CHIARA AMATO | Al Teatro dei Filodrammatici di Milano è andato in scena, per due settimane, L’Amleto di nessuno (Hamlet of no one), ultima creazione del drammaturgo iraniano Nassim Soleimanpour. Noto per il testo d’interazione col pubblico Coniglio bianco/Coniglio rosso, che era stato alcuni anni fa in anteprima nazionale proprio nel teatro milanese, il drammaturgo è stato poi coinvolto al Filodrammatici in un laboratorio di creazione drammaturgica a inizio estate, per approfondire il suo metodo di applicazione della teoria delle macchine all’approccio formativo, così che i laboratori stessi siano “macchine per insegnare”.
È evidente dunque il legame che si è stabilito fra l’autore iraniano e la storica istituzione culturale milanese che lo ospita e ne propone il nuovo lavoro.
L’Amleto di nessuno (Hamlet of no one), basato su Blind Hamlet, originariamente commissionato da Actors Touring Company, trae ispirazione dalla vicenda shakespeariana di Amleto, ma più che uno spettacolo è a tutti gli effetti una performance, in cui i veri protagonisti e interpreti sono gli spettatori e il direttore di scena, che li guida fisicamente nelle azioni.
All’ingresso in sala il palco è spoglio: sulla sinistra sono impilate delle sedie colorate, al centro è presente un distributore di acqua e sulla destra un uomo è seduto in silenzio. L’unico collegamento tra il pubblico e il gioco al quale parteciperanno per il tempo di un’ora all’interno del teatro, è un registratore dal quale proviene la voce guida di Tommaso Amadio.
Il testo del drammaturgo è stato tradotto e diretto da Bruno Fornasari, co-Direttore Artistico del Teatro Filodrammatici, la cui carriera sia da regista che attore si è sempre orientata verso collaborazioni internazionali.
Il duo Amadio/Fornasari condivide con Soleimanpour il desiderio di fare attivare allo spettatore la propria fantasia, guidandolo in questo percorso attraverso una storia assurda e provocatoria.
L’attuale stagione dei Filodrammatici ha come fil rouge il tema del ‘Pensare A Una Realtà Alternativa’ (sotto l’acronimo P.A.U.R.A.), che si ritrova anche in questa collaborazione: osservare e raccontare la contemporaneità da prospettive inconsuete, con la scelta di temi di cronaca e di politica attuale, per la creazione di drammaturgie inaspettate e storie originali.

L’autore ci racconta che vuole affrontare, in ventiquattrore registrate a sprazzi, la lenta perdita della vista, la conseguente paura di non poter più vedere il mondo, e di non riuscire a scrivere in tempo un adattamento di Amleto, che gli è stato commissionato.
Di fronte a tutto ciò, sceglie l’escamotage di divertirsi col destino e con il pubblico attraverso un gioco russo, in cui ci sono assassini e vittime, e che richiama alla memoria lo schema di guardie e ladri, dove le regole sono molto semplici. Come nella vita, ci sono ruoli, ruoli che si mischiano, che si celano e che vanno svelati andando oltre le apparenze e il potere ingannatore delle parole.
Su questa base, prende spunto la creatività degli interpreti in scena, che quindi rendono unico questo spettacolo in ogni data. Un’operazione molto simile a quella che aveva già fatto con White Rabbit Red Rabbit, l’altra sua celebre drammaturgia che non permette mai una replica uguale all’altra, in quanto in quel caso l’attore/interprete cambia in ogni occasione ed è all’oscuro del copione, finché non entra in scena e lo legge per la prima volta.
Il drammaturgo si ispira inoltre in questo caso anche ai ricordi d’infanzia utilizzando il delle sedie a tutti noto: in una corsa all’ultima sedia, con una musica in sottofondo, bisogna salvarsi non facendosi trovare in piedi al cessare della melodia. Risulta dunque agevole per la platea assistere alla performance senza mai distogliere l’attenzione.

L’unico elemento di scena che crea a tutti gli effetti del movimento è il disegno luci ideato da Fabrizio Visconti: durante la rappresentazione infatti, vengono creati coni di luce indagatori, come all’interno di un commissariato, in questa ricerca della vittima e del carnefice, che non dà tregua ai partecipanti fino alla fine; inoltre una luce centrale, unica e diretta verso la platea, trasporta quest’ultima a occhi chiusi nei ricordi della adolescenza a Teheran dell’autore, grazie anche a dei rumori registrati, dove il verso delle cicale sono le note di questo spartito.

L’Amleto è una delle opere teatrali più famose al mondo, ma qui resta solo di sfondo, uno stimolo. Quello che ritorna della vicenda del principe di Danimarca è il dubbio e l’ambiguità: c’è incertezza tra essere e apparire, tra pensiero e azione e che ricorda sotto certi aspetti quanto teorizzava Erving Goffman, nel suo La vita come rappresentazione, quando dice che ‘ogni individuo agisce trasmettendo il proprio io particolare per mezzo di comportamenti esteriori e di parole, come fa un attore chiamato sulla scena a interpretare un ruolo. Noi siamo quello che recitiamo, perché comunichiamo attraverso la rappresentazione e l’interpretazione di una vasta gamma di ruoli’.
Come Shakespeare nell’Amleto, qui l’autore pone domande e crea un rapporto con il pubblico, nonostante la distanza spaziale e temporale (la registrazione è datata settembre 2023, o almeno così ci dice), interrogandolo su chi sia, dove vada, dove si trovi, sancendo anche i tempi di risposta e ironizzando sul gioco finzione/realtà che è alla base di questo non-dialogo.

Il progetto ideato dal drammaturgo iraniano, in collaborazione con Fornasari/Amadio, è un meccanismo orchestrato alla perfezione, pensato, e che non ammette “errori”: tutto accade secondo le sue tracce guida che giostrano tempi e modi con cui gli interpreti si muovono. Il meccanismo indirizza i partecipanti, ma l’unico elemento che non può tenere in considerazione e prevedere è il livello di creatività e di entusiasmo che questi mettono in atto. La sua creazione infatti può diventare una grande esplosione di fantasia, come essere una delusione: tutto sta a come risponderanno le persone chiamate all’azione, cosa che avviene con meccanismi casuali.
Come Amleto esita nel vendicare il padre uccidendo lo zio, così i giocatori in scena possono avere remore nel mostrarsi liberamente e improvvisare con naturalezza e spontaneità. Quello che Soleimanpour fa è darci la possibilità di agire, ma può riuscirci come no.
L’ironia con cui interagisce con il suo pubblico resta però estremamente efficace: l’autore in qualche modo si mostra e si racconta in maniera credibile, pur nella variabilità di circostanze che possono accadere in base al tipo di pubblico coinvolto, che può modificare sostanzialmente l’esito dello spettacolo.

 

L’AMLETO DI NESSUNO

di Nassim Soleimanpour
basato su Blind Hamlet
originariamente commissionato da Actors Touring Company
traduzione e regia Bruno Fornasari
voce guida Tommaso Amadio
light designer Fabrizio Visconti
assistente alla regia Massimo Bernardo Dolci
produzione Teatro Filodrammatici di Milano

Milano, Teatro dei Filodrammatici, 1 novembre 2023