RENZO FRANCABANDERA | Dopo il primo weekend dedicato alla danza, B.motion Bassano, festival dei linguaggi della contemporaneità ospitato storicamente ad agosto all’interno del ricchissimo programma di Operaestate Festival nella città gioiello del pedemontano veneto, ha concentrato nel secondo weekend l’attenzione sul linguaggio del teatro, sebbene in un’accezione sempre più aperta all’incontro con la performatività e l’ibridazione, grazie alla cura storica della direttrice artistica Rosa Scapin.
Insieme a compagnie storiche e più vocate alla prosa, come i torinesi della Compagnia della Magnolia, ci sono stati incontri con artisti di cifra più ibrida, Eva Geatti e il progetto La vaga grazia.
Ispirato al romanzo sull’alpinismo e sul viaggio come ricerca Il Monte Analogo di Renè Daumal (tradotto in Italia nel 1968), La vaga grazia nasce dalla fascinazione per la delicatissima materia trattata nell’opera e lievitata nel progetto-laboratorio di Geatti intorno al rapporto fra danza e movimento sulle tracce del libro incompiuto.
Lo spettacolo compone grazie alle/ai cinque giovanissimə performer (Adriana Bardi, Andrea Beghetto, Carolina Bisioli, Roberto Leandro Pau, Patrick Platolino) una partitura di movimenti intrecciati in modo libero alle sonorità di Dario Moroldo, che si spingono dall’industrial al trip hop ambientale. A parte poche, e peraltro distorte parole proferite a microfono e a conti fatti incomprensibili, lo spettacolo ha più a che fare con una partitura coreografico-gestuale che con un testo, dentro uno schema ora ironico, ora amaro, ma con dentro una grande carica vitale, che non ammette pause.
Lo spazio è segnato da figure geometriche a pavimento definite con nastro adesivo e linee di diverso colore, poliedri e direzioni che catalizzano i movimenti dei performer che agiscono nello spazio, senza comunque esaurirli nella matrice di ispirazione geometrica.

La vaga grazia è stato peraltro presentato a Bassano in versione accessibile al pubblico ipovedente e non vedente, grazie all’audiodescri­zione poetica realizzata da Camilla Guarino e Giuseppe Comuniello, e a una mappa tatti­le della scena, che riproduce i segni tracciati su palco che guidano l’azione dei performer, grazie a un progetto nato nella stagione Nodo Piano, curata da Chiara Bersani e Giulia Traversi allo Spazio Kor di Asti, e resa possibile grazie a Spazio Kor in collaborazione con Al.di.Qua. Artists e il sostegno di Piemonte dal Vivo/ Lavanderia a Vapore.

Lo spettacolo si nutre di un’energia di movimento viva, partecipata, che all’inizio è spiazzante, ripetitiva e quasi assurda. Nel proseguire della visione, si viene però assorbiti in una strana trance da affaticato e faticoso paese delle meraviglie, in cui l’intensità ginnica impone un religioso silenzio e impedisce, a conti fatti, di distrarsi. Per cui si cercano nessi fuori dalla logica dell’intuibile di primo acchitto dentro una goffa ma tenace forma di vitalità, che tanto assomiglia alla commedia umana: il vagare diventa per ciascuno spettatore metafora, ricerca, tentativo di comprensione, e sicuramente la creazione ha la caratteristica dell’inaspettato, dell’imprevedibile, qualcosa che nessuno, entrato in sala, si attenderebbe di dover considerare o di poter vedere.
La creazione termina in una poetica fumosità che non è però quella di fumogeni o di effetti scenici di sorta, ma i puff delle sigarette elettroniche, nella cui placida nevrosi i performer si crogiolano, abbracciandosi, dopo aver “giocato” a qualcosa di simile ai quattro cantoni su una di queste strane figure geometriche.

Sensoriale in altra direzione, per impeto recitativo e capacità di penetrare in modo forte nel sensibile dello spettatore, è stato invece il lavoro di Licia Lanera, Love me, che aveva debuttato a Bologna qualche mese fa in una produzione di Emilia-Romagna teatro e che consta di due monologhi tratti dall’opera di Antonio Tarantino, uno dei maggiori drammaturghi contemporanei italiani.
Se Medea era già stato portato in scena con una serie di allestimenti anche a più voci, come il testo originario prevede e come invece in questo caso non si dà per via del riadattamento occorso per voce sola, il primo dei due monologhi, invece, è di fatto un inedito.
Abbiamo già raccontato dello spettacolo al debutto sebbene la versione qui presentata porti alcune lievi modifiche: intanto nell’intermezzo fra le due recite, che prima aveva una portata un po’ più veemente, mentre in questa nuova versione, ripensata anche per frizioni in teatri tradizionali, ha caratteristiche più tenui; inoltre un po’ più ampio è il ruolo di servo (quasi) muto affidato alla imponente presenza di un attore di origine africana, Suleiman Osuman.

