CHIARA AMATO *| Al Teatro Grassi di Milano va in scena in prima assoluta, e per un mese intero, Ho paura Torero: è il primo contributo da regista di Claudio Longhi, da quando ricopre anche il ruolo di direttore del Piccolo, dal 2020. Il testo di Pedro Lemebel, icona della letteratura queer e pop sudamericana, è stato una vera folgorazione per Lino Guanciale, che lo ha proposto a Longhi, rinforzando così il loro sodalizio ventennale.
L’autore cileno dal cui unico romanzo, Tengo miedo, Matador – Ho paura torero, pubblicato da Marcos y Marcos nel 2021, il testo teatrale prende ispirazione, è vissuto fra 1952 e il 2015 a Santiago, e ha scritto moltissime “cronache” e un solo romanzo, ma ha anche lavorato in radio, insegnato, venendo poi allontanato dall’insegnamento per la sua omosessualità. Ha creato, insieme a Francisco Casas, il duo artistico Las Yeguas del Apocalipsis (“Le cavalle dell’Apocalisse”), con cui ha messo in scena diverse performance. Un personaggio poliedrico e fortemente avversato dal regime.
In questa trasposizione teatrale, curata da Alejandro Tantanian, scrittore, regista, cantante, insegnante teatrale nato a Buenos Aires e attivo dai primi anni Ottanta, conosciuto da Longhi ai tempi di ERT, per oltre tre ore, i sei interpreti (Daniele Cavone Felicioni, Francesco Centorame, Michele Dell’Utri, Lino Guanciale, Diana Manea, Mario Pirrello, Arianna Scommegna, Giulia Trivero) disegnano sotto gli occhi del pubblico la storia d’amore tra Carlos, uno studente militante del Fronte Patriottico e ‘La fata dell’angolo’, all’interno di un contesto storico ben preciso: la primavera cilena del 1986, sotto la dittatura di Pinochet.
La trama si sviluppa su tre livelli diversi: il rapporto tra una donna-trans e un rivoluzionario che sta preparando un attentato contro Pinochet; la figura del Generale e di sua moglie; il contesto di sommosse e manifestazioni dei parenti dei desaparecidos.
L’adattamento non è convenzionale e risulta ben strutturato, ricco di dettagli e cura, a partire dal palcoscenico, circondato sui lati da murales pop, colorati e di cifra politica contro Pinochet, fino alla scenografia, soggetta a continui cambi nel corso della trama, con una divisione sia orizzontale sia laterale dello spazio: la parte alta della scena (pensata da Guia Buzzi), infatti, viene occupata da una delle due storie principali, mentre i lati del palco e lo spazio della platea ospitano spesso gli eventi storici. Il fondale è ricoperto da una lamiera, divisa in diverse sezioni che all’occorrenza si aprono permettendo lo spostamento degli oggetti di scena e l’entrata/uscita degli attori.
La casa della fata è arredata in maniera originale con un divano, foulard ovunque (che lei stessa ricama), uno specchio con la sagoma di Marilyn, una voliera e delle lampade colorate in stile esotico-giapponese, che scendono dall’alto; mentre lo spazio della casa di Pinochet è definito da una chaise longue, una scarpiera e una cassettiera.

ph. Masiar Pasquali

Dall’incontro iniziale tra i due amanti, la casa della fata si riempie via via di casse di legno, delle quali non conosce il contenuto, che poi scoprirà solo nel finale. Lei ospita, senza chiedere nulla, Carlos e i compagni per le loro riunioni sovversive, pur di ritagliarsi dei momenti con il suo amato. In particolare il compleanno del ragazzo diventa l’occasione per il loro primo contatto fisico.
Vari gli episodi che accadono durante lo spettacolo, ma da menzionare, per rilevanza significante, sono la presentazione delle amiche trans e i battibecchi tra Pinochet e la first lady: questi personaggi secondari infatti arricchiscono di elementi personali e caratteriali tutta la vicenda. Così infatti conosciamo il lato domestico di un dittatore annoiato da una moglie grottescamente petulante e il passato doloroso della nostra protagonista (‘smorzavo con il sesso la malasorte… le fate non portano rancore perché quando hai preso tante botte, una in più è una goccia nel mare’).

