OLINDO RAMPIN | C’è un sapore piacevolmente grossier, di buonumore licenzioso e di astuzie decameroniane, nell’Avventuriero (The Rover) di Aphra Behn, nuova produzione del Teatro Due di Parma, dove replicherà fino al 30 marzo. La regia di Giacomo Giuntini traduce in un teatralismo sgargiante le fantasie libertine di questa strana figura di spia del governo e scrittrice dell’Inghilterra post Cromwell, a cui il teatro parmigiano dedica uno speciale con spettacoli e letture, nonché un convegno organizzato con l’Università di Parma e aperto da Janet Todd, la studiosa britannica a cui spetta il merito della recente riscoperta dell’autrice seicentesca.

Lucia Lavia (Elena) e Stefano Guerrieri (Willmore) – ph Andrea Morgillo

Circola un’aria di teatro “all’antica inglese”, da Royal Shakespeare Company, nell’energia corale e nella ardente fisicità dell’azione scenica alla quale aderiscono abilmente i diciotto interpreti di The Rover. La minuziosità filologica dei costumi di Andrea Sorrentino, gli intermezzi cantati, il vigore recitativo non scivolano però nell’accademismo o nella tradition routinière: la mimesi archeologica della moda seicentesca è connotativa, non si giustappone esteriormente alla regia. I cappelli a tese larghissime adorni di piume di struzzo, gli stivali alti dal bordo largo e rivoltato, le gorgiere amplissime, le fibbie vistose sulle scarpe, le gonne gonfiate dal guardinfante e le impressionanti parrucche a campana, i nei di seta, il rossetto sbavato e i pomelli rossi nel viso ricoperto di biacca colpiscono gli spettatori, seduti sui due lati lunghi della scena rettangolare, con una composizione di sollecitazioni figurative. Echi delle dame e delle nane di corte di Velázquez, della Ronda di Rembrandt e di certa sua erotica burbanza nell’autoritrarsi con la moglie: un’estetica da Seicento spavaldo e manigoldo, come nelle illustrazioni ottocentesche di Francesco Gonin per i Promessi Sposi manzoniani.

Stefano Guerrieri (Willmore) impegnato in un duello – ph Andrea Morgillo

La rigidezza puritana dell’epoca di Cromwell, attimo fuggente in cui l’Inghilterra conobbe le virtù repubblicane da cui poi, e per sempre, si ritrasse inorridita, dev’esser stata ben greve se tra i suoi frutti sono sbocciate invenzioni teatrali come questa. Il femminismo pragmatico e industrioso-mercantesco che vi trionfa ci ricorda molte donne narrate dal Boccaccio, animose e abilissime avvocate di sé stesse e del proprio diritto naturale al piacere. A incarnarle è qui Elena, interpretata da Lucia Lavia, giovane monaca che all’ingresso del pubblico giace silenziosa e immobile a terra, come è d’uso nel giuramento d’obbedienza a Dio. Minuta, volitiva, prensile, presumibile alter-ego di Aphra Behn, sarà il motore di un girotondo inesauribile di sorprese, colpi di scena, equivoci, seduzioni, intrighi, duelli. Androgina e nervosa enfant terrible, Elena è l’eloquente promotrice di una filosofia pratica dell’amore carnale, una litigiosa propugnatrice del diritto femminile agli accoppiamenti non giudiziosi.

Valentina Banci (Angelica Bianca) – ph Andrea Morgillo

Corre, cade, scalcia, ipotizza, deduce. Sale e scende, come tutti i personaggi, da una altissima doppia scala di legno (anch’essa così british, così Globe), che si congiunge creando una balconata: unica scenografia, che sviluppa in verticale l’azione che al livello del pubblico si sviluppa a croce, con quattro uscite che si aprono in tutti i lati che dividono la scena.
Da quella balconata freme di sdegno e di dolore Valentina Banci, che veste i panni di Angelica Bianca, celebre prostituta d’alto lignaggio, proveniente da Padova e attesa nella Napoli governata dagli spagnoli, nella quale è appena approdata una compagnia di gentiluomini inglesi in cerca di avventure sessuali, durante il Carnevale. Scaltra ed esperta professionista, Angelica si scopre invece fragile, sedotta con destrezza, mentre giace distesa in déshabillé dentro una vasca da bagno, da Willmore (Stefano Guerrieri), spadaccino audace, immoralista dall’eloquio inarginabile, in cui il libertinismo si volgarizza in spavaldo elogio di un pansessualismo sfrenato, predestinato a unirsi nel finale con il suo doppio femminile, Elena.