disegno di Renzo Francabandera
Se al debutto questa presenza era incombente e silenziosa, qui pur rimanendo guardinga e in disparte, si rivela più empatica e dialogica, seppure in modo misuratissimo. La data bassanese è stata utile quindi per misurare le nuove temperature e la modalità dello spettacolo proposto dal palco tradizionale, visto che il debutto si era avuto nella Sala Salmon dell’Arena del Sole con un pubblico posto sullo stesso piano della recita, e in grande prossimità, tanto che l’attrice accoglieva gli spettatori all’ingresso, praticamente nel loro accedere in sala; anche qui Lanera attende gli spettatori in proscenio, li saluta, con qualcuno chiacchiera a distanza per creare un convenevole volto a permetterle poi il gioco di entrare nel personaggio e spiegare l’operazione.
Ben presto comunque l’attrice rimane da sola a mani nude con i due personaggi, ma soprattutto con i due testi scivolosissimi di Antonio Tarantino: se il primo mantiene una sua limpida coerenza nel modo della parola, del secondo, quello ispirato al classico, avevamo già sottolineato il registro più complesso, perché varia dal popolare all’aulico nel volgere di poche battute.
L’attrice ha lavorato proprio nella direzione di mitigare la percezione del salto e rendere omogeneo il recitato che appare compatto e coinvolgente per il pubblico, che infatti alla fine della recita tributa un giusto riconoscimento allo sforzo di interpretazione.
Creazione internazionale per lo spettacolo della sera successiva, un allestimento di cifra completamente diversa, che vira verso il meta teatrale e postdrammatico: The chance to find yourself.
In scena Benno Steinneger, una conoscenza del teatro italiano che qualche anno fa aveva preso parte ad alcuni allestimenti di Motus, prima di emigrare in Belgio. E qui che è nato l’incontro con l’altro protagonista della creazione, Jovial Mbenga, attore di origini congolesi.
I due, incontratisi nella capitale belga, avevano in origine, come dicono apertamente in scena, deciso di lavorare a un allestimento di Cuore di tenebra di Joseph Conrad, ma ben presto il tentativo reciproco di avvicinamento concettuale e culturale ai rispettivi universi sensibili ha fatto esplodere il progetto originario, per dar vita a una seconda idea, centrata proprio sulla questione della reale possibilità di un avvicinamento culturale fra persone diverse.
Anche qui, come nello spettacolo di Licia Lanera, il tema dell’altro da sé, e anche ovviamente la differenza del colore della pelle o di luogo di nascita, esplode in tutta la sua possibile deflagrante potenza.
Il tema del razzismo, anche fra pari, fra persone apparentemente vicine, genera le sue contraddizioni.
Il gioco è proprio provare a dimostrare come, anche quando non lo si vuole, è facile segnare una distanza, delimitare un campo, tracciare un solco. Questo solco i due interpreti lo portano fino in sala, perché ben presto lo spettacolo rompe la quarta parete iniziale, invero assai tenue, per diventare permeabile e permettere ad alcuni spettatori di prendere parte sul palcoscenico alla recita.
Prima uno, poi un altro, poi in molti salgono sul palco a “giocare” a fare lo spettacolo insieme al bianco e al nero, per definire una serie di spazi performativi liminali che ovviamente creano interesse e divertimento, anche perché il pubblico comunque è sempre fonte di incredibili rivelazioni umane, con un innato talento per il palcoscenico, come nel caso della replica bassanese.
Questi intermezzi per un verso rendono vivo lo spettacolo, per altro lo dilatano e lo annacquano, cosicché viene utile considerare la possibilità per successive occasioni di stringere le maglie e riuscire a mettere nitidamente a fuoco, in un tempo più concentrato, rispetto alle quasi due ore di replica, le questioni che peraltro arrivano abbastanza chiare: si tratta quindi di ridurre la didascalia per lasciare uno spazio, forse finanche necessario al turbamento e all’equivoco che in ciascuno alberga, per poterci fare i conti.
LA VAGA GRAZIA
di Eva Geatti

e con Adriana Bardi, Andrea Beghetto, Carolina Bisioli, Roberto Leandro Pau, Patrick Platolino
musiche di Dario Moroldo
cura e promozione Irene Rossini
produzione Cosmesi con Corniolo Art Platform e Masque Teatro – Teatro Felix Guattari
con il sostegno di Spazio Kor, Centrale Fies, residenze Hummus-Ekodanza Paleotto11, Damatrà, Fivizzano 27, Murate Art District- Muse, Motus Vague

 

LOVE ME
testi di Antonio Tarantino
regia Licia Lanera
con Licia Lanera
luci Vincent Longuemare
disegno sonoro Tommaso Qzerty Danisi
costumi Angela Tomasicchio
assistenti alla regia Ermelinda Nasuto, Ilaria Bisozzi
tecnico di compagnia Massimiliano Tane
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Compagnia Licia Lanera
foto Manuela Giusto

THE CHANCE TO FIND YOURSELF
di e con Jovial Mbenga e Benno Steinegger

co-regia Gaia Saitta
dramaturg Lara Staal
occhio esterno Joëlle Sambi Nzeba
direzione tecnica e luci Valeria Foti
collaborazione alla ricerca Costanza Lanzara
altri occhi esterni Pol Heyvaert, Simon Baetens, Van Herreweghe
coordinatrice artistica Elke De Coker
coordinatrice amministrativa Valérie Wolters
coproduzione workspacebrussels, KAAP, Garage 29
con il supporto di Campo, wpZimmer, Codice Ivan, KLm / Kinkaleri and De Vlaamse Overheid & De Vlaamse Gemeenschapscommissie
sostenuto da WIPCOOP / Mestizo Arts Platform

Prima Nazionale