RENZO FRANCABANDERA | Nell’ambito di CARNE – focus di drammaturgia fisica voluto per Ert da Michela Lucenti, dopo la prima assoluta al Teatro Bonci di Cesena, è andato in scena al Teatro Arena del Sole di Bologna How About Now, concepito e diretto dal danzatore e coreografo Hannes Langolf. Lo spettacolo, coprodotto da ERT, è stato realizzato con il sostegno di DV8 Physical Theatre, esperienza artistica da cui l’artista proviene, una fra le realtà trasformative della danza contemporanea degli ultimi decenni.
Si tratta di un’esperienza artistica che trascende i confini tradizionali della danza e del teatro, come in fondo è logico aspettarsi dall’artista, anche in ragione del suo background che include collaborazioni con artisti del calibro di William Forsythe, Angelin Preljocaj e Wayne McGregor, tra gli altri.
Langolf porta sul palcoscenico una performance che va ben oltre la semplice esecuzione di movimenti coreografici e che è una vera e propria drammaturgia fisica.
Lo spettacolo è ambientato interamente all’interno di una teca di vetro sigillata, in cui Langolf e il giovane Ed Mitchell, per altro assai distanti nel sembiante fisico, si impegnano in una performance che esplora l’interrelazione tra parola, danza e immagine.
All’aprirsi del sipario, una serie di piccole luci nel buio lontano danno l’idea di una ambientazione metropolitana. Verdi e blu in lontananza. Ma ecco il primo piano, lo zoom sulla nostra realtà, sul micromondo.
La suggestiva scenografia, curata da Loren Elstein, insieme alle luci di Joe Hornsby, crea un ambiente particolarissimo, che enfatizza la fragilità e l’effimero carattere della natura umana. Una teca di vetro, illuminata da una luce bluastra. Uno dei due sta pisciando di spalle quando l’altro gli rivolge la parola. La situazione è subito di periferia, di un mondo illuminato da qualche neon, ci si immagina fanali di auto di passaggio e niente altro. A ben considerare, i due sono effettivamente chiusi dentro un mondo di cui sono i protagonisti, gli abitanti. Verrebbe da dire: …e tutto il mondo fuori. Ma non è così, perché quello che succede lì dentro ha assai a che fare con quello che c’è fuori.

ph © Hugo Glendinnig

Il pubblico da questo momento in avanti viene trasportato in un mondo in cui ogni movimento e ogni gesto racconta una storia di vulnerabilità e insicurezza: quella fisica è una vera e propria narrazione parallela. La complessa coreografia dei danzatori, poco dopo l’inizio del dialogo, prende le mosse con movimenti ora concordi ora divergenti, in cui i due per lo più oscillano e si muovono con gesti sincopati e quasi robotici, spesso disumani, quasi da trap, ora in slowmotion ora, di colpo, in fast forward. Sono gesti talvolta innaturali, appoggiati sulla colonna sonora elettroacustica composta dal sound designer Jethro Cooke e suggestionati dalla drammaturgia originale dello scrittore Andrew Muir.
La vicenda cui si assiste è liberamente ispirata a Omobono e gli incendiari, dramma fra i classici del teatro contemporaneo svizzero, scritto dal drammaturgo Max Frisch nel 1953.
The Arsonists, precedentemente noto anche in inglese come The Firebugs o The Fire Raisers, nato prima come spettacolo radiofonico poi adattato per la televisione e il palcoscenico come un’opera teatrale in sei scene, è una storia ambientata durante il colpo di stato di Praga che nel ‘48 mise fine alla Terza Repubblica Cecoslovacca instaurando il regime comunista.
Il protagonista, un pacifico borghese, accoglie involontariamente in casa gli autori di alcuni incendi dolosi appiccati nella sua città e costoro, ottenuta ospitalità con l’inganno, introducono materiale infiammabile nell’abitazione. Pensando che questi stiano scherzando, il padrone di casa finisce per fornire loro i fiammiferi per appiccare il fuoco che distruggerà il suo mondo. Si tratta di una riflessione potente su come a volte si faciliti la distruzione del sistema sociale, non leggendo in modo preciso le forme di disagio, e di come spesso, addirittura, si finisca per accoglierle, sottovalutandole.
La dinamica a tratti surreale che anima il dialogo tra questi personaggi viene incorporata anche nella riscrittura di Muir, che pur tralasciando i riferimenti politici, riambienta la vicenda della comunicazione a distanza affidata ai social network: è questo secondo lo scrittore il materiale verbale altamente infiammabile, capace di distruggere la reputazione di un individuo ma anche, come si è visto, di condizionare le democrazie, che appaiono fragilissime come non mai. Parrebbe una solitudine nei campi di cotone, trasposta oggi e mondata di ogni afflato poetico, per stare su un testo decapitato di ogni possibile lirismo (la qual cosa è assai ‘british-contemporanea’), ci lascia invero un po’ asciutti sul fronte della parola. Commentiamo a fine spettacolo che pare quasi gli inglesi, dopo i grandi drammaturghi dei secoli passati, abbiano ora qualche remora a proporre la parola poetica, come se non avesse più la cifra per stare nell’oggi.

