultato è comunque un grande successo di pubblico, che resta attaccato al susseguirsi degli eventi in maniera molto intensa. Nell’intervallo un vocìo particolarmente accorato si ode in sala, come se la vicenda di Salem aleggiasse particolarmente viva nel 2022, a Milano, per la platea.

IL CROGIUOLO

di Arthur Miller
traduzione Masolino d’Amico
con (in ordine alfabetico) Virginia Campolucci, Gloria Carovana, Pierluigi Corallo, Gennaro Di Biase, Andrea Di Casa, Filippo Dini, Didì Garbaccio Bogin, Paolo Giangrasso, Fatou Malsert, Manuela Mandracchia, Nicola Pannelli, Fulvio Pepe, Valentina Spaletta Tavella, Caterina Tieghi, Aleph Viola
regia Filippo Dini
scene Nicolas Bovey
costumi Alessio Rosati
luci Pasquale Mari
musiche Aleph Viola
collaborazione coreografica Caterina Basso
aiuto regia Carlo Orlando
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Teatro Stabile di Bolzano / Teatro di Napoli – Teatro Nazionale 
Con il sostegno della Fondazione CRT

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