Da sinistra Massimiliano Aceti (Blunt), Francesca Tripaldi (Florinda) e Luca Nucera (Frederick) – ph Andrea Morgillo

Il capovolgimento della sorte delle due figure femminili è la misura della struttura e della “morale amorale” di questo intrigo avventuroso, in cui chi doveva essere destinata all’unione mistica con Cristo si scopre paladina dell’amore libero, mentre la cortigiana scaltra ed esperta sconta la dolorosa scoperta della sua fragilità di donna innamorata e abbandonata.
A fare le spese dei satiri britannici è però anche Florinda (Francesca Tripaldi), sorella di sangue di Elena ma non in ispirito: gentildonna appassionata, sensibile, elegantissima, capace di un amore profondo verso il colonnello Belvile (Luca Cicolella) ma, come Elena, in lotta con i piani del fratello (Massimiliano Sbarsi). Per due volte è oggetto della furia stupratrice della compagnia di inglesi, dalla quale si distingue il solo Frederick (Luca Nucera), ma solo perché, direbbe un Boccaccio oggi politicamente scorretto, «delle femine era così vago come sono i cani de’ bastoni; del contrario più che alcun altro tristo uomo si dilettava».

Non sembra un caso che Napoli sia la meta della lussuriosa combriccola inglese. Ancora centocinquant’anni dopo, quando vi morì Leopardi, la grande metropoli mediterranea manteneva la sua fama di città-emblema di una sessualità e bisessualità libere e a basso costo. La Napoli di Aphra Behn pullula di cortigiane a buon prezzo, mentre Angelica Bianca, la puttana d’alto bordo, viene non a caso dalla Repubblica di Venezia, di cui Padova faceva parte: quella Venezia che Boccaccio nella novella di Frate Alberto definisce «d’ogni bruttura ricevitrice».
Boccaccio ci sembra una presenza ubiqua alla fantasia di Aphra Behn: nel furto ordito da una esponente del nutrito clan di prostitute napoletane ai danni di uno dei sodali dell’avventuriero, lo sciocco Blunt (Massimiliano Aceti), è palese l’eco di un’altra celebre novella del Decameron, che ha per protagonista Andreuccio da Perugia. Là un giovane e inesperto mercante di cavalli resta intrappolato a Napoli nella rete di una prostituta, una «ciciliana bellissima», catapultato senza abiti in un vicolo dove finiscono gli escrementi dei napoletani. Torna tutto.

Ma più ampiamente, in tutta l’intricata trama seicentesca vibrano motivi boccacciani: il saper vivere, l’umana «industria», che vince gli ostacoli e si libera da situazioni difficili, l’accortezza, la malizia, la sospensione del giudizio morale, il ruolo del caso. La “ragion di mercatura”, la glorificazione dell’intelligenza dell’età eroica dei mercanti e dell’ambiente borghese comunale si trasfonde e si rinnova nell’elogio del buon umore e del gusto della vita nell’Inghilterra uscita dai timori e tremori puritani.

 

L’AVVENTURIERO
di Aphra Behn
nuova traduzione di Luca Scarlini

con (in o.a.) Massimiliano Aceti, Valentina Banci, Cristina Cattellani, Luca Cicolella, Laura Cleri, Rosario D’Aniello, Irene Paloma Jona, Davide Gagliardini, Viviana Giustino, Stefano Guerrieri, Francesco Lanfranchi, Lucia Lavia, Nicola Lorusso, Luca Nucera, Salvo Pappalardo, Giovanna Chiara Pasini, Massimiliano Sbarsi, Francesca Tripaldi

maestro d’armi Renzo Musumeci Greco
costumi Andrea Sorrentino
luci Luca Bronzo
assistente alla regia Francesco Lanfranchi

regia Giacomo Giuntini

Nuova produzione Fondazione Teatro Due

Teatro Due, Parma | 12 marzo 2025