ph © Hugo Glendinnig

Ciò che rende How About Now a suo modo straordinario è la capacità di esplorare i temi profondi e universali attraverso una combinazione di elementi artistici che vanno oltre la parola, dalla colonna sonora coinvolgente all’atmosfera emotiva che avvolge lo spettatore dall’inizio alla fine dentro un gioco di suono e luci, fino al finale, con il fumo che si sprigiona nella cabina.

Langolf invita il pubblico a riflettere sulle proprie relazioni ed esperienze, offrendo uno spettacolo che va oltre l’intrattenimento per toccare le corde più profonde dell’animo umano.
Qui forse la lettura che viene data dell’originale è che spesso quelli che appiccano l’incendio non ne escono vincitori ma sono fra i primi a sparire fra le fiamme, mentre il vero e proprio palazzo, qui rappresentato dal resto della scatola scenica, dall’istituzione teatro, non ne viene poi intaccato. E sovvengono vicende recenti, e proteste, e agitazioni. Ma alla fine lo scatolone tiene, i poteri si fanno bicefali, arrivano a convivere, e il piccolo fiammiferaio invece soccombe.
Forse è anche questo che ci rende nichilisti oggi dopo le grandi utopie novecentesche sbriciolatesi con i muri: sapere che quasi nessuna protesta finisce per intaccare i livelli superiori, che ogni forma di organizzazione incendiaria che voglia sovvertire, modificare, è assai facile che venga schiacciata da forme di potere orwelliane, mentre i Navalny di qua, gli Assange di là, con le loro forme di contestazione estrema, restano con il cerino in mano, si immolano in autocombustione. How about now?

HOW ABOUT NOW

ideato e diretto da Hannes Langolf
coreografia Hannes Langolf con Ermira Goro e Ed Mitchell
con Hannes Langolf e Ed Mitchell
assistente alla creazione Ermira Goro
drammaturgia Andrew Muir
scenografia e costumi Loren Elstein
sound design and composition Jethro Cooke
lighting design Joe Hornsby
responsabile di produzione Ryan Funnell
direttore di scena Chloe Astleford
direttore tecnico Jake Hughes
realizzato con il sostegno finanziario come parte di DV8 Physical Theatre’s Legacy Commissions
sostenuto da Arts Council England e Stanley Thomas Johnson Foundation
con il supporto di Jeff Garner
prima fase di ricerca progettuale sostenuta da The Place
produzione Moonwalking Bear Productions
coproduzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
docenti della Compagnia Laure Bachelot, Baptiste Bourgougnon, Tina Afiyan Breiova, Ching-Ying Chien, Beth Edwards, Liam Francis,Yen-Ching Lin, Christina May, Hannah Rudd, Jeannie Steele
ricerca progettuale sostenuta da Charles Antoni, Alessio Bagiardi, Sam Coren, Sonya Cullingford, Kath Duggan, Chris Evans, Valentina Formenti, Joel Mesa Gutiérrez, Yen-Ching Lin, Ed Mitchell, Louis Partridge, Marta Rak, Lewis Walker
si ringraziano Tamsin Ace, Wendy Houstoun, Mitch James, Rike & Lendschi Langolf, Conor Marren, Liz Mischler, Lloyd Newson, Tom Patullo, Nancy Rossi, London College of Fashion, Artsadmin per Moonwalking Bear Productions
produttore Louise Eltringham
sviluppo del progetto e fundraising Jenna Lambie Ridgway
foto Hugo Glendinnig
nell’ambito di CARNE focus di drammaturgia fisica