I costumi di Gianluca Sbicca sono perfettamente ispirati al gusto dell’epoca e alle caratteristiche dei personaggi: colorati, sexy, scintillanti ed esagerati per le tre trans; lo stesso completo militare per Pinochet, e diversi completi in stile Chanel per la first lady. Restano molto basici, ma non per questo meno curati nel dettaglio, quelli del protagonista maschile e dei personaggi di contorno (le madri che manifestano, il giornalista radio, i militari, le vicine di casa, etc).
Le luci (a cura di Max Mugnai) seguono cambi continui, come le scene e i costumi: si abbassano creando zone d’ombra e illuminando la sezione del palco che deve essere colta dall’occhio dello spettatore; restano nel complesso cromatico dell’intero spettacolo calde e con sfumature di giallo.

ph. Masiar Pasquali

Il tono, nonostante gli argomenti importanti trattati (la questione gender, la dittatura, i desaparecidos, l’amore), resta sempre molto leggero e gradevole: questo dovuto a due interpretazioni in particolare, ovvero quelle di Guanciale e Scommegna. Entrambi personaggi femminili muovono al riso e ammiccano al pubblico, con il loro tono di voce, l’ironia, le freddure e l’utilizzo del loro corpo: le due recite, nello specifico, si distinguono rispetto alle altre interpretazioni, comunque indovinate, perché escono dalle righe, definendo i rispettivi personaggi in maniera totalmente credibile e grottesca. In una recente intervista Guanciale stesso diceva di aver scoperto un mondo e di aver approfondito moltissimo l’universo queer anche attraverso lo studio del libro fotografico I travestiti di Lisetta Carmi.

L’oralità è dirompente e l’inventiva linguistica dell’adattamento teatrale forte, dando vera e propria fisicità al linguaggio, questo grazie alla capacità di Lemebel (e di Tantanian) ‘di parlare direttamente all’umano’, come afferma Longhi. L’autore cileno, nonostante abbia scritto solo questo romanzo, aveva un profilo culturale molto variegato, dovuto proprio ai tanti altri progetti che ha seguito in vita: dall’insegnamento, alla scrittura di crónicas, al duo artistico con Casas, fino alla sua esperienza in radio.
Ci si perde in questo coro frammentato di una città in ribellione anche per gli espedienti del visual designer Riccardo Frati: durante lo spettacolo vengono proiettate infatti sia foto che video originali dell’epoca, ed effetti che fanno da supporto alla scenografia (esplosioni, palazzi, strade di Santiago). Nonostante la durata large dell’operazione teatrale, si riesce a viaggiare nella vicenda seguendo con piacere le vicissitudini dei protagonisti.
Il tutto è reso fluido anche dalla presenza della musica (Davide Fasulo), elemento importante nella personalità della fata, la quale danza, canta e si emoziona con ogni canzone di questa ricca colonna sonora tutta sudamericana.
Ci chiama alla memoria il melò in stile Almodovar de La mala educación, ricco di pulsioni erotiche, passionali e sentimentali, combinate con la commedia e gli eventi drammatici delle vite ai margini.
Il lavoro enorme, sviluppato dalla regia di Longhi e dal dramaturg Guanciale, è stato proprio raccontare in parallelo i tanti spaccati delle stesse giornate nella città di Santiago, le diverse prospettive e quindi il continuo susseguirsi di quadri cangianti. Anche troppo in alcuni momenti, in particolare con l’estenuante alternanza Fata/Pinochet che insiste in parte dell’allesitimento: alcuni degli episodi che riguardano il generale finiscono per essere solo  nicchie di comicità ridondanti, che rallentano a un certo punto lo sviluppo del personaggio, togliendo intensità invece che aggiungerla.  Ma in fondo, come la stessa fata, Guanciale dice ‘la serietà non si confà alla commedia frocesca’ e in quest’opera si respira tutto l’animo di Lemebel, le sue battaglie, il ruolo specifico del suo entourage, l’ironia, la vicinanza alla questione di genere (le sue locas) e la lotta politica al regime dei generali.

 

HO PAURA TORERO

di Pedro Lemebel
traduzione di M.L. Cortaldo e Giuseppe Mainolfi
trasposizione teatrale Alejandro Tantanian
regia Claudio Longhi
scene Guia Buzzi
costumi Gianluca Sbicca
luci Max Mugnai
visual design Riccardo Frati
travestimenti musicali a cura di Davide Fasulo
dramaturg Lino Guanciale
assistente alla regia Giulia Sangiorgio
con Daniele Cavone Felicioni, Francesco Centorame, Michele Dell’Utri, Lino Guanciale, Diana Manea, Mario Pirrello, Arianna Scommegna, Giulia Trivero
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

PRIMA ASSOLUTA – Piccolo Teatro Grassi, Milano | 12 gennaio 2024

 

* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.