MARIA FRANCESCA SACCO | “Questa sera proveremo a farvi piangere”, è l’esordio di Silvio Castiglioni, al suo ingresso sul palco del teatro Oscar di Milano.
Sul palco si rappresenta Eschilo con i Persiani, una delle tragedie più terribili, l’unica che racconti vicende realmente accadute, la devastante guerra combattuta dagli ateniesi contro l’esercito di Serse. Per l’intera opera si attende il figlio di Dario che, quasi un Godot ante litteram, non apparirà mai se non alla fine, quando ormai non c’è più niente da dire e da fare, se non piangere. Eschilo, ribaltando la prospettiva, mostra al pubblico il nemico  Serse come un miserabile, sconfitto, capace di suscitare pietà e compatimento.
La scena si presenta semplice: due tavoli, veri palcoscenici su cui si consumano le vicende tragiche narrate. Le luci illuminano alternativamente l’uno o l’altro tavolo, senza però distrarre il nostro sguardo dagli attori: pedine mobili, oggetti senza volto che attendono di essere mosse in quest’atmosfera evanescente, che ricorda per le tonalità fredde e l’essenzialità, una natura morta di Giorgio Morandi nel suo periodo metafisico.


Il demiurgo, burattinaio dalla voce profonda e dalla gestualità misurata, è Silvio Castiglioni, vestito di nero e pronto a confondersi con il buio della scena retrostante.
La regia, con il suo marchio di leggerezza e ironia è invece dei Sacchi di Sabbia, (Giovanni Guerrieri con Giulia Gallo coinvolta nella creazione degli oggetti in scena).
Dunque, non vedremo recitare solo esseri umani: c’è il burattinaio-narratore che muove le pedine, oggetti a forma di parallelepipedo, spostati e abbassati come carte da gioco in base ai fatti. Come nel calcio balilla in cui gli omini rossi e blu si fronteggiano in mille evoluzioni, così la guerra tra greci e persiani assume le fattezze di una partita a biliardino, tra battute ironiche e citazioni tragiche. Del resto, i Sacchi di Sabbia non sono nuovi all’utilizzo dell’oggetto che diventa marionetta protagonista: ricordiamo l’effetto straniante regalato agli spettatori quando i personaggi di Sandokan (2008) erano verdure e utensili da cucina.

Silvio Castiglioni, muovendosi da un tavolo all’altro e mantenendo l’attenzione sempre viva,  spiega la tragedia, anzi ne offre il fulcro più profondo, il massacro che descrive. L’alternanza della spiegazione delle vicende ai versi di Eschilo, nella traduzione di Francesco Moro, permette al pubblico di avere ben chiare le dinamiche della tragedia eschilea.

Interessante la scelta di riportare alcune parole in greco e di riconsegnarne l’etimologia e il significato: i versi, recitati da Silvio Castiglioni con precisione e senza esuberanze, fanno addentrare nella tragedia senza dimenticare la leggerezza affidata a battute ironiche mai banali.
Il focus, tuttavia, è sulla grande strage di giovani registratasi in questa battaglia, il fiore dell’umanità, espressione che ricorre in Eschilo e che Castiglioni decide, a sua volta, di far ritornare, sia verbalmente sia concretamente. Gli unici personaggi che appaiono in scena sono, infatti, giovani: gli studenti del Liceo Sacro Cuore di Milano con cui questo spettacolo ha creato una collaborazione. Questi portano la loro testimonianza fisica sul palco, rappresentando i giovani massacrati: il coro della tragedia (che in Eschilo ha una grande rilevanza) sta lì, in quel gruppo di una ventina di giovani fermi dietro il burattinaio che muove i suoi personaggi.


Ma che senso può avere proporre una tragedia in un’epoca come la nostra che non possiede una visione tragica?
Bisognerebbe far riferimento pensiero e al contesto greco: all’errore commesso dall’uomo, con la sua hybrys, l’arroganza nei confronti della divinità e della natura, la meritata punizione conseguente e, non di meno, al contesto della polis, in cui ogni tragedia era una ricorrenza di valore sociale e religioso. Condizioni che rendono chiaro quanto sia difficile ricreare la tragedia oggi. Tuttavia è possibile usarla e coglierne i riferimenti per far da specchio all’attualità, recuperandone il valore esemplare. 
Il merito dello spettacolo, ben costruito registicamente grazie all’effetto spiazzante dei personaggi-oggetti e alla maestria recitativa di Castiglioni, sta proprio nell’aver trovato, nella prima tragedia della storia, quello che si dovrebbe cercare in tutte le tragedie: la possibilità di dialogare con la nostra epoca. I Sacchi di Sabbia, infatti, già da tempo hanno intrapreso una riflessione su questi temi: i Persiani si inseriscono all’interno di un percorso che li ha visti confrontarsi anche con i Dialoghi degli dèi, Andromaca Sette contro Tebein cui lo spettatore è immerso nell’immaginario greco ma in un continuo gioco tra serietà e ironia, riflessione e leggerezza, caratteristica della compagnia pisana.
Con i Persiani l’interrogativo è: come venire a patti con l’altro,  il problema? La risposta è lasciata a Eschilo stesso, che nel pietoso trattamento riservato a Serse sembra suggerire un’interpretazione diversa dal “se l’è meritato”, che diventa un: “poteva succedere anche a noi”. 
Perché “può sempre succedere anche a noi”.


I PERSIANI, la tragedia più antica del mondo

da Eschilo
spazio scenico, oggetti e regia I Sacchi di Sabbia
traduzione e adattamento Francesco Morosi
con Silvio Castiglioni
con la partecipazione straordinaria dei ragazzi del Liceo Classico Sacro Cuore
voce Marina Mulopulos 
sound designer Gianmaria Gamberini  
la canzone finale è cantata da Simone Bettin 
produzione Celesterosa
in co-produzione con I Sacchi di Sabbia
col sostegno di Regione Emilia Romagna, Comune di Cattolica, Regione Toscana, MIC 

Teatro Oscar, Milano | 22 ottobre